“La pena della morte viva”


 La pena dovrebbe essere la medicina dell’anima (Platone)

Maria Luisa Boccia, docente di Filosofia politica all’università di Siena, Senatrice nella XV legislatura, mi ha donato un saggio che in questi giorni è in libreria, dal titolo “Contro l’ergastolo” dalla Casa editrice Ediesse.
La Fata rossa degli ergastolani, così viene chiamata da noi “Uomini Ombra” Maria Luisa, mi ha dedicato queste parole: “A Carmelo con amicizia e gratitudine per quello che mi ha aiutato a capire e a fare sul carcere e sulla giustizia.”
Il libro è stato curato da Stefano Anastasia e Franco Corleone, con uno scritto di Aldo Moro e con testi di Maria Luisa Boccia, Guido Calvi, Francesco Saverio Fortuna, Patrizio Gonnella, Alessandro Margara, Giuseppe Mosconi, Salvatore Senese.
Consiglierò di leggerlo soprattutto agli ergastolani perché sono assolutamente convinto che l’ergastolo continuerà ad esistere fin quando noi ergastolani lo faremo esistere.
Il libro è un vero saggio capolavoro perché, come capita ormai di rado con la carta stampata e la televisione, dà notizie ed informa.
Ma è parzialmente incompleto, a dimostrazione che sulla pena dell’ergastolo si sa ancora ben poco, soprattutto sull’ergastolo ostativo.
Pochi sanno che i tipi di ergastolo sono due: quello normale, che manca di umanità, proporzionalità, legalità, eguaglianza ed educatività, ma ti lascia almeno uno spiraglio; poi c’è quello ostativo, che ti condanna a morte facendoti restare vivo, senza nessuna speranza.
Premetto che, a parte quello collettivo del 2008, ho un ricorso personale che sto curando da solo.( n° 2792/05 Musumeci c. Italia, terza sezione), pendente alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo.
Da autodidatta e con umiltà mi permetto di fare emergere sull’argomento alcuni punti, sia in diritto che nel merito.
Per meglio comprendere la questione bisogna avere presente la legge 356/92 che introduce nel sistema di esecuzione delle pene detentive una sorta di doppio binario, nel senso che, per taluni delitti ritenuti di particolare allarme sociale, il legislatore ha previsto un regime speciale, che si risolve nell’escludere dal trattamento extramurario i condannati, a meno che questi collaborino con la giustizia: per questo motivo molti ergastolani non possono godere di alcun beneficio penitenziario e di fatto sono condannati a morire in carcere.
Sembra inverosimile, ma un ergastolano che ha ammazzato e violentato una o cento donne ha la possibilità di uscire, gli stessi coniugi di Erba un domani possono usufruire dei permessi, della semilibertà e della condizionale, chi invece ha ammazzato per non essere ammazzato a sua volta in una guerra fra bande in un territorio mafioso, non potrà mai uscire.
L’ergastolano del passato, pur sottoposto alla tortura dell’incertezza, ha sempre avuto una speranza di non morire in carcere, ora questa probabilità non esiste neppure più.
Dal 1992 nasce l’ergastolo ostativo, ritorna la pena perpetua, o meglio la pena di morte viva.
Ora, che non c’è più il monarca assoluto o l’eventuale rivoluzione sociale che poteva capitare nei secoli passati, la pena dell’ergastolo è certa.
Ora l’ergastolano con l’ergastolo ostativo, se non accetta il ricatto dello stato, se non fa il delatore, se non usa la giustizia per uscire dal carcere, ha la certezza e la sicurezza di morire in carcere.
Ecco un esempio di un ex ragazzo arrestato a 19 anni, Rapisarda Carmelo Ivano, ora quarantenne: il Magistrato di Sorveglianza di Spoleto nella sua ordinanza n. 1813/2008 SIUS scrive: “Rilevato come la cartella personale dell’istante non rechi traccia di alcun accertamento di condotta collaborativa con la giustizia, ex art. 58 ter o.p., ovvero della c.d. collaborazione irrilevante o impossibile, dichiara inammissibile l’istanza di permesso premio.”

