Carcere: due suicidi in due settimane non meritano una riflessione?


  di Elton Kalica

 Vivere in galera mi ha insegnato che un ruolo importante nei suicidi ce l’ha anche il modo in cui il carcere si occupa della salute dei detenuti.

La domenica mattina per molti detenuti significa indossare la camicia più pulita è andare a messa. Stamani però, nella Casa di Reclusione di Padova, un agente ha interrotto la messa per avvisare il cappellano che un detenuto si era appena tolto la vita.

La notizia ha cominciato a fare il giro del carcere. Il detenuto suicida si chiamava Giuseppe Sorrentino ed era un isolato. Il suo nome è noto solo a pochi detenuti e il fatto che era isolato ha lasciato una scia invisibile di sospetto per molte ore. Solo due settimane fa si è suicidato un altro isolato. Era stato messo tra i protetti perché sospettato di violenza sessuale – quella categoria di persone che molti politici dicono di voler castrare e che noi detenuti, purtroppo, diciamo di voler bastonare – e si era tolto la vita, mentre il carcere continuava la sua, di vita, nel quotidiano silenzio di chi preferisce soffrire in pace.

Tuttavia, solo qualche ora dopo tutti hanno cominciato a capire chi era Giuseppe. O meglio si sono ricordati delle sue urla, che uscivano con rabbia dalla finestra della sua cella avvolgendo tutto il carcere e provocando spesso fastidio e insofferenza. Soprattutto perché a volte si scatenava durante la notte; i suoi erano lamenti e accuse rivolti a tutto e a tutti: un malessere che si esprimeva in uno stretto dialetto napoletano, che spesso non suscitava né pietà né curiosità, ma solo disprezzo e insulti.

Nessuno sa cos’aveva fatto Giuseppe per finire in carcere, ma si sa che era stato messo in isolamento forse perché l’aveva voluto lui, o forse, dicono in parecchi, perché la collera di chi aveva perso il sonno per le sue urla poteva metterlo in pericolo. Una procedura standard che il carcere attua per proteggere le persone, solo che, evidentemente, su lui incombeva un altro pericolo, proveniente dall’interno della sua mente e che ha avuto la meglio sulle misure di sicurezza.

Probabilmente ora ci saranno degli accertamenti amministrativi per capire se ci sono state responsabilità o negligenze individuali da parte del personale di turno, ed è ovvio che non si potranno imputare a chi si occupa della sicurezza colpe che hanno origine da problemi sanitari. In carcere il tasso dei suicidi è molto più alto rispetto a fuori, ma ancora si pensa che i suicidi dimostrino solo mancanza di attenzione da parte di chi deve vigilare, come se quello del controllo fosse l’unico obbligo a cui il carcere deve adempiere.

Il carcere di Padova è considerato un carcere “buono” perché ci sono delle cooperative che impegnano in attività lavorative quasi un centinaio di detenuti, e c’è un’offerta didattica e culturale che ne coinvolge altrettanti. Nonostante questo però, si sono suicidate due persone in due settimane. Ciò significa che anche nelle “migliori” carceri italiane esiste un mare di problemi pesantissimi, e individuarli solo nella mancanza di controllo, o nella mancanza di attività, non è sufficiente.

Vivere qui dentro mi ha insegnato che un ruolo importante nei suicidi lo ha ad esempio anche la qualità del servizio sanitario. Dieci anni fa è stata fatta una legge che prevedeva il passaggio di competenza di questo servizio dal Ministero della Giustizia a quello della Salute. L’obiettivo era quello di offrire anche a noi detenuti lo stesso servizio che ricevono i cittadini liberi. Ma in questi anni ho visto tanti tagli ai finanziamenti per la salute, e così si sono prolungati i tempi d’attesa per le visite specialistiche e si è ridotto il numero di medicinali a disposizione dell’infermeria del carcere. Mentre il numero dei detenuti continua a crescere a dismisura. Mi domando allora: quanti altri detenuti devono suicidarsi perché chi si occupa di sanità penitenziaria capisca che ci vuole finalmente un servizio serio, affinché ci sia una vera presa in carico della persona malata?

Stamani, nel carcere di Padova si è consumata un’altra tragedia, che domani sarà solo un numero da aggiungere alla statistica delle morti in carcere. Stamani ho avuto anche la percezione che qualcuno tirasse, forse inconsciamente, un sospiro di sollievo ricordando le urla notturne di Giuseppe, come se al continuo bisogno di silenzio che abbiamo noi detenuti per mantenere l’equilibro mentale o che hanno gli agenti per svolgere il loro lavoro in serenità, non si possa rinunciare nemmeno di fronte alla morte di un altro essere umano. È un sentimento comprensibile, ma abbiamo tutti così tanti problemi, e tanti bisogni, che mi spaventa l’idea che qualcuna di queste nostre miserie possa prevalere sulla morte. E quindi, se questa domenica pomeriggio ho voluto scrivere di Giuseppe Sorrentino è perché spero che la galera, e tutti quelli che ci vivono o ci lavorano, non siano mai più costretti a misurarsi con simili casi di gravi patologie mentali, che trovano oggi l’unica cura nell’isolamento di una cella, oppure nella morte di una domenica mattina.

