A un malato di sclerosi multipla concessa la marijuana per uso terapeutico


Il tribunale di Avezzano accoglie la procedura di urgenza per la somministrazione gratuita di un farmaco a base di cannabis, che deve essere acquistato fuori dall’Italia. Primo caso in Italia

pillole farmaceutiche sul palmo di una mano

AVEZZANO – Per la prima volta in Italia a un malato di sclerosi multipla viene concessa la somministrazione gratuita di un farmaco a base di cannabis. Succede ad Avezzano dove il tribunale ha dato ragione ad un malato in uno stata avanzato della malattia che aveva chiesto di essere curato con il farmaco che deve essere acquistato fuori dall’Italia. Il giudice, Elisabetta Pierazzi, si è infatti pronunciato in un procedimento cautelare e urgente promosso da un malato, affermando il diritto alla somministrazione gratuita di cannabinoidi al malato in questione, in rispetto dell’articolo 32 della Costituzione (che afferma il diritto del cittadino alla salute). L’ordinanza considera, infatti, questo diritto prevalente rispetto a norme a fondamento etico che pure di fatto ne limitano l’efficacia.

Secondo quanto riportato oggi dalla pagina on-line de “Il centro”, il malato ha ottenuto un pronunciamento favorevole perché in condizioni di particolare indigenza e perché il farmaco si è dimostrato l’unico mezzo per alleviarne le sue sofferenze. A spingere inoltre il giudice ad accogliere la procedura di urgenza per ottenere il farmaco anche il fatto che sussisterebbe il cosiddetto periculum in mora. Cioè il rischio di un pregiudizio imminente e irreparabile alla salute del paziente perché le condizioni del ricorrente potrebbero essere pregiudicate dal tempo che occorre per instaurare un giudizio ordinario (più lungo e complesso), in considerazione della gravità della patologia diagnosticata e della sua progressiva evoluzione in senso peggiorativa.

Il pericolo di una danno grave e irreparabile consiste, secondo il giudice, anche nel fatto che la spesa necessaria per l’acquisto degli unici medicinali efficaci, anche in relazione alla cronicità della patologia, potrebbe compromettere la possibilità di soddisfare con il proprio reddito le altre minime esigenze di vita del malato: insomma il farmaco in questione costerebbe troppo rispetto al reddito della persona che ha presentato il ricorso.

da www.superabile.it

Trastuzumab: nuovo farmaco contro il cancro al seno


di Matteo Clerici

Trastuzumab: nuovo farmaco contro il cancro al seno
» Creato un nuovo farmaco contro il cancro al seno.

Tale prodotto, basato sulla molecola Trastuzumab, si prospetta più efficace della tradizionale chemioterapia.
La percentuale di pazienti, affette dal tumore del seno HER2-positivo localmente avanzato, curate con la chemioterapia che sopravvive senza recidive si ferma al 56%. Se invece la malattia è trattata con il farmaco in questione, la percentuale di successo sale al 71%.

E’ quanto emerge da una ricerca della Fondazione Michelangelo, diretta dal professor Luca Gianni e pubblicata da “The Lancet”.

Gli scienziati guidati dal professor Gianni sono partiti con il desiderio di risolvere un problema: in Italia, il tumore al seno colpisce 38.000 vittime, uccidendone 8.000. di tali casi, solo il 6-10% ha una prognosi di base sfavorevole, poiché costituito da tumore del tipo localmente avanzato e/o infiammatorio.

Allora, spiega il prof. Gianni, “Questo tumore necessita di farmaci prima di intervenire chirurgicamente. In questo studio abbiamo valutato l’associazione di Trastuzumab, anticorpo specifico per il recettore HER2, con la chemioterapia sequenziale”.

A tale scopo, gli studiosi hanno reclutato 235 pazienti con cancro localmente avanzato di nuova diagnosi, positivo al recettore HER2. Tali volontarie sono state divise in 2 gruppi: metà  hanno ricevuto solo chemioterapia neoadiuvante, l’altra metà anche Trastuzumab.