In pratica, Ivano, come il sottoscritto e tanti altri, è un cadavere che respira, se non fa la spia, se al suo posto non ci mette un altro, invecchierà e starà in carcere per il resto dei suoi giorni.
L’ergastolano ostativo per sperare di uscire deve togliere la libertà ad un altro, deve insomma uccidere un’altra volta, questa volta lo deve fare per lo Stato.
Molti pensano che alcuni non accettano per omertà, perché sono ancora criminali.
No! Non è così, la maggioranza dei collaboratori di giustizia sono i veri mafiosi, invece quelli che decidono e accettano di scontare la propria pena, a mio parere, meritano una vera possibilità.
Nel libro vengono scritte numerose sentenze della Corte Costituzionale, ma non viene citata l’ultima in data cronologica, la più importante, che fa dell’ergastolo ostativo una “actual lifer” letteralmente “I malcapitati”.
Questa sentenza è la numero 135 del 2003, dove la Corte Costituzionale respinge l’eccezione d’incostituzionalità dell’ergastolo ostativo perché anche in questo modo collaborano con la giustizia si può uscire.
Lasciando di fatto, in uno “Stato diritto” la possibilità di uscire al diretto interessato, sic!
Si, è vero, i parenti delle vittime dei reati cercano giustizia, ma questa dovrebbe essere intesa come verità e non come vendetta (una vita per una vita da morto vivente).
La stragrande maggioranza dei 1400 ergastolani sono del sud, condannati per reati di mafia e la cosa incredibile è che molti di questi, come il sottoscritto, non ha la parte civile, perché i familiari delle vittime sanno che i loro parenti rischiavano di ammazzare o di essere ammazzati.
Molti di questi anche se hanno ucciso si sentono innocenti perché sono consapevoli che hanno solo rispettato la cultura e la legge della loro terra.
Molti di noi sono soprattutto colpevoli di essere sopravvissuti.
Il bene e il male sono soggettivi e a secondo i tempi e i luoghi ed in tutti i casi solo il bene e il perdono arrestano il male e il reato.
Senza contare che dopo molti anni di carcere anche il peggiore criminale si sente innocente.
Si può ammazzare in diversi modi, anche tenendo una persona chiusa in una cella per tutta vita o oltre il necessario.
“La pena non ti deve annullare, ma ti deve dare il diritto a capire e per difendere la democrazia bisogna abolire l’ergastolo.” (Fonte: professore di filosofia Giuseppe Ferraro, Università di Napoli Federico II).
L’unica differenza che c’è tra la pena di morte e la pena dell’ergastolo ostativo è che una si sconta da morto e l’altra da vivo.
Una speranza di questi giorni: la Corte europea per i diritti umani ha condannato la Germania per l’applicazione della “ Sicherungsverwahrung”, la detenzione di sicurezza, che consente a un giudice di prolungare a tempo indeterminato la detenzione di un condannato anche dopo l’espiazione della pena. (Application no. 19359/04 del 17 Dicembre 2009)
Per analogia per l’abolizione dell’ergastolo ostativo si potrebbe usare anche questa sentenza.
La pena dell’ergastolo ostativo è inumana, infernale, priva di dignità, perché una persona senza futuro, senza prospettive, senza speranza, senza fine pena, che cosa è?
Un uomo ombra.

Di Carmelo Musumeci (da Carcere di Spoleto)

da www.informacarcere.it

 

Il carcere a Empoli c’è, ma di detenuti nemmeno l’ombra


Mentre nel vicinissimo Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Montelupo i detenuti soffocano in celle piccole e anguste, a Pozzale, vicino Empoli,  il carcere rimane un fortino di cemento vuoto e inutile costato fra l’altro decine di migliaia di euro.

Da un anno e mezzo l’amministrazione penitenziaria ha predisposto la trasformazione della struttura empolese a carcere per i transgender provenienti dal carcere di Sollicciano e da altre carceri; tuttavia malgrado i lavori di adeguamento siano terminati da tempo, di questi non c’è nessuna traccia.

Così succede che dopo tanti proclami ufficiali del ministero, la destinazione di Pozzale potrebbe essere anche diversa rispetto a quella concordata. Mesi fa era cresciuta l’ipotesi che nel piccolo carcere empolese che ha recuperato decine e decine di giovani tossicodipendenti ci potevano essere trasferiti i pazienti più gravi dell’Opg di Montelupo. Mentre, invece, di recente si parlava di un carcere per detenuti che fanno l’università. Nell’empasse operativa, le voci si rincorrono e vengono fuori le tesi più strane.

La verità è che da anni è sotto gli occhi di tutti, compreso quelli di Regione e Comune di Empoli: uno dei fiori all’occhiello dell’amministrazione penitenziaria italiana era destinato alla sepoltura. Per mesi la struttura è costata sui 3 – 4 mila euro al giorno con 22 addetti alla sorveglianza e sei operatori per garantire un servizio quando all’interno c’erano solo paio di detenute. E ancora, dopo sei mesi che il carcere è vuoto, non è stato messo riparo all’emorragia di soldi e all’inutilità evidente di 26 celle.