da www.ristretti.it

Carcere, si continua a morire…avanti il prossimo…e siamo a 13


Nella tragedia dell’ennesimo suicidio in carcere (il tredicesimo dell’anno, il secondo a Padova), mi dà una certa fiducia il fatto che mi abbiate segnalato la notizia in moltissimi. Si vede che che siamo tanti, a credere che la democrazia e lo stato di diritto passino anche -e soprattutto- da come si vive -o come si muore- nelle carceri.

  1. Pierpaolo Ciullo, 39 anni – 2 gennaio – carcere di Altamura (BA), asfissia con gas;
  2. Celeste Frau, 62 anni – 4 gennaio – carcere Buoncammino di Cagliari, impiccagione;
  3. Antonio Tammaro, 28 anni – 7 gennaio – carcere di Sulmona (AQ), impiccagione;
  4. Giacomo Attolini, 49 anni – 8 gennaio – carcere di Verona, impiccagione;
  5. Abellativ Sirage Eddine, 27 anni – 14 gennaio – carcere di Massa, impiccagione;
  6. Mohamed El Aboubj, 25 anni – 16 gennaio – carcere S. Vittore di Milano, asfissia con gas;
  7. Ivano Volpi, 29 anni – 20 gennaio – carcere di Spoleto, impiccagione;
  8. Cittadino tunisino, 27 anni – 22 febbraio – carcere di Brescia, impiccagione;
  9. Vincenzo Balsamo, 40 anni – 23 febbraio – carcere di Fermo, impiccagione;
  10. Walid Aloui, 27 anni – 23 febbraio – carcere di Padova, impiccagione;
  11. Rocco Nania, 42 anni – 24 febbraio – carcere di Vibo Valentia, impiccagione;
  12. Roberto Giuliani, 47 anni – 25 febbraio – carcere di Rebibbia (Roma), impiccagione;
  13. Giuseppe Sorrentino, 35 anni – 7 marzo – carcere di Padova, impiccagione.

da www.metilparaben.it

13esimo suicidio in carcere: detenuto si suicida a Padova


Il legale della vittima: “E’ una morte annunciata, stava male da tempo ma il direttore sanitario non ci credeva, ci disse: ‘Finge'”

 

Un detenuto di 35 anni, Giuseppe Sorrentino, si è ucciso questa mattina nel carcere di Padova. L’uomo, che era in cella da solo, nella sezione ‘protetti’, si è impiccato alle sbarre della finestra del bagno, mentre gli altri detenuti erano fuori per l’ora d’aria. Sono stati proprio i compagni, dal cortile, ad accorgersi di ciò che stava accadendo e a dare l’allarme, ma quando gli agenti sono entrati in cella per soccorrerlo Sorrentino era già morto. E’ il tredicesimo suicidio dall’inizio di quest’anno nel carcere veneto. Il legale della vittima: “Depresso da tempo, è stata una morte annunciata: non doveva rimanere là dentro”.

Di origini campane, era in carcere già da diversi anni e la detenzione lo aveva duramente provato: infatti manifestava da tempo segni di profondo disagio ed era reduce da un lungo sciopero della fame che lo aveva debilitato. Ricoverato più volte in ospedale e nel Centro Clinico Penitenziario, ogni volta al ritorno in carcere riprendeva la sua protesta, lamentando in particolar modo una scarsa attenzione alle sue problematiche da parte degli operatori penitenziari.

Secondo l’avvocato di Sorrentino, Bianca De Concilio, quella del suo assistito “è una morte annunciata, era malato da tempo, soffriva di una grave forma di depressione che lo aveva portato a estraniarsi sempre di più dalla realtà che lo circondava. A nulla sono valsi i nostri sforzi per tirarlo fuori dal carcere, un luogo dove un malato grave com’era lui non doveva stare”. Il legale ricorda le numerose istanze di sospensione della pena, “avevamo anche chiesto il ricovero in ospedale, il trasferimento a un carcere più vicino alla famiglia, nel salernitano, ma nessuno ci ha ascoltato. Anzi, un mese e mezzo fa il direttore sanitario del carcere di Padova in una relazione su Sorrentino scrisse ‘il detenuto non e’ malato, finge’. Oggi il suicidio”.

