Il Comune di Torino ha deciso di riconoscere i diritti delle coppie di fatto. La decisione è stata presa dal Consiglio comunale cittadino, complice l’assenza in blocco del centrodestra, impegnato nella protesta contro la probabile ripetizione del voto per le regionali. Chiunque ne farà richiesta potrà avere dagli uffici dell’anagrafe cittadina un certificato di famiglia anagrafica basato anche sul vincolo affettivo, non solo sul matrimonio. Con questo documento, anche le coppie di fatto possono quindi godere dei diritti e dei benefici sulla casa, sanità, servizi sociali, sport, tempo libero e altre tipologie di servizi. Questa decisione coinvolge almeno 32 famiglie, di cui 505 coppie gay, anch’esse incluse dal provvedimento approvato dal Consiglio comunale. Non sono pochi quelli che nutrono dubbi su questa decisione. Se la Lega e il Pdl, assenti al momento della votazione, parlano di «farsa», il consigliere dell’Api Gavino Olmeo, sulla Stampa, si è espresso in questo modo: «È il Parlamento a dover legiferare in materia di riconoscimento delle unioni civili. Il certificato anagrafico basato sul vincolo affettivo cadrà al primo ricorso alla giustizia amministrativa».
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Dal libro “Donne protagoniste” di Francesca Santucci: Olympe de Gouges (1748-1793)
E’ nel Settecento, con l’Illuminismo,che, anche se non le venivano riconosciuti gli stessi diritti dell’uomo, la donna cominciò a contare nella società; fino al 1789, però, solamente alle donne dei ceti più abbienti fu consentito svolgere un ruolo attivo nel sociale, e bisognò attendere la rivoluzione francese perché fosse consentito anche alle borghesi e alle popolane. Allora parteciparono alla presa della Bastiglia, marciarono in armi contro la reggia di Versailles (fu un corteo di migliaia di donne delle Halles, i grandi mercati generali di Parigi, quello che si mosse quando ci fu l’aumento del pane, marciando dalla città fino a Versailles, reclamandolo a gran voce, accampate tutta la notte dinanzi ai cancelli reali tanto che, assente il re, la regina Maria Antonietta fu costretta a far distribuire cestini di brioche), morirono lottando per le strade e finirono sul patibolo, manifestarono, complottarono, presero parte ai dibattiti e crearono associazioni in difesa dei loro diritti. Ma anche all’interno dei circoli più rivoluzionari continuarono ad essere estromesse dal voto, e poi la Convenzione le escluse dai diritti politici e tolse loro il diritto di associazione, e Robespierre proibì le associazioni femminili e persino i loro giornali. Dagli avvenimenti della dittatura rivoluzionaria del “Terrore” fu travolta anche Olympe de Gouges, l’autrice della “Dichiarazione dei Diritti della Donna e della Cittadina”; strenua e battagliera nel difendere i diritti umani e la parità dei sessi, lottò per i suoi ideali fino al punto di sacrificare la sua stessa vita. Un giorno, a casa di Sophie de Condorcet, moglie del famoso politico girondino, aveva esclamato: La femme a le droit de monter à l’échaffaud, elle doit avoir également le droit de monter à la tribune. La donna ha il diritto di salire sul patibolo, deve avere egualmente il diritto di salire in tribuna! Scrittrice, autrice teatrale oggi completamente dimenticata, sensibile alle ingiustizie da qualunque parte provenissero, sia contro le donne che contro gli uomini (si offrì pure di difendere Luigi XVI quando fu arrestato), si batté per le cause più disparate, anche per la liberazione degli schiavi, per il divorzio e per i diritti degli orfani e delle madri nubili. Olympe de Gouges, il cui vero nome era Marie Gouze, allevata da Pierre Gouze, in realtà figlia naturale del marchese Lefranc de Pompignan, padrino di sua madre, Presidente del Tribunale e famoso letterato, era nata il 7 maggio del 1748 nella regione di Montauban; suo padre adottivo era un macellaio, sua madre rivendeva abiti usati. Sposatasi a soli sedici anni per evadere dall’angusto ambito familiare, ebbe un figlio, ma a 17 anni restò vedova e conobbe Jacques Biétrix, un ingegnere dei trasporti militari: fu amore a prima vista! Lui la condusse con sé a Parigi e qui lei cambiò il suo nome in Olympe de Gouges. Bella e corteggiata, frequentò i salotti più famosi, conobbe i più importanti scrittori e filosofi e cominciò a scrivere (secondo altri a dettare perché analfabeta) saggi, opere teatrali, manifesti, proclami, e nel 1874 compose anche un dramma nel quale si pronunciava, con forti accenti, contro la schiavitù, che andò in scena proprio nell’anno della rivoluzione, nel 1879. Ben presto Olympe si rivolse alla politica; dapprima rivoluzionaria, poi realista, infine repubblicana, convinta che La donna nasce libera ed ha gli stessi diritti dell’uomo, nel 1791 fondò il “Cercle social”, un’associazione che si prefiggeva la parità dei diritti delle donne, e pubblicò la “Dichiarazione dei Diritti della Donna e della Cittadina” (testo che ricalcava la famosa “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”, che stabiliva i diritti inalienabili e sacri dell’uomo) in cui Olympe, anticipando le rivendicazioni femministe, auspicava una società senza patriarcato. Ben presto, però, si rese conto che le conquiste della rivoluzione non avvantaggiavano affatto le donne e che anche con il nuovo regime la libertà veniva calpestata, e ricominciò con i suoi infuocati discorsi libertari, attaccando il regime di Robespierre, il quale non esitò a condannarla a morte quando lei prese le difese di Luigi XVI. Olympe de Gouges fu ghigliottinata il 3 novembre del 1793 per aver dimenticato le virtù che convengono al suo sesso ed essersi immischiata nelle cose della Repubblica.
DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DELLA DONNA E DELLA CITTADINA
Uomo, sei capace d’essere giusto? E’ una donna che ti pone la domanda; tu non la priverai almeno di questo diritto. Dimmi? Chi ti ha concesso la supremaautorità di opprimere il mio sesso? La tua forza? Il tuo ingegno? Osserva il creatore nella sua saggezza; scorri la natura in tutta la sua grandezza, di cui tu sembri volerti raffrontare, e dammi, se hai il coraggio, l’esempio di questo tirannico potere. Risali agli animali, consulta gli elementi, studia i vegetali, getta infine uno sguardo su tutte le modificazioni della materia organizzata; e rendi a te l’evidenza quando te ne offro i mezzi; cerca, indaga e distingui, se puoi, i sessi nell’amministrazione della natura. Dappertutto tu li troverai confusi, dappertutto essi cooperano in un insieme armonioso a questo capolavoro immortale. Solo l’uomo s’è affastellato un principio di questa eccezione. Bizzarro, cieco, gonfio di scienza e degenerato, in questo secolo illuminato e di sagacità, nell’ignoranza più stupida, vuole comandare da despota su un sesso che ha ricevuto tutte le facoltà intellettuali; pretende di godere della rivoluzione, e reclama i suoi diritti all’uguaglianza, per non dire niente di più. Preambolo Le madri, le figlie, le sorelle, rappresentanti della nazione, chiedono di potersi costituire in Assemblea nazionale. Considerando che l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti della donna sono le cause delle disgrazie pubbliche e della corruzione dei governi, hanno deciso di esporre, in una Dichiarazione solenne, i diritti naturali, inalienabili e sacri della donna, affinché questa dichiarazione, costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, ricordi loro senza sosta i loro diritti e i loro doveri, affinché gli atti del potere delle donne e quelli del potere degli uomini, potendo essere paragonati ad ogni istante con gli scopi di ogni istituzione politica, siano più rispettati, affinché le proteste dei cittadini, fondate ormai su principi semplici e incontestabili, si rivolgano sempre al mantenimento della Costituzione, dei buoni costumi, e alla felicità di tutti. In conseguenza, il sesso superiore sia in bellezza che in coraggio, nelle sofferenze della maternità, riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell’essere supremo, i seguenti Diritti della Donna e della Cittadina.
Articolo I La Donna nasce libera ed ha gli stessi diritti dell’uomo. Le distinzioni sociali possono essere fondate solo sull’utilità comune.
Articolo II Lo scopo di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali e imprescrittibili della Donna e dell’Uomo: questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e soprattutto la resistenza all’oppressione.
Articolo III Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella nazione, che è la riunione della donna e dell’uomo: nessun corpo, nessun individuo può esercitarne l’autorità che non ne sia espressamente derivata.
Articolo IV La libertà e la giustizia consistono nel restituire tutto quello che appartiene agli altri; così l’esercizio dei diritti naturali della donna ha come limiti solo la tirannia perpetua che l’uomo le oppone; questi limiti devono essere riformati dalle leggi della natura e della ragione.
Articolo V Le leggi della natura e della ragione impediscono ogni azione nociva alla società: tutto ciò che non è proibito da queste leggi, sagge e divine, non può essere impedito, e nessuno può essere obbligato a fare quello che esse non ordinano di fare.
Articolo VI La legge deve essere l’espressione della volontà generale; tutte le Cittadine e i Cittadini devono concorrere personalmente, o attraverso i loro rappresentanti, alla sua formazione; esse deve essere la stessa per tutti: Tutte le cittadine e tutti i cittadini, essendo uguali ai suoi occhi, devono essere ugualmente ammissibili ad ogni dignità, posto e impiego pubblici secondo le loro capacità, e senza altre distinzioni che quelle delle loro virtù e dei loro talenti.