Dopo 1 anno di sperimentazione, ecco il commento di Gianni: “L’evidenza indica che farmaci mirati, come trastuzumab contro HER2, aumentano in modo formidabile la possibilità di intervento quando associati alla chemioterapia, portando la sopravvivenza libera da malattia al 71% in un gruppo di donne altrimenti destinato a un decorso molto grave di recidivale progressione”.

Soddisfatto dei traguardi raggiunti anche Marco A. Pierotti, Direttore Scientifico della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori.

Spiega Pierotti: “Questo nuovo, importante risultato nella cura dei tumori della mammella segue di poche settimane l’annuncio di un altro significativo passo avanti realizzato dalla nostra ricerca, che riguarda il ruolo della proteina p53 come indicatore dell’efficacia della chemioterapia nella cura di tumori della cavità’ orale. Entrambi i risultati, che confermano anche lo stretto collegamento tra la ricerca e la cura dei pazienti che ci contraddistingue, hanno avuto un ampio riconoscimento a livello internazionale.

da www.newsfood.com

Una pillola che cancella i brutti ricordi , ma è polemica etica


di Monica Maiorano

pill to erase bad memoriesUn gruppo di ricercatori dell’università di Amsterdam ha scoperto che un farmaco betabloccante usato per curare malattie cardiache riesce a influire sui meccanismi cerebrali della memoria legati a dolore e paura. Una notizia pubblicata sulla versione online di Nature Neuroscience che dà grandi speranze a chi soffre di ansie, fobie e sindromi post-traumatiche, ma che ha acceso non poche polemiche. Una vasta e sufficientemente consolidata letteratura conferma che alcune situazioni particolarmente traumatiche possano generare alterazioni neurologiche e biochimiche a livello di ippocampo, ipotalamo e amigdala, importanti centri di memorizzazione delle paure. E’ stato anche osservato che tali alterazioni possono evolvere in processi di memorizzazione anomali invalidanti, dolorosi, difficilmente gestibili ed in alcuni casi correlati a disturbi del linguaggio verbale. Precedenti ricerche condotte sugli animali avevano evidenziato come i farmaci bloccanti il recettore beta adrenergico possano interferire sul processo di elaborazione e rielaborazione con cui il cervello gestisce gli eventi particolarmente tramatici. Sulla scia di tali studi il gruppo coordinato dal Dottor Merel Kindt ha continuato gli studi sugli effetti dei betabloccanti nonostante la scia di polemiche suscitate. Secondo gli esperti britannici, infatti, un tale farmaco è inaccettabile dal punto di vista etico in quanto si incorre nel rischio che si snaturi l’identità degli uomini costituita da ricordi, belli o brutti che siano. Inoltre, si potrebbero avere ripercussioni anche sul piano psicologico impedendo alle persone di imparare dai propri errori. Il dottor Merel Kindt spiega però che non è il ricordo stesso ad essere cancellato, ma è la sua intensità emotiva ad essere diminuita, aiutando in questo modo milioni di persone che soffrono di disturbi emotivi legati alla paura e per le quali non sono sufficienti le terapie psicologiche. L’equipe di Kindt ha sperimentato una pillola di questa famiglia su 60 volontari sani, uomini e donne. Ai volontari sono state mostrate delle immagini di ragni mentre gli venivano contemporaneamente somministrate leggere scosse elettriche creando, in questo modo, ricordi di paura nelle loro menti. Agli stessi è stato poi detto di cercare di ricordare le immagini, creando una associazione negativa tra i ragni e il disturbo. Il giorno seguente i volontari sono stati suddivisi in due gruppi. Ad uno dei gruppi è stato somministrato un beta bloccante e all’altro un placebo. Ai due gruppi sono state mostrate nuovamente più immagini di ragni. I ricercatori hanno determinato il loro grado di paura facendogli ascoltare rumori improvvisi e misurando quanto forte sbattessero le palpebre. Quelli che avevano preso il beta bloccante sbattevano molto meno forte le palpebre, indicando che erano più calmi. La risposta di paura è stata testata nuovamente il giorno successivo, quando il farmaco era stato già eliminato dal corpo. I volontari che avevano preso il beta bloccante erano ancora meno spaventati suggerendo che la memoria era stata completamente cancellata. Pare che i beta-bloccanti funzionino perché ogni volta che qualcuno attiva una potente memoria emotiva, il ricordo viene “rielaborato”dal cervello. In teoria il farmaco betabloccante potrebbe estirpare i ricordi di eventi traumatici successi anni prima. Potrebbe inoltre aiutare i pazienti a superare fobie, ossessioni, disordini alimentari e persino inibizioni sessuali. Il passo successivo del team olandese sarà quello di vedere quanto dura l’effetto del medicinale sulla memoria e testarlo su persone con fobie o disturbi di vario tipo, come quello da stress post-traumatico. Il dott. Daniel Sokol, docente di etica medica della St. George’s, University of London, afferma che eliminare i brutti ricordi cambierà la nostra identità personale. Il professore John Harris, un esperto di etica biologica dell’Università di Manchester si dice preoccupato dei possibili effetti del farmaco, compresa la discontinuità psicologica di cancellare i ricordi spiacevoli. Un’interessante complessità è la possibilità che le vittime, ad esempio di violenza, possano volerne cancellare il ricordo doloroso e con esso anche la loro abilità di testimoniare contro gli assalitori. In modo simile i criminali e i testimoni dei crimini potrebbero, con il pretesto di cancellare un ricordo doloroso, rendersi incapaci di testimoniare. Paul Farmer, direttore esecutivo della associazione onlus per la salute mentale Mind, ha detto di essere preoccupato per l’approccio “fondamentalmente farmacologico” ai problemi di fobie e ansietà. Naturalmente ci potranno volere svariati anni prima che i medici prescrivano i farmaci ai pazienti con disturbi post-traumatici da stress, le ricerche nel settore sono ancora tante da fare. Questa notizia mi ha molto colpita e l’ho riproposta a voi, personalmente non ho potuto fare a meno di ricercare la definizione di “libero arbitrio”, cioè “facoltà dell’intelletto umano di decidere, indipendentemente da limitazioni imposte da una qualche causa, dalla necessità o dalla predeterminazione divina”. Ai posteri “l’ardua sentenza”! Fonte: Repubblica.it

