“Sei…o forse”


di Angela Ragusa

Sei  (o forse non sarai mai)

luce che brilli lontano,

inafferrabile miraggio

che oltrepassa il possibile.

Sei  antiche mura

erette dal tempo di sempre,

pietre incastonate a secco

sulle vie della vita.

Sei immagine presente,

gioco di fantasia

se la noia della notte

smarrisce ogni regola

e svela sembiante di amante

dalla pelle del giorno…

Sei  semplice pensiero

del tesoro che possiedo ,

magicamente chiuso

tra i segreti della mia invenzione!

“La fantasia”


di Tiziana Mignosa

( Sulle note di Etude di Mike Oldfield)

Libera
è la fantasia
e come l’amore mai s’imbriglia
tra le ingannevoli trame della ragione
non segue mai il rintocco del tempo
né si fa male ad ogni evento.

Volteggia
insieme ai dolci pensieri
plana a suon di musica
palpita e s’innamora.

Oltrepassa le nuvole del cielo
e di sorriso scioglie
gli ostacoli del cuore
sorvola terre e continenti
perfino oceani e anche deserti
fino a dare palpito ai desideri buoni.

La fantasia
è come l’Amore quand’è puro
e mai s’arresta
sulle difficoltà che incontra.

“Ogni mia illusione”


di Angela Ragusa

Ascolto di me ogni mormorio
e nel silenzio di ogni parola
cerco agognate risposte…

Scavo, come fossi arenile
che scotta al sole,in ginocchio
come bimbo a creare
il suo castello di sabbia,
arginando flusso di marea
con immaginifiche muraglie
cui solo la mia mente incalzante
riesce ad abbattere…

E sono regina in quel castello
padrona di un mondo
che di fantasia ha le sue stelle,
di emozioni ha il suo cielo,
di stupore ha quel sole
che scalda di me, ogni mia illusione.

Modest Mussorgski – Модест Мусоргский – Una notte sul Monte Calvo – Ночь на Лысой горе


Dal celebre, immortale film di Disney “Fantasia” vi regalo uno dei brani che amo di più: “Una notte sul Monte Calvo” del musicista russo Modest Mussorgski

http://www.youtube.com/watch?v=KyHI6HXw-LQ&feature=related

Niente carcere, settimo giorno: “Il brigante e le api”, breve fiaba di Carmine dal carcere di Augusta


In attesa che mi arrivino altre lettere con fiabe, poesie, riflessioni e sfoghi dal carcere di Augusta ma anche da quello di Spoleto, pubblico nuovamente questa fiaba deliziosa di Carmine, originario della provincia di Salerno.

C’era una volta un brigante cattivissimo, faceva paura a tutti. Scorazzava per i monti e la campagne ed era solito aspettare i viandanti su un ponte che attraversava un fiume.

Derubava chiunque gi capitasse a tiro e se quei poveri sventurati si opponevano lui faceva loro del male.

Durante una delle sue scorrerie capitò in un campo dove una povera vedova aveva un’arnia da cui prendeva del miele per fare i dolcetti ai suoi bambini.

Il brigante da lontano vide che, quando la donna prelevava il miele dalle arnie, le api non le facevano nulla e pensò che anche lui potesse farlo.

Il brigante già si leccava i grandi baffi che aveva al pensiero del miele saporito che avrebbe rubato. Si fece avanti con aria minacciosa ed urlò tanto che la povera vedova ed i suoi bambini scapparono di corsa.

Allora il cattivone si avventò sull’arnia cercando di distruggerla per impadronirsi del miele saporito, ma le api inferocite lo attaccarono in gruppo e cominciarono a pungerlo dappertutto e mentre lui correva loro lo pungevano sempre di più finché raggiunse il fiume e vi si buttò dentro.

Solo l’acqua lo salvò dall’ira dello sciame d’api!

Passò del tempo ed il brigante ripensava spesso a quanto gli era accaduto, cercando di capire il perché le api lo avessero aggredito con tanta forza, mentre alla donna non facevano nulla.

Così si recò di nuovo verso il campo della vedova per chiederlo direttamente a lei. La poverina, quando lo vide, terrorizzata, cercò di scappare via, ma stavolta il brigante fu più lesto di lei, la raggiunse e la bloccò.

Con tono minaccioso le chiese: “Adesso devi dirmi perché tu prendi il miele e le api non ti fanno nulla, mentre a me, per aver cercato di prenderne un po’, mi hanno inseguito e punto dappertutto; mi sono salvato solo perché ho raggiunto il fiume”.

La povera donna era tremante di paura, temeva che dicendo la verità il brigante si arrabbiasse e le facesse del male ma, soprattutto, temeva che ne facesse ai suoi bambini.

Spaventata dalle minacce si decise a parlare e con tono calmo e gentile disse :”Dunque, brigante, devi sapere che le api mi permettono di prendere un po’ del loro miele perché io le curo, poi, quando vado a prelevarlo lo faccio con delicatezza e capiscono che non voglio far loro del male. Tu, invece, hai buttato l’arnia per terra e loro si sono arrabbiate”.