Articolo VII Nessuna donna è esclusa; essa è accusata, arrestata e detenuta nei casi determinati dalla Legge. Le donne obbediscono come gli uomini a questa legge rigorosa.
Articolo VIII La Legge non deve stabilire che pene restrittive ed evidentemente necessarie, e nessuno può essere punito se non grazie a una legge stabilita e promulgata anteriormente al delitto e legalmente applicata alle donne.
Articolo IX Tutto il rigore è esercitato dalla legge per ogni donna dichiarata colpevole.
Articolo X Nessuno deve essere perseguitato per le sue opinioni, anche fondamentali; la donna ha il diritto di salire sul patibolo, deve avere ugualmente il diritto di salire sulla Tribuna; a condizione che le sue manifestazioni non turbino l’ordine pubblico stabilito dalla legge.
Articolo XI La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi della donna, poiché questa libertà assicura la legittimità dei padri verso i figli. Ogni Cittadina può dunque dire liberamente, io sono la madre di un figlio che vi appartiene, senza che un pregiudizio barbaro la obblighi a dissimulare la verità; salvo rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla Legge.
Articolo XII La garanzia dei diritti della donna e della cittadina ha bisogno di un particolare sostegno; questa garanzia deve essere istituita a vantaggio di tutti, e non per l’utilità particolare di quelle alle quali è affidata.
Articolo XIII Per il mantenimento della forza pubblica, e per le spese dell’amministrazione, i contributi della donna e dell’uomo sono uguali; essa partecipa a tutte le incombenze, a tutti i lavori faticosi; deve dunque avere la sua parte nella distribuzione dei posti, degli impieghi, delle cariche delle dignità e dell’industria.
Articolo XIV Le Cittadine e i Cittadini hanno il diritto di costatare personalmente, o attraverso i loro rappresentanti, la necessità dell’imposta pubblica. Le Cittadine non possono aderirvi che a condizione di essere ammesse ad un’uguale divisione, non solo dei beni di fortuna, ma anche nell’amministrazione pubblica, e di determinare la quota, la base imponibile, la riscossione e la durata dell’imposta.
Articolo XV La massa delle donne, coalizzata nel pagamento delle imposte con quella degli uomini, ha il diritto di chiedere conto, ad ogni pubblico ufficiale, della sua amministrazione.
Articolo XVI Ogni società nella quale la garanzia dei diritti non sia assicurata, né la separazione dei poteri sia determinata, non ha alcuna costituzione; la costituzione è nulla, se la maggioranza degli individui che compongono la Nazione, non ha cooperato alla sua redazione.
Articolo XVII Le proprietà appartengono ai due sessi riuniti o separati; esse sono per ciascuno un diritto inviolabile e sacro; nessuno ne può essere privato come vero patrimonio della natura, se non quando la necessità pubblica, legalmente constatata, l’esiga in modo evidente, a condizione di una giusta e preliminare indennità.
Questo matrimonio s’ha fare
di Daniela Domenici
La parafrasi della celebre frase detta dai bravi a don Abbondio all’inizio de “ I promessi Sposi” di Manzoni è stata scelta come titolo del convegno organizzato ieri da Arcigay Palermo sulle prospettive di tutela delle coppie formate da persone dello stesso sesso alla luce della recente sentenza della recente sentenza della Corte Costituzionale.
Il convegno rientra tra gli eventi per il Sicilia Pride 2010, il primo lgbt pride mai realizzato a Palermo, che si terrà il prossimo 19 giugno e si è tenuto nella sala Borsellino presso la facoltà di Scienze Politiche a Palermo.
I relatori invitati a partecipare erano molti di più ma alcuni di loro non si sono presentati senza neanche preoccuparsi di avvertire gli organizzatori (forse perché temevano un ritorno negativo d’immagine partecipando a questo convegno!); preferiamo concentrare la nostra attenzione su chi invece ha fornito dei contributi interessanti e costruttivo con il proprio intervento.
Ha introdotto il convegno Daniela Tomasino dell’Arcigay di Palermo che ha dato subito la parola a Marco Carnabuci, avvocato, il quale ha concentrato il suo intervento, naturalmente, sulla recente sentenza n°137 della Corte Costituzionale e parlando dell’art. 29 della Costituzione (valore del matrimonio) sottolineando come tutti i valori costituzionali abbiano lo stesso peso, non c’è una gerarchia di valori; ha concluso citando alcune frasi tratte dal “Galileo” di Brecht per evidenziare il coraggio dello scienziato e paragonarlo a quello delle due coppie omosessuali che, recentemente, hanno avuto il coraggio di “smuovere le acque” con le loro istanze.
E’ stata poi la volta di Stefania Munafò, vice capogruppo al consiglio comunale di Palermo per il PDL, che ha parlato della mozione da lei presentata contro l’omofobia soprattutto nelle scuole; ha evidenziato come questo sia un forte segnale da parte delle istituzioni e soprattutto del suo partito che non si è mai schierato in questo campo. La mozione non è stata ancora votata ma la Munafò spera che possa esserlo nella settimana del Sicilia Pride in cui le istituzioni locali saranno presenti: “ci sarà, per la prima volta, il logo del Comune di Palermo e alcuni suoi rappresentanti saliranno sul palco” ha dichiarato.