Leucemia, un nuovo farmaco uccide le cellule malate, si chiama PBOX-15


leucemiaGli scienziati irlandesi che hanno realizzato la scoperta la considerano “rivoluzionaria”: si tratta di un nuovo farmaco in grado di uccidere le cellule della leucemia. La molecola, ribattezzata PBOX-15, distrugge le cellule cancerose nei pazienti adulti con una prognosi negativa che hanno mostrato resistenza ad altri trattamenti. Il Professor Mark Lawler del Trinity College Dublin chiarisce che occorreranno dai tre ai cinque anni prima che la scoperta della sua equipe si traduca in un farmaco utilizzabile per la cura della leucemia. “Siamo ancora nelle prime fasi dello sviluppo della molecola; dobbiamo effettuare altri studi fondamentali, per esempio capire quali possano essere gli effetti collaterali”, dice il professore. “Ma i primi risultati sono molto promettenti, vogliamo dare questa nuova speranza ai malati di cancro”, aggiunge Lawler. Lo studio e’ frutto di una collaborazione tra scienziati irlandesi (Trinity College Dublin, St James’s Hospital, sempre a Dublino, e Belfast City Hospital) e italiani (dell’Universita’ di Siena). Il Professor Lawler spiega che, nei test condotti sui pazienti affetti da leucemia, il farmaco ha attaccato e spezzato la struttura delle cellule malate. Il farmaco si e’ dimostrato efficace anche nel trattamento della leucemia linfocitica cronica (Llc), il tipo di tumore del sangue e del midollo osseo che rappresenta la forma di leucemia piu’ comune tra gli adulti nel mondo occidentale. Secondo l’equipe di Lawler, il PBOX- 15 e’ risultato piu’ efficace delle attuali cure usate per curare la malattia e ed e’ riuscito a uccidere anche le cellule dell’Llc resistenti agli altri farmaci, come si legge sulla rivista Cancer Research.

fonte AGI