Le tre ragazze rimaste, quando ancora dovevano terminare gli esami per ottenere la licenza di terza media, erano state trasferite in altri istituti all’improvviso a fine di giugno. Gli unici “ospiti” ora sono alcuni agenti tenuti a sorvegliare la struttura. Il ripopolamento del carcere con i transessuali doveva avvenire a settembre, poi a fine anno, sono arrivati nuovi rinvii e si è parlato di nuove ipotesi.

«Sono abbastanza stufo di parlare del carcere di Empoli – attacca Franco Corleone, garante dei detenuti di Sollicciano – sono stati spesi migliaia di euro per aumentare la sicurezza della struttura e ora vengono fuori nuove ipotesi sulla sua destinazione futura». «Ma perché invece di chiuderlo – continua Corleone – non è stato utilizzato fino a quando non veniva concretizzato il nuovo progetto con i transessuali? Tenere un carcere vuoto è un insulto alla ragione quando tutte le strutture sono al collasso e scoppiano».

Margherita Michelini direttrice del carcere empolese ora distaccata a Sollicciano è convinta invece, che la struttura di Pozzale riaprirà presto con i transgender dentro. Quella con i trans infatti se realizzato sarà la prima esperienza in Italia, con detenuti provenienti anche di altre carceri italiani.

«A Pozzale dovevano essere fatti interventi nei bagni – spiega la direttrice – e doveva essere ampliata la portineria per motivi di sicurezza. I lavori sono stati già conclusi. Penso che tra poco venga fatto il trasferimento» e conclude: «Sotto le feste non era opportuno spostare le detenute di Sollicciano. Se non ci sono nuovi indirizzi da parte del ministero, a breve la struttura di Pozzale sarà a regime di nuovo».

da www.blitzquotidiano.it

 

Yasmin morto per ingiustizia


di Franco Corleone, garante per i diritti dei detenuti in Toscana

avrebbe compiuto tra pochi giorni diciotto anni. Mi sono ricordato la canzone interpretata dai Tetes De Bois, “Non si può essere seri a diciassette anni” e provo uno strazio indicibile pensando alla sofferenza di un giovane venuto dal Marocco, alla sua solitudine e a una voglia di vivere disordinata. è il sessantacinquesimo suicidio in carcere in questo anno di dis/grazia 2009, per fortuna non ci siamo assuefatti alla tragedia continua; ma questa morte in qualche modo annunciata fa aumentare la rabbia per il segno di una profonda ingiustizia. Tutti gli operatori del carcere erano consapevoli della sua condizione difficile, psicologica e personale, e avevano sottolineato in più occasioni uno stato di incompatibilità con la detenzione. Ma la decisione del ricovero in ospedale è stata decisa fuori tempo massimo, il ritardo pare dovuto al palleggiamento sulla competenza tra il reparto di psichiatria infantile e quello degli adulti e ci sarebbe da sorridere della capacità della burocrazia medica di giocare sulla pelle dei pazienti se non fossimo davanti a una morte crudele. Questa storia offre molte conferme del carattere di giustizia di classe e addirittura etnica che si pratica in Italia nel silenzio e nella distrazione di tanti. Solo uno straniero sostanzialmente solo poteva rimanere in carcere in attesa del processo per tentato furto di un orologio. D’altronde la retorica della certezza della pena per qualcuno deve pur valere! Così si spiega la preoccupazione del magistrato che, se rimesso in libertà, Yassin non si sarebbe presentato al processo.
C’è evasione ed evasione: quella dalla vita è inspiegabile ma quella dalla legalità è intollerabile, pare. Ma possiamo anche pensare a un’altra spiegazione più sollecita della sorte di un giovane in difficoltà: meglio in carcere che in strada. Così non è stato. Anche perché la costrizione non aiuta un soggetto fragile. L’attenzione del carcere, che c’è stata, in casi del genere si traduce nella formula di assicurare un’alta sorveglianza. Forse c’era bisogno di amore ed è una richiesta impossibile. Tanti giovani sono in carcere per reati minimi e soffrono in modo lancinante; dobbiamo avere il coraggio di proporre una riforma degli istituti penali minorili perché non siano dei mini carceri, ma “case” con pratiche di convivialità. La devianza dei giovani è legata ai miti degli adulti, all’esercizio del potere della violenza, della sopraffazione e della ricchezza. Occorre disegnare un luogo fondato sulla responsabilità. Il carcere è inutile e dannoso e spesso dà la morte.

da www.terranews.it