Ha preso poi la parola Sergio Rovasio, segretario dell’associazione radicale “Certi Diritti”, che ha voluto brevemente accennare alla vicenda di Rosa Parks, la donna di colore che negli USA con il suo rifiuto di cedere il posto sul bus ha dato il via alle lotte per la parità tra bianchi e neri negli Sati Uniti, per sottolineare che come questa lotta fu poi portata avanti dai bianchi per i neri anche la battaglia delle coppie omosessuali per il diritto a potersi sposare deve essere condotta dagli etero, come ha dichiarato loro il presidente Napolitano lo scorso 17 maggio quando li ha ricevuti nell’ambito della giornata contro l’omofobia. Rovasio ha poi evidenziato i tre punti “novità”i della sentenza n°137 della Corte Costituzionale che può davvero aprire la strada a un cambiamento che teme, però, non avrà tempi brevi; ha parlato del comitato “Si lo voglio” che ha il sostegno dell’Agedo e delle famiglie Arcobaleno e ha concluso con una battuta ironica: nelle nazioni, come la Spagna e il Portogallo, europee in cui il matrimonio gay è diventato legge non c’è stata alcuna tragedia o catastrofe, non è morto nessuno e allora se i diritti di queste coppie non ledono quelli degli etero, perché no?
E a queste ultime frasi di Rovasio si è subito collegata Rita Borsellino, deputata al parlamento europeo, dicendo che facendo lei parte della commissione per i diritti umani ha una particolare attenzione verso i diritti degli omosessuali, “gli ostacoli che c’erano sulla strada del matrimonio gay sono decaduti grazie alla sentenza, non ci sono più scuse, ora si deve fare una battaglia per fare accettare questa sentenza”. La Borsellino ha dichiarato che si impegnerà a cercare convergenze trasversali in Europa su questo argomento per far prendere delle misure in modo che l’Italia faccia qualcosa in questo campo, “deve diventare una battaglia comune perché diventi una legge di tutti”. E ha concluso anche lei con una sottolineatura amaramente ironica: “Il Vaticano fa il suo dovere seguendo i suoi dettami quando rifiuta questo tipo di matrimonio; è l’Italia che dovrebbe non essere succube, non accettarli ma rendersi conto di quanto sia fondamentale essere uno stato laico” e ha sorriso dicendo “e ve lo dice una cattolica”.
Una sentenza pilatesca
di Adele Parrillo
DIRITTI. Mentre in Italia la Consulta rigetta il ricorso sulla questione del matrimonio omosessuale, negli altri Stati il nodo è stato risolto con un’evoluzione dell’interpretazione giuridica. Il caso della Spagna.
Di certo, la comunità gay e non solo, ha nutrito più di una speranza di vedere riconosciuti una “possibilità” e la pari dignità e uguaglianza degli altri cittadini nelle proprie scelte affettive e familiari. Questa speranza si è infranta al pronunciamento, lo scorso 14 aprile, da parte della Corte Costituzionale, sulla questione del matrimonio omosessuale rigettando il ricorso. La richiesta era arrivata dinanzi alla Corte italiana il 23 marzo, presentata da una coppia omosessuale di Venezia e una di Trento che chiedevano la pubblicazione delle loro nozze all’albo pretorio del Comune.
Nelle motivazioni della sentenza, per la Consulta l’articolo 29 della Costituzione, “la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio” «non dà luogo a discriminazione in quanto le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio». Occorre però distinguere due problemi che vengono talvolta confusi e cioè se l’art. 29 tuteli soltanto la famiglia fondata sul matrimonio tra persone di sesso diverso e se lo stesso articolo si opponga alla tutela di famiglie fondate su una unione diversa dal matrimonio.
«È vero che i concetti di famiglia e matrimonio non si possono ritenere cristallizzati con riferimento all’epoca in cui la Costituzione venne scritta, mutano seguendo l’evoluzione della società e dei costumi, ma – aggiungono i giudici della Consulta – la loro interpretazione “non può spingersi fino al punto di incidere sul nucleo della norma, modificandola in modo tale da includere fenomeni e problematiche non considerati in alcun modo quando fu emanata».
La Costituente non prese in esame la questione delle unioni omosessuali ma adottò la nozione di matrimonio contenuta nel codice civile del 1942, il quale dice che «i coniugi devono essere persone di sesso diverso». In sintesi, il concetto di matrimonio non può essere esteso alle coppie gay perché resta un’unione tra persone di sesso diverso, ma i diritti di una coppia omosessuale devono essere garantiti e tutelati. Tocca al Parlamento colmare il vuoto normativo con una legge. Eppure, in altri Paesi la questione è stata risolta brillantemente.