Il suicidio di Sorrentino è il secondo in meno di due settimane nella Casa di Reclusione di Padova, dove il 23 febbraio scorso, nella stessa Sezione, si tolse la vita Walid Alloui, 28 anni. Dall’inizio dell’anno salgono così a 13 a Padova i detenuti suicidi e a 31 il totale dei morti “di carcere” (che comprendono i decessi per malattia e per cause da accertare). I dati sono dell’Osservatorio permanente sulle morti in carcere, del quale fanno parte i Radicali Italiani, e le Associaziono ‘Il Detenuto Ignoto’,’Antigone’, ‘A Buon Diritto’, ‘Radiocarcere’, ‘Ristretti Orizzonti

‘.

CHIOGGIA. Un’intera città dietro le sbarre


Politici, studenti e insegnanti il primo febbraio “occuperanno” il carcere di Padova

 Sarà praticamente un’intera città, rappresentata dai suoi massimi vertici, oltre che dalle più significative rappresentanze della società civile, a trasferirsi lunedì 1 febbraio nel carcere penale di Padova. E non si tratterà (solo) di un gesto di solidarietà, ma di un’occasione per approvare un atto che rappresenta un indirizzo nuovo per l’intera politica del comune.

Quel giorno infatti nella casa di reclusione Due Palazzi di Padova sono attese dal direttore Salvatore Pirruccio due classi quinte del liceo scientifico “Veronese” di Chioggia, guidate dai docenti e dal preside Luigi Zennaro. Ad accompagnare i ragazzi ci sarà anche una delegazione della giunta e del consiglio comunale capitanata dal sindaco Romano Tiozzo, alcuni consiglieri della SST, la società di servizi del comune, i due consiglieri regionali di opposta sponda politica Carlo Alberto Tesserin e Lucio Tiozzo ed esponenti delle cooperative sociali operanti nel territorio cittadino, con in testa la cooperativa sociale Giotto, che in carcere è operativa dall’inizio degli anni Novanta.

 «Con Chioggia i nostri rapporti però sono molto saldi fin dalle origini», spiega Nicola Boscoletto, storico fondatore della Giotto. «Intanto per la provenienza di alcuni soci fondatori della cooperativa e poi perché in questa città la cooperativa svolge una funzione di inserimento lavorativo per persone svantaggiate da oltre un decennio, in particolare nel campo delle disabilità». Il riferimento è soprattutto al progetto Acua, un centro di educazione ambientale comprendente un orto botanico, un acquario con specie del mare Adriatico ma anche tropicali, una serra, un laboratorio ambientale, ma anche un piccolo shop per visitatori e scolaresche. Il tutto organizzato secondo un preciso percorso didattico, in cui i ragazzi delle scuole di ogni ordine e grado possono scoprire i segreti dell’ambiente in cui vivono, ma allo stesso tempo possono anche fare esperienza dell’incontro con persone con disabilità soprattutto psichiche che cercano faticosamente di superare una condizione difficile per reinserirsi nella società. Il Due Palazzi inoltre «oltre ad essere la principale casa di reclusione del nordest e la seconda del nord Italia dopo Opera», spiega Nicola Boscoletto, «è anche di pertinenza a un territorio più vasto della provincia di Padova, che comprende il comune di Chioggia».

 Il programma della giornata prevede alle 9.30 la registrazione, alle 10 la visita ai capannoni interni con le attività lavorative del consorzio Rebus di cui la cooperativa fa parte. Attività che comprendono il montaggio di valige, biciclette, bijoux, la legatoria, il call center, la cucina con servizio catering e la pluripremiata pasticceria ormai conosciuta non solo in Italia ma anche all’estero per i suoi prodotti di alta qualità artigianale. Dalle 11 a mezzogiorno si aprirà un dialogo tra studenti e detenuti. A tema, inevitabilmente, la giustizia. Con l’attenzione però a saltare, spiega Boscoletto, «dalla cronaca spicciola al senso profondo della giustizia, quello per cui si sconta una pena non solo come pagamento di un debito alla società, ma anche come occasione di cambiamento personale e quindi di effettivo reinserimento nella società stessa».

 A mezzogiorno poi il sindaco di Chioggia e le autorità presenteranno alcuni provvedimenti in essere e in fase di adozione nel Comune di Chioggia, quali le borse lavoro per soggetti svantaggiati e l’affidamento di servizi a cooperative sociali, i soggetti più adeguati per il sostegno all’occupazione di persone disabili e svantaggiate che non troverebbero una adeguata risposta nel mercato del lavoro.
«La cooperazione sociale rappresenta uno spaccato imprenditoriale di assoluto interesse per le comunità locali perché offre sul mercato sia qualità nei prodotti forniti e sia professionalità nei servizi prestati», tiene a puntualizzare Boscoletto «Oltre al valore sociale essa produce anche risultati economici molto positivi che a loro volta generano ulteriori ricadute sul piano sociale».

 da www.vita.it

Rita Bernardini e Marco Pannella la notte di Capodanno in carcere a Padova


il video integrale della cena di Capodanno trascorsa da i due esponenti radicali con alcuni detenuti nel carcere padovano “Due palazzi”

http://www.radioradicale.it/scheda/294203