
di Monica Maiorano
Le spinte, le motivazioni che inducono a fumare sono numerose e di origine diversa. Nella cultura occidentale d’inizio secolo il fumare ha assunto una valenza comportamentale, per i giovani una sorta di iniziazione, per gli adulti senso di sicurezza, prestigio, disinvoltura.
Fattori sociali, psicologici, individuali e di massa sono alla base di questo comportamento. Vi è l’aspetto “rituale” dell’accensione della sigaretta, l’aspetto “manuale”, per cui con la sigaretta tra le dita si superano i momenti di vuoto, l’aspetto “orale”, che fa sì che avere una sigaretta tra le labbra sia associato ad una sensazione piacevole, l’aspetto “sensuale”, associato all’aroma, e anche l’aspetto “distruttivo”, che si esplica nell’atto di spegnere la sigaretta schiacciandola.
Tra le motivazioni del fumo si parla anche di stress: tuttavia gli stress tendono a fare fumare di più chi già fuma, piuttosto che a fare cominciare chi non fuma.
Esistono dei fumatori occasionali, che ricorrono alla sigaretta per attaccare discorso o per affrontare persone difficili. Esistono gli abitudinari, ai quali il fumo è di compagnia nello svolgimento di lavori monotoni o di attesa.
Fatto sta che recenti studi si sono orientati alla ricerca di una base genetica non solo dello stimolo che spinge a cominciare a fumare, ma anche di quello che porta a decidere di smettere.
Addirittura nei giorni scorsi è stato pubblicato un lavoro su Nature di John A. Dani e Jianrong Tang del Baylor College of Medicine che provano a dare una spiegazione del perché agli ex fumatori la sigaretta manca soprattutto in determinati momenti, ad esempio dopo un caffè o quando si è rilassati in compagnia di amici.
Colpevole è la nicotina contenuta nel tabacco, che sembra rinforzare la memoria di associazione tra i contesti e il comportamento di fumare, così i momenti di relax e di piacere diventano veri e propri stimoli di “rinforzo” che innescano il desiderio del fumo.
Il meccanismo è lo stesso alla base del condizionamento operante di Skinner secondo il quale quando in un certo contesto (stimolo) la risposta dell’organismo (comportamento=fumare) è seguita da una “ricompensa-piacere”(rinforzo), aumenta la probabilità che, in uno stesso contesto, il soggetto emetta la stessa risposta.
“Il nostro cervello normalmente costruisce queste associazioni tra i comportamenti che risultano vincenti e i contesti in cui li adottiamo. In questo modo impariamo come fronteggiare le varie situazioni”, riportano i ricercatori.
Il cervello, cioè, manda alcuni segnali che ci fanno sentire bene, attivando i cosiddetti circuiti del piacere e della ricompensa, quando compiamo un’azione che ha un esito positivo, in una sorta di meccanismo inconscio di apprendimento e adattamento all’ambiente.
A quanto pare il trucco riesce però anche alla nicotina: quando l’assumiamo, il rilascio di dopamina da parte dei circuiti del piacere rinforza i ricordi del contesto in cui compiamo l’azione di fumare. Come se il portare la sigaretta alla bocca fosse un gesto “vincente” e importante per il benessere. Una volta creato il legame tra la sigaretta e i contesti – come una cena con amici o le brevi pause durante il lavoro – questi diventano gli stimoli che innescano il desiderio del fumo.
Per comprendere il modo in cui si instaurano queste forti relazioni, i ricercatori hanno condotto alcuni test sui topi. Nel corso degli esperimenti, gli animali erano liberi di muoversi in un percorso che conduceva a due scomparti: in uno ricevevano nicotina, nell’altro una soluzione salina benefica. Registrando l’attività dell’ippocampo, l’area del cervello dove si formano i ricordi, i ricercatori hanno ottenuto risultati sorprendenti. “L’attività del cervello è cambiata in modo incredibile”, ha affermato Dani: “In confronto alla soluzione salina, la nicotina ha creato connessioni nervose tra l’assunzione e le circostanze anche fino al 200 per cento più stabili. Come conseguenza, i topi rimangono molto più tempo nel compartimento in cui ricevono nicotina che non nell’altro”.
Non esagerava, vien da dire allora, Italo Svevo quando ne “La coscienza di Zeno” fa descrivere al suo personaggio la vita senza sigarette per un accanito fumatore “Un vuoto grande e niente per resistere all’enorme pressione che subito si produce attorno ad un vuoto”.
Fonte: Ansa.it