In Spagna, l’art. 32 della Costituzione recita: «L’uomo e la donna hanno diritto di sposarsi con piena eguaglianza giuridica»; il rimando alla nozione ontologica della diversità di genere non potrebbe essere più esplicito. Eppure l’articolo è stato interpretato, alla luce del potente faro del principio di eguaglianza formale, nel senso che «l’uomo ha diritto di sposarsi con chi vuole, e la donna ha diritto di sposarsi con chi vuole», consentendo di modificare il codice civile sostituendo in ogni articolo il termine «i coniugi» alla locuzione «marito e moglie». In Italia invece, non si riesce a dare uno straccio di diritto alle famiglie omosessuali, ma nemmeno ai conviventi etero.
Dobbiamo solo sperare che il Parlamento faccia finalmente la sua parte, lasciando indietro pregiudizi vecchi e nuovi, trattando la famiglia come sostanza e non come forma ideologica.
Fonte: http://www.terranews.it
Non lasciare i tuoi diritti solo sulla carta

«Ogni individuo ha il diritto di non subire danni derivanti dal cattivo funzionamento dei servizi sanitari o da errori medici e ha il diritto di accedere a servizi e trattamenti sanitari che garantiscano elevati standard di sicurezza». È questo il testo del nono punto della Carta Europea dei Diritti del Malato, documento stilato nel 2002 assieme a un gruppo di organizzazioni civiche europee, da parte di Active Citizenship Network (ACN), la rete continentale di Cittadinanzattiva. E sarà anche questo il motivo dominante degli eventi promossi in decine di città italiane ((l’elenco è disponbile cliccando qui) dalle sedi locali del Tribunale per i Diritti del Malato-Cittadinanzattiva, in occasione della IV Giornata Europea dei Diritti del Malato di domenica 18 aprile, che coinvolgerà sedici Paesi Europei.
In particolare, in venti città si parlerà di qualità e sicurezza in chirurgia, attraverso l’attività di informazione che i volontari del Tribunale per i Diritti del Malato e i chirurghi dell’ACOI (Associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani) svolgeranno congiuntamente nei reparti che hanno adottato la Carta della Qualità in Chirurgia e avviato un percorso per la qualità e la sicurezza nelle sale operatorie. Tale Carta – promossa a partire dal 2007 dal Tribunale per i Diritti del Malato-Cittadinanzattiva, in collaborazione con l’ACOI e la FIASO (Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere) e in partnership con Johnson&Johnson Medical – è stata ad oggi sottoscritta da ben 115 reparti in tutta Italia e rappresenta un importante esempio di alleanza tra medici e cittadini, per dare risposte concrete agli eventi avversi che possono verificarsi nelle strutture e avviare un processo di miglioramento dell’assistenza nei reparti, restituendo a ciascun attore un ruolo attivo.
Da segnalare anche che la Giornata Europea del 18 aprile aprirà ufficialmente le celebrazioni per i trent’anni di attività del Tribunale per i Diritti del Malato, che proseguiranno sino alla fine del 2010, sempre direttamente ispirate alla Carta Europea dei Diritti del Malato. Lo slogan, infatti, è Sostienici, non lasciare i tuoi diritti solo sulla carta e accompagna cinque diversi spot audio e video su altrettanti diritti sanciti nella Carta stessa: diritto alla sicurezza, all’accesso, a non soffrire inutilmente, al tempo e all’informazione.
Sempre dal 18 aprile partirà anche nel web un sito interamente dedicato (www.tribunaledirittimalato.it), su cui sarà possibile, tra l’altro, trovare strumenti per partecipare, segnalare buone e cattive pratiche, nonché suggerire tematiche su cui è richiesto l’impegno del Tribunale, oltre ai citati spot e agli altri necessari strumenti di comunicazione e informazione. (S.B.)
2. Diritto all’accesso – Ogni individuo ha il diritto di accedere ai servizi sanitari che il suo stato di salute richiede. I servizi sanitari devono garantire eguale accesso a ognuno, senza discriminazioni sulla base delle risorse finanziarie, del luogo di residenza, del tipo di malattia o del momento di accesso al servizio.
3. Diritto all’informazione – Ogni individuo ha il diritto di accedere a tutte le informazioni che riguardano il suo stato di salute, i servizi sanitari e il modo in cui utilizzarli, nonché a tutte quelle informazioni che la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica rendono disponibili.
4. Diritto al consenso – Ogni individuo ha il diritto di accedere a tutte le informazioni che possono metterlo in grado di partecipare attivamente alle decisioni che riguardano la sua salute. Queste informazioni sono un prerequisito per ogni procedura e trattamento, ivi compresa la partecipazione alle sperimentazioni.
