“La storia di Pinocchio” di Giovanni Farina dal carcere di Siano Catanzaro


Ricevuta, copiata e pubblicata

Un giorno un personaggio del governo italiano va in un paese del sud chiamato LEGO a fare una visita elettorale per le votazioni amministrative.

Il sindaco del paese voleva far vedere che il suo era un paese dove tutto funzionava a perfezione, che i suoi cittadini erano laboriosi e rispettosi delle leggi e della loro città che tenevano pulita, facevano la raccolta differenziata, tutto era in ordine: un paese da prendere come esempio per l’Italia

Per fare la sua bella figura il sindaco ordina alla polizia di stato di rastrellare la città da capo a fondo e arrestare tutti i barboni, i lavavetri, chi nel passato si era reso responsabile di qualche furtarello.

In questa retata viene portato in prigione anche Pinocchio.

In carcere tutti gli arrestati si raccontavano per quale motivo erano stati arrestati. Pinocchio trova un suo conoscente che gli domanda “E tu, Pinocchio, che cosa hai fatto? Perché ti hanno arrestato?” Pinocchio risponde che lui non aveva fatto nulla.

Quando arriva il personaggio atteso al paese LEGO le strade erano piene di cittadini festanti che applaudivano: tutto era perfetto.

Il personaggio governativo, conclusa la sua visita, visto che nel paese LEGO tutto funzionava alla perfezione, si domanda che cosa poteva fare di utile per quel paese. Si domanda: “ci deve essere qualcosa che non funziona in questo paese.”

Decide di dare un’amnistia ai carcerati.

La guardia carceraria si presenta in carcere con la circolare e la lista dei carcerati che beneficiavano dell’amnistia. Inizia a chiamare tutti i carcerati condannati per i reati connessi all’amnistia, nome dopo nome chiama tutti, si svuota il carcere.

Resta solo Pinocchio che a quel punto domanda alla guardia quando l’avrebbero scarcerato. La guardia gli domanda :”perché, che crimine hai commesso?” e Pinocchio risponde :”Nulla.” La guardia legge la circolare e dice :”Nulla non rientra nell’amnistia, non ti posso scarcerare.” La guardia, non ancora convinta, chiede a Pinocchio come poteva essere in galera senza aver fatto nulla, insiste, gli suggerisce :”Prova a ricordare…nemmeno un piccolo fallimento bancario? Una piccola corruzione? Un’appropriazione di risparmi di pensionati? Non hai fatto dei piaceri a qualche imprenditore che ti ha regalato qualche villetta a tua insaputa?”

E davanti al silenzio di Pinocchio conclude :”Mi dispiace, nella circolare emanata dal governo chi non ha fatto nulla deve restare in carcere”.

La favola del detenuto e del mare


di Daniela Domenici

C’era una volta…

un uomo che parla come Totò perchè viene dalla sua stessa terra e si chiama pure come lui, che casualità.

Un giorno di tanti anni fa quest’uomo ha commesso  un reato ed è stato arrestato.

Gli è stata data la pena più lunga che esista, l’ergastolo, quella che si chiama anche “fine pena mai” perché non si esce mai più dal carcere se non dentro la bara.

Ma a quest’uomo, almeno, non è stata data l’aggravante dell’ostatività perché il reato che aveva commesso non era così grave da meritarlo.

E questo detenuto ha girato tante carceri prima di approdare definitivamente in uno sulla costa orientale dell’isola più grande del Mediterraneo.

Qui lui, che mentalmente è un buono, ingenuo come un bambino mai cresciuto,  si comporta tanto bene che un giorno, insieme ad altri compagni di pena, riceve il permesso di partecipare a un progetto lavorativo: uscire ogni mattina per lavorare all’esterno per poi rientrare ogni pomeriggio in carcere.

Per mesi tutto sembra andare per il meglio quando un giorno…

…un giorno a questo detenuto-bambino che non si ricorda più come sia fatto il mare, cosa si provi a immergersi e nuotare, che profumo abbia, che sensazione dia la libertà di stare in acqua senza confini, senza sbarre, senza controllori, senza orari, un giorno, dicevamo, gli viene voglia di provare questa emozione, questa libertà e come un bambino ignaro di tutto, inconsapevole del divieto, entra nel mare durante l’orario di lavoro e…

…ma come si spiega a un detenuto-bambino che è proibito fare il bagno?

Questa favola del detenuto-bambino e del mare purtroppo non ha un lieto fine perché, scopertolo, viene rinchiuso nuovamente nei nove-metri-quadri di una cella da cui potrà solo ricordare, chissà per quanti anni ancora finchè il ricordo non sbiadirà, “com’è profondo il mar…”

Niente carcere, settimo giorno: “Il brigante e le api”, breve fiaba di Carmine dal carcere di Augusta


In attesa che mi arrivino altre lettere con fiabe, poesie, riflessioni e sfoghi dal carcere di Augusta ma anche da quello di Spoleto, pubblico nuovamente questa fiaba deliziosa di Carmine, originario della provincia di Salerno.

C’era una volta un brigante cattivissimo, faceva paura a tutti. Scorazzava per i monti e la campagne ed era solito aspettare i viandanti su un ponte che attraversava un fiume.

Derubava chiunque gi capitasse a tiro e se quei poveri sventurati si opponevano lui faceva loro del male.

Durante una delle sue scorrerie capitò in un campo dove una povera vedova aveva un’arnia da cui prendeva del miele per fare i dolcetti ai suoi bambini.

Il brigante da lontano vide che, quando la donna prelevava il miele dalle arnie, le api non le facevano nulla e pensò che anche lui potesse farlo.

