PHILADELPHIA – Artrite reumatoide: fino a ieri una delle malattie più temute, oggi patologia ancora grave, ma con malati che hanno sempre maggiori possibilità di cura e una qualità di vita in costante miglioramento. Dolore e articolazioni gonfie cominciano a diventare un brutto ricordo, diminuiscono i casi in cui si ricorre alla chirurgia per sostituire le articolazioni consumate e aumentano i malati che ritrovano la gioia di un primo recupero della mobilità degli arti.
La buona notizia viene dall’American College of Rheumatology, il più importante appuntamento specialistico in materia, che si tiene annualmente negli Usa e che si è appena concluso a Philadelphia. Dietro il crescente successo della lotta a questa malattia cronica, causata da un “guasto” del sistema immunitario che improvvisamente indirizza la sua azione contro il nostro stesso organismo, infiammando le articolazioni ed alcuni organi interni, c’è il salto di qualità compiuto dagli anni Novanta in poi dalle cure.
Prima una serie di farmaci che sono riusciti a rallentare il processo della malattia, i DMARDS, poi la rivoluzione dei farmaci biologici, molecole specificamente mirate a combattere la patologia colpendola alla radice del meccanismo che l’origina. Un progresso che continua, stando anche ai sorprendenti dati di un nuovo farmaco, presentato al congresso di Philadelphia, che è in grado di ridurre di oltre l’80 per cento la distruzione delle articolazioni.
Il bilancio positivo sull’artrite reumatoide, malattia che colpisce la donna in misura doppia rispetto all’uomo e di cui soffrono negli Usa 1 milione e 300 mila persone e 350 mila in Italia, è emerso da uno studio che ha esaminato 100 mila malati, tra i 40 e i 59 anni, verificando gli interventi di sostituzione delle articolazioni fatti tra il 1983 e il 2007. Bene, gli interventi sostitutivi, in crescita fino al ’90, sono risultati in calo da quella data in poi. Un esempio per tutti: la sostituzione del ginocchio nel quinquennio 2003-2007 è diminuita di quasi il 20 per cento rispetto al quinquennio ’83-’87. In 25 anni insomma la qualità di vita dei malati è cambiata in meglio.
E c’è da aspettarsi che continui a migliorare, visti anche i risultati degli ultimi studi, presentati al congresso. Il nuovo farmaco è il tocilizumab, approvato da qualche mese dall’EMEA come cura di seconda linea e ora in attesa di autorizzazione al commercio da parte dell’Agenzia Italiana del Farmaco. Lo studio LITHE, che ha esaminato, per due anni e in 15 diversi Paesi, 1196 pazienti, ha dimostrato che abbinando il tocilizumab al metotrexato (questa l’indicazione) non solo si riducono i danni articolari dell’81% rispetto al solo metotrexcato, ma, trattando a lungo il malato, si è anche visto crescere la regressione della malattia dal 27% a 2 anni dall’inizio della cura al 62% a 3 anni e 4 mesi.
L’efficacia del farmaco si deve al fatto che inibisce le cellule che fanno da recettori dell’Interleuchina 6, fattore cruciale nell’infiammazione che è all’origine della malattia autoimmune. Per questo il professor Carlo Maurizio Montecucco, ordinario di reumatologia a Pavia e direttore di uno dei molti centri italiani coinvolti nello studio, parla di “un’azione a 360 gradi”, aggiungendo che “la novità non sta tanto nell’arresto del danno articolare, cosa che si ottiene altrettanto bene con gli anti Tnf (altra categoria di farmaci molto usata, ndr), ma nei benefici clinici senza precedenti che riscontriamo nel malato”.
Poi ci sono gli studi su di un altro farmaco, questo già in commercio, il rituximab: una ricerca a 3 anni ha dimostrato che con un ciclo di terapia ogni 6 mesi il paziente sta molto meglio sia dal punto di vista clinico che della qualità di vita. “Raddoppia il numero delle remissioni senza un significativo aumento degli effetti collaterali”, afferma Pier Carlo Sarzi Puttini, ordinario all’università di Milano e sperimentatore del farmaco, pur precisando che la cura, anche questa di seconda scelta, va pur sempre personalizzata. Farmaci efficaci, i biologici, ma che vanno insomma usati con attenzione, secondo una capacità, sempre più affinata, di calibrare le cure. È quanto si richiede al reumatologo del XXI secolo, uno specialista che sta velocemente cambiando, di pari passo col progresso scientifico.
da www.repubblica.it