5. Diritto alla libera scelta – Ogni individuo ha il diritto di scegliere liberamente tra differenti procedure ed erogatori di trattamenti sanitari sulla base di informazioni adeguate.
6. Diritto alla privacy e alla confidenzialità – Ogni individuo ha il diritto alla confidenzialità delle informazioni di carattere personale, incluse quelle che riguardano il suo stato di salute e le possibili procedure diagnostiche o terapeutiche, così come ha diritto alla protezione della sua privacy durante l’attuazione di esami diagnostici, visite specialistiche e trattamenti medicochirurgici in generale.
7. Diritto al rispetto del tempo dei pazienti – Ogni individuo ha diritto a ricevere i necessari trattamenti sanitari in tempi brevi e predeterminati. Questo diritto si applica a ogni fase del trattamento.
8. Diritto al rispetto di standard di qualità – Ogni individuo ha il diritto di accedere a servizi sanitari di alta qualità, sulla base della definizione e del rispetto di standard ben precisi.
9. Diritto alla sicurezza – Ogni individuo ha il diritto di non subire danni derivanti dal cattivo funzionamento dei servizi sanitari o da errori medici e ha il diritto di accedere a servizi e trattamenti sanitari che garantiscano elevati standard di sicurezza.
10. Diritto all’innovazione – Ogni individuo ha il diritto di accedere a procedure innovative, incluse quelle diagnostiche, in linea con gli standard internazionali e indipendentemente da considerazioni economiche o finanziarie.
11 Diritto a evitare le sofferenze e il dolore non necessari – Ogni individuo ha il diritto di evitare quanta più sofferenza possibile, in ogni fase della sua malattia.
12. Diritto a un trattamento personalizzato – Ogni individuo ha il diritto a programmi diagnostici o terapeutici il più possibile adatti alle sue esigenze personali.
13. Diritto al reclamo – Ogni individuo ha il diritto di reclamare ogni qualvolta abbia subito un danno e di ricevere una risposta.
14. Diritto al risarcimento – Ogni individuo ha il diritto di ricevere un risarcimento adeguato, in tempi ragionevolmente brevi, ogni qualvolta abbia subito un danno fisico, morale o psicologico causato dai servizi sanitari.
La Carta Europea dei Diritti del Malato
1. Diritto a misure preventive – Ogni individuo ha diritto a servizi appropriati per prevenire la malattia.
La nuova trincea
di Ivan Scalfarotto
Mi riesce difficile comprendere come abbiamo potuto abdicare ai nostri sogni, ai nostri ideali. Quando abbiamo cominciato a dare la prevalenza a quello che ci pare utile invece di fare quello che ci pare giusto. Io credo sia semplicemente per questo che la sinistra arranca, perché ha perso il coraggio di fare le cose in cui crede e di credere nelle cose che fa. Faccio un esempio: se il Cardinal Bertone dice una cosa così falsa e così grave come quella che mette in relazione pedofilia e omosessualità, cos’è che ci toglie la voce? Perché non siamo in grado di articolare che si tratta di una stupidaggine dal punto di vista scientifico e di un modo per creare stigma e diffidenza intorno a un gruppo di cittadini pacifici e inermi?
Il tema dei diritti delle persone omosessuali in Italia è interessante perché è lì che oggi si è spostata la trincea nella lunga guerra di posizione che concerne la conquista dei diritti civili: oggi le lesbiche e i gay italiani sono in una condizione di diminuzione positiva di diritti, assimilabile a quella delle donne prima delle riforme degli anni ’70. Pochi lo ricordano quando si glorifica la “famiglia tradizionale”, ma la famiglia eterosessuale come la conosciamo oggi non ha ancora compiuto 35 anni. Fino ad allora le donne non avevano la potestà sui figli, il tradimento coniugale era punito come un reato solo se commesso dalla moglie, c’era il matrimonio riparatore che emendava dallo stupro (naturalmente un reato contro la morale, non contro la persona), le donne non erano ammesse a fare certi mestieri: la prima magistrata italiana nel 1965.
Al contrario che nel resto d’Europa, essere omosessuali in Italia oggi significa soffrire di analoghe discriminazioni positive, anch’esse legate ad una propria caratteristica innata: sul lavoro, in ospedale, in mille altre situazioni le persone omosessuali e le famiglie che liberamente creano non possono accedere a trattamenti e condizioni riconosciute ai concittadini eterosessuali. Dove ti aspetteresti di trovare la sinistra, allora? Lì, accanto ai diritti, a chi chiede nuovi spazi di cittadinanza, a chi chiede una società più giusta e inclusiva. Siamo gli ultimi in Europa: ieri la Corte Costituzionale ha bocciato la possibilità per i gay di sposarsi, a meno di una settimana dall’opposta decisione dell’omologa corte portoghese.