Il brigante già si leccava i grandi baffi che aveva al pensiero del miele saporito che avrebbe rubato. Si fece avanti con aria minacciosa ed urlò tanto che la povera vedova ed i suoi bambini scapparono di corsa.

Allora il cattivone si avventò sull’arnia cercando di distruggerla per impadronirsi del miele saporito, ma le api inferocite lo attaccarono in gruppo e cominciarono a pungerlo dappertutto e mentre lui correva loro lo pungevano sempre di più finché raggiunse il fiume e vi si buttò dentro.

Solo l’acqua lo salvò dall’ira dello sciame d’api!

Passò del tempo ed il brigante ripensava spesso a quanto gli era accaduto, cercando di capire il perché le api lo avessero aggredito con tanta forza, mentre alla donna non facevano nulla.

Così si recò di nuovo verso il campo della vedova per chiederlo direttamente a lei. La poverina, quando lo vide, terrorizzata, cercò di scappare via, ma stavolta il brigante fu più lesto di lei, la raggiunse e la bloccò.

Con tono minaccioso le chiese: “Adesso devi dirmi perché tu prendi il miele e le api non ti fanno nulla, mentre a me, per aver cercato di prenderne un po’, mi hanno inseguito e punto dappertutto; mi sono salvato solo perché ho raggiunto il fiume”.

La povera donna era tremante di paura, temeva che dicendo la verità il brigante si arrabbiasse e le facesse del male ma, soprattutto, temeva che ne facesse ai suoi bambini.

Spaventata dalle minacce si decise a parlare e con tono calmo e gentile disse :”Dunque, brigante, devi sapere che le api mi permettono di prendere un po’ del loro miele perché io le curo, poi, quando vado a prelevarlo lo faccio con delicatezza e capiscono che non voglio far loro del male. Tu, invece, hai buttato l’arnia per terra e loro si sono arrabbiate”.

Il brigante, non abituato a dare né a ricevere gentilezze, non riusciva a capire e no le credeva, così lei gli mostrò come fare.

Il rude brigante, con gentilezza, si avvicinò all’arnia e prelevò del miele, le api si allontanarono e poi ritornarono senza fargli alcun male.

Ripensò a tutta la sua vita scoprendo che non esisteva solo il suo modo cattivo di vivere.

Pensò che :”se le api capiscono che anch’io posso essere buono, allora anche gli uomini possono capirlo”. Queste considerazioni fecero sì che cambiasse, comportandosi in modo gentile.

Da quel giorno del cattivo brigante non si sentì più parlare.

Egli divenne buono e decise di rimanere con la vedova ed i suoi bambini per aiutarli nel loro duro lavoro nei campi.

“Una favola reale” di Francesco dal carcere di Augusta


Caro amico lettore,

chi ricorda in quale romanzo compariva questa frase “Nessun posto è come casa”. Credo nessuno perché molti hanno perso la capacità di crescere con dei sogni o, più semplicemente, molti non hanno sogni e vivono la vita come viene, giorno per giorno.

Crediamo di imparare tutto dalla vita guardando il comportamento degli altri, magari imitandoli, tralasciando così i piccoli insegnamenti che potrebbe dare una fiaba.

Quale fiaba? Ad esempio “Il Mago di Oz” dove proprio il mago dice alla piccola Dorothy che si sta bene dovunque ma, per quanto si possa stare bene, nessun posto è come casa.

Dorothy è alla ricerca di una via per tornare a casa perché un tornado l’aveva trasportata in un mondo fantastico dove tutto era animato: tronchi d’albero, foglie, fiori, pareti, tutto; dove tutto era strano, i personaggi, gli uccelli parlanti, i grifoni, le streghe del nord, sud, est ed ovest, ma anche i tre simpatici personaggi che accompagnano Dorothy nel suo viaggio: il tagliaboschi di latta in cammino per chiedere al mago un cuore vero; il leone parlante che voleva chiedere un po’ di coraggio e, infine, lo spaventapasseri che voleva avere un’intelligenza come gli altri esseri.

La favola non racconta il viaggio dei tre personaggi ma rappresenta, nell’inconscio, la ricerca di quello di cui Dorothy pensava fosse priva, cioè coraggio, amore e intelligenza mentre credeva di avere tutte le paure, tutte le insicurezze, tutte le incertezze.

Se vogliamo ciò che accade nella fiaba è identico a ciò che succede spesso nella realtà.

Pensiamo di non avere abbastanza coraggio per affrontare tutte le prove che la vita ci pone davanti giornalmente.

Quando tentiamo di confrontarci con altre persone spesso ci sorge il dubbio di non reggere il confronto, di essere meno intelligenti e capaci del nostro interlocutore e questo, di conseguenza, ci rende insicuri.

Crediamo di non avere abbastanza cuore per amare, capire e perdonare e ognuno di noi si identifica, a turno, con personaggi come il leone, il tagliaboschi di latta e lo spaventapasseri.

Se nella vita reale ci prendessimo un po’ meno sul serio e pensassimo un po’ più alle favole le cose andrebbero meglio e questo vale per tutti e, in particolare, per i detenuti, persone che, per un motivo o per un altro, si trovano a combattere una guerra persa in partenza.

Il detenuto è un uomo privo di affetto, di amore, di ogni intimità personale che, nei momenti di maggiore sconforto, non sempre trova il coraggio, il cuore e la forza per andare avanti.

Perdere tutto e sprofondare nel baratro della disperazione provoca dolore che, se compreso, aiuta a crescere senza lasciare spazio a rimpianti o rimorsi, aiuta ad apprezzare le piccole cose che offre la vita, non quelle che siamo abituati ad avere senza sforzo.

Ecco, con questa riflessione, auguro a voi, cari amici lettori, BUONE FESTE.