di Loretta Dalola
A proposito dei destini dell’anima dopo la morte, per l’antica Grecia che mostrava di intendere la filosofia come amore per la conoscenza, si legge appunto l’espressione: «da uomo si è fatta dio» , la morte diventa pertanto il risultato spontaneo della purificazione dalle passioni in una forma di trasparenza su se stessi.
Biologicamente la morte è la cessazione di quelle funzioni vitali che definiscono gli organismi viventi. Essa si riferisce sia ad un evento specifico sia ad una condizione. Il concetto di morte si contrappone a quello di vita.
Perché in tutte le cose c’è un inizio e una fine?
E’ come se la natura si preoccupasse di voler terminare ogni volta un ciclo, in cui però la fine non è esattamente identica all’inizio. La fine di un ciclo, che ha avuto un inizio relativamente preciso, è l’inizio di un nuovo ciclo, le cui condizioni sono tutte da scoprire, da sperimentare.
Se il processo è così naturale, importante e universale, perché solo l’essere umano lo percepisce chiaramente o comunque è in grado di intuirlo?
Gli animali vivono il processo in maniera istintiva, come un aspetto intrinseco alla natura, da accettare come un dato di fatto.
La morte ha qualcosa di paradossale, in quanto pur essendo uno dei momenti significativi nella vita umana, il pensiero ha elaborato riflessioni e rappresentazioni a non finire ma non traducibili in alcuna esperienza razionale. In effetti, possiamo avere esperienza solo della morte altrui, che ci addolora in misura proporzionale ai sentimenti provati per quella persona in vita.
Comunque sia, una vita che abbia condotto un’esistenza normale, dovrebbe avvertire la morte come un fenomeno naturale, come l’inevitabile fine del ciclo della vita. Forse il rifiuto umano così categorico è legato al concetto di deperimento fisico, di dolore associato alla malattia o all’ingiustizia di eventi imprevisti e inspiegabile ed è forse questa somma di fattori che ci induce a vedere la morte non come una soluzione liberatoria.
Il corpo è un involucro del soggetto che naturalmente tende a decomporsi con il trascorrere del tempo e quando si comincia ad avere consapevolezza di questo, si dovrebbe cominciare anche a desiderare di vivere una nuova condizione.
Bisogna cioè fare in modo di abituarsi all’idea che il processo avvenga nella maniera più naturale possibile, nel rispetto dei tempi che ci sono dati di vivere: le transizioni sono sempre dolorose, poiché costituiscono una rottura col passato e l’ingresso in una condizione d’esistenza del tutto nuova, in cui inizialmente ci si muove come principianti.
La morte fa parte della vita, nel senso che ne è un aspetto fondamentale, imprescindibile. La morte dà addirittura significato alla vita, poiché una vita senza morte non sarebbe umana o terrestre, non apparterrebbe neppure all’universo.
La morte dunque è solo l’anticamera di una nuova vita. Tutto è trasformazione.
Vita e morte fanno parte di un immane processo di trasformazione, di cui noi non vediamo né l’inizio né la fine.
Aver paura della morte, significa non aver ben compreso questo ciclo naturale e non saperlo vivere con coerenza.
L’unica cosa di cui bisogna aver paura è proprio questa incapacità a essere naturali, a vivere con naturalezza la propria umanità.
Forse aiuterebbe prendere in considerazione il fatto che, la nostra tanto preziosa vita, quella a cui siamo tanto terrenamente attaccati, potrebbe essere utilizzata anche per poter salvare altre vite umane.
Io preferisco, una volta morta, che tutti i miei organi siano donati. Mi rende felice pensare che in questo modo una parte di me serva ad aiutare una vita umana, piuttosto che lasciarla inutilmente a putrefarsi sotto due metri di terra.
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