Aspettiamo di vedere quali saranno le motivazioni dell’Alta Corte, come si spiegherà la differenza di trattamento basata sull’orientamento sessuale; teniamo anche presente che la Corte ha già in precedenza, su temi quali quelli della fecondazione medicalmente assistita, interpretato la propria giurisprudenza in maniera dinamica, aprendo ai diritti delle donne in sentenze successive. Certo è che aver portato il caso davanti alla Consulta, e discutere dei diritti delle persone omosessuali in Italia sottraendo la questione all’avanspettacolo e al folklore che in genere la circonda, è stata già una grande vittoria. La migliore politica può adesso su questo provare a riappropriarsi dei temi della vita, ritornare a costruire sui rapporti tra le persone, cessare le discussioni sulle formule, sulle strutture interne, sull’osservazione ossessiva del proprio ombelico. Ricominciamo a fare le cose in cui crediamo: io credo potrebbero esserci delle sorprese.
“Democrazia, legalità, lavoro. Sì alle regole e ai diritti. No ai trucchi. Per vincere”: grande manifestazione della Sinistra unita e compatta in piazza del Popolo a Roma
C’erano tutti i colori del centrosinistra oggi in piazza del Popolo, a Roma, per una manifestazione dalla piattaforma multitema, che parte dal lavoro e arriva ai pensionati. Collante l’opposizione al governo Berlusconi. Attesa per gli interventi di Bersani e del leader dell’Idv Antonio Di Pietro, ma ci saranno anche il portabandiera di tutti i microcosmi della Sinistra alternativa. Rifondazione, Verdi, Pdci, Sinistra ecologia e libertà, ma anche un precario, un lavoratore disoccupato e non solo. Chiude il concerto di Simone Cristicchi. Indetta da Pd, Idv, Verdi, Sinistra ecologia e libertà, Federazione della Sinistra, socialisti, si manifesta anche a Milano, Mestre e Potenza e con le quali Piazza del Popolo si collegherà.
fonte Virgilio
ed ecco il video della manifestazione
Coppia gay in sciopero della fame

Già mille detenuti per denuncia trattamenti inumani si sono rivolti a Antigone per ricorso a Corte Europea
“L’Italia sta violando i diritti umani nelle carceri senza porsi il problema del rimedio”. Lo denuncia Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione ‘Antigone’ che annuncia come già mille detenuti, da agosto ad oggi, abbiano chiesto il sostegno dell’associazione nella procedura di ricorso alla Corte europea dei diritti umani contro le condizioni di vita che sono costretti a subire negli istituti di pena italiani.
“Mille richieste di indennizzo, dunque, contro lo Stato italiano – spiega Gonnella – per violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani, quello che vieta le torture e le pene inumane o degradanti”. E aggiunge Gonnella “i primi ricorsi sono stati già formalmente depositati”.
La situazione delle carceri è fuori dalla legalità interna – dice ancora il presidente di Antigone – nonché della legalità internazionale. Non sono rispettate le leggi nazionali; la quasi totalità delle celle non è a norma rispetto al Regolamento del 2000 approvato dall’allora Presidente della Repubblica Ciampi.
Non sono rispettate le norme internazionali. Sono palesemente violati gli standard europei sui metri quadri a disposizione per ogni detenuto. E per questo a luglio l’Italia è stata condannata a risarcire un detenuto bosniaco di mille euro perché per mesi ha vissuto in meno di 3 metri quadri. Ipotesi configurata dai giudici europei come tortura”.
Proprio in occasione del Natale ‘Antigone’ ha visitato numerose strutture penitenziarie riscontrando situazioni gravi anche negli ospedali psichiatrico giudiziari (opg).
A Napoli, nell’ Ospedale psichiatrico giudiziario, sono 127 gli internati che trascorrono gran parte della loro giornata chiusi all’interno di celle spoglie. E’ utilizzato il letto di contenzione. “Tra i casi più gravi – racconta Gonnella – quello di un ragazzo immigrato di appena 21 anni, che si trovava seminudo (con solo uno slip e un pullover) in una cella liscia priva di ogni cosa, letto incluso e con il blindato chiuso. La cella era sporca di escrementi.
Dal registro ci risulta sia stato legato al letto di coercizione per almeno tre giorni di seguito, appena giunto in OPG, e poi portato in una cella liscia”. Nella Casa circondariale di Piacenza ci sono 398 detenuti per una capienza regolamentare di 200 posti (tasso di sovraffollamento del 199%). A Bari i detenuti sono 612, per una capienza regolamentare di 295 posti (tasso di sovraffollamento del 207%).
Alla Dozza di Bologna i detenuti sonno 1.177 detenuti in una struttura nata per contenerne 483. “Scandaloso – commenta Gonnella – il numero di 4 educatori, mentre dovrebbero essere almeno 21”. Il tasso di sovraffollamento è del 243%.
Nell’ opg di Reggio Emilia gli internati sono 295 per una capienza regolamentare di 120 posti (sovraffollamento del 245%). Nella Casa di reclusione di Alessandria San Michele i detenuti sono 384 per una capienza regolamentare di 173 posti (tasso di sovraffollamento del 221%).