Il brigante, non abituato a dare né a ricevere gentilezze, non riusciva a capire e no le credeva, così lei gli mostrò come fare.

Il rude brigante, con gentilezza, si avvicinò all’arnia e prelevò del miele, le api si allontanarono e poi ritornarono senza fargli alcun male.

Ripensò a tutta la sua vita scoprendo che non esisteva solo il suo modo cattivo di vivere.

Pensò che :”se le api capiscono che anch’io posso essere buono, allora anche gli uomini possono capirlo”. Queste considerazioni fecero sì che cambiasse, comportandosi in modo gentile.

Da quel giorno del cattivo brigante non si sentì più parlare.

Egli divenne buono e decise di rimanere con la vedova ed i suoi bambini per aiutarli nel loro duro lavoro nei campi.

L’impronta della parola


di Angela Argentino

Sono siciliana e insegnante. Ho grande rispetto della parola, sia scritta che orale.

Da sempre mi è parsa un miracolo.

Io ho cominciato come maestra elementare per poi continuare come insegnante di lingue staniere ma vivendo in Grecia è stato giocoforza insegnare la mia lingua nel posto in cui si trovano le sue radici e vi posso assicurare che non può esistere esperienza più esaltante (almeno per la mia anima e la mia coscienza) che insegnare l’italiano in Grecia, perché ritrovo o scopro l’impronta della parola che qui è nata e qui ha già tracciato il suo destino di significato, di messaggio, di percorso e di speranza.

Con i miei studenti facciamo dei viaggi di incredibile stupore davanti alla saggezza e alla lungimiranza di coloro che crearono la parola, per poi diffonderla, innescare una catena infinita di derivati e di commistioni che a loro volta generano milioni di sfumature che il cuore e la fantasia, soltanto, possono percepire.

Solo per farvi un esempio l’altro giorno dovendo tradurre l’aggettivo “perplesso“, da buona attrice quale sono, ho presentato la mia faccia piena di dubbio, dicendo che perplesso è colui che per “status quo” è confuso, senza che l’aggettivo ci spieghi le cause della sua confusione.

Dobbiamo poi scegliere altri aggettivi più specifici che ci svelino l’origine della sua perplessità e quindi saremo “dubbiosi”, “incerti”,  “insicuri”, ” indecisi ” e via dicendo.

Il secondo passo del nostro viaggio, attraverso la parola, è stato chiedersi l’etimologia e siamo giunti alla parola greca “plesio” che è una struttura definita dentro la quale possiamo addirittura costruire dei sistemi e dei sottosistemi.

Ne troviamo traccia nella parola “plesso” della terminologia medica e immediatamente andiamo a “complesso” che già ci conduce a una moltiplicazione della struttura iniziale.

“Perplesso” in quanto dubbioso…. che relazione ha con “plesio”= struttura?

La sera stessa ho incontrato un amico psichiatra e gli ho posto la domanda. Con estrema facilità mi ha sciolto il dubbio spiegandomi che la preposizione “per” che a noi sembra latina, proviene dall’antico greco e aveva un senso di negazione per cui “perplesso” è colui che non ha un “plesio-struttura“, entro cui trovare dimensione, riparo, punti di riferimento, analogie e rapporti, confronti e comparazioni.

Dunque è sperduto. Pensandoci, la notte e i giorni successivi, mi sono posta la domanda se “plesio” fosse anche casa, famiglia e Dio che tutti stiamo perdendo.

E ai miei studenti che in maggioranza hanno dai 15 ai 30 anni, ho chiesto cosa ne pensassero di questo mio interrogativo. Tutto per una parola.

Il nostro viaggio perà ci ha ha riunito a coloro che all’inizio della civiltà della parola, per primi la usarono e sicuramente volevano che pensassimo queste cose.

Sono siciliana di Noto anche se ho trascorso gran parte della mia vita fuori della Sicilia. Scrivo novelle e poesie, da sempre, da quando ho imparato l’italiano a scuola.

Provengo da una famiglia dove non c’erano libri e in casa si parlava solo il siciliano. La lingua italiana e la scrittura erano il mio orizzonte e la mia libertà. Erano i miei strumenti per affrancarmi dalla vita grama della mia famiglia che di strumenti ne aveva pochi!

Adoro le mie lingue (il siciliano e l’italiano) e adoro tutte le altre che conosco e non conosco.

Ogni lingua aggiunge fantasia e sensibilità al nostro cuore, allarga tutto, in ogni direzione.

Resto dell’opinione, però, che si può scrivere bene solo nella lingua della nostra infanzia o della adolescenza.Qquando siamo ancora in embrione, lungo la strada della conoscenza e tutto è un magico gioco di scoperte.

Un abbraccio a tutti.

da www.siracusa.blogsicilia.it