“Ci auguriamo – conclude Gonnella – che il Governo non risponda a questo gravissimo vulnus allo stato di diritto raccontando per l’ennesima volta le frottole del piano carceri”.
Via col vento
Men with the italian taste: così gli anglosassoni chiamavano gli omosessuali ai tempi del Grand Tour. Quando gentiluomini, artisti e letterati del Nord calavano in quello che all’epoca era il “giardino d’Europa”, alla ricerca delle meraviglie della natura, dei lasciti della storia e dei bei ragazzi da amare. Quegli uomini “dal gusto italiano” (ma non mancavano anche audaci amazzoni che fondavano cenacoli saffici a Capri e altrove) resterebbero oggi di sasso scoprendo che l’Italia è rimasto l’unico Paese di civiltà occidentale e liberaldemocratica a non riconoscere ai gay e alle lesbiche alcuna tutela giuridica antidiscriminatoria, e alle coppie omo alcuna sistemazione legale in fatto di diritti e di doveri. Il libro di Annamaria Bernardini de Pace esce infatti al termine di una breve ma intensa stagione di mobilitazione per l’estensione dei diritti civili alle persone omosessuali e ai loro rapporti di convivenza, che si è conclusa con una clamorosa sconfitta su tutta la linea. E con il crollo della rappresentanza parlamentare del mondo GLBT, ridotta a una sola deputata lesbica dichiarata, fortunosamente emersa dalle liste del PD. Nonostante un diluvio di manifestazioni e contromanifestazioni, articoli e pubblicazioni, coming-out più o meno celebri, dibattiti politici e iniziative governative e parlamentari, l’Italia dei matrimoni civili in crescita, delle separazioni e dei divorzi dilaganti, della crescita demografica azzerata ha deciso di fingere di rappresentarsi cattolica integralista, familista, natalista e omofobica. E di non fare più nulla. A quale scopo? Con quali vantaggi? In che cosa ci guadagna il nostro Paese a rinunciare a essere una società aperta, pragmatica, realista, dinamica e soprattutto più giusta? Perché la patria di Leonardo e Michelangelo, e di una lista interminabile di omosessuali illustri, vuole ignorare l’esistenza di quella percentuale consistente di italiani anonimi e normali che per tutta o parte della vita si accompagnano a un partner dello stesso sesso?
Sarebbe lecito attendersi risposte dagli organizzatori del Family Day e dalle attuali gerarchie vaticane, che hanno vinto la battaglia. Ci dimostrino infine che era vero che umiliando la popolazione gay la società italiana sarebbe diventata più sana delle altre, che i matrimoni eterosessuali sarebbero aumentati e che si sarebbero fatti più figli. Invece il loro soddisfatto silenzio è assordante, perché non è successo nulla di simile e non succederà. Che fare allora, in un Paese dove una lunga schiera di stilisti quasi tutti gay manda in giro ragazzini e ragazzine inconsapevoli col sedere di fuori, tappezza le città di manifesti di maschi mozzafiato in mutande, ma non usa quasi per niente il suo enorme potere economico, mediatico ed editoriale per mobilitare l’opinione pubblica? Sul piano politico e istituzionale, non c’è dubbio, bisogna prepararsi a una lunga grigia stagione di ipocrisia e immobilismo che costringerà chi può a valicare le Alpi all’occorrenza. Più volte nel libro l’autrice auspica una soluzione legislativa bipartisan, spiegando come si tratti non di una battaglia di sinistra o di destra, ma di civiltà e di buon senso. E ha pienamente ragione. Peccato che a sinistra, dopo il pasticcio dei DICO, sia piombato un imbarazzato silenzio. Mentre a destra il coraggio e la libertà intellettuale dei ministri Brunetta e Rotondi, intenzionati a proporre una loro soluzione, ha già scatenato barricate e anatemi.
La verità è che, come destra e sinistra sono state colonizzate da forze clericali assolutamente sovrarappresentate rispetto al sentire comune di buona parte del Paese, così solo un’adeguata trasversalità laica potrà permetterci di sbloccare la situazione. Annamaria Bernardini de Pace lo dice così chiaramente e ripetutamente da costruire una sorta di spartiacque inedito fra chi vuole continuare a perdere le battaglie della modernità liberale e chi invece vuole avviare una vera nuova stagione di democrazia europea. Chi vuole restare o entrare nel solco della normalità internazionale deve escludere con nettezza confusioni fra morale religiosa, quale che sia, e autonomia dello stato nel regolare i fenomeni sociali e i cambiamenti del costume. È ovunque, nel mondo civile, patrimonio sia della destra che della sinistra l’applicazione integrale delle libertà fondamentali e dei diritti dell’individuo e del cittadino. Avete invece letto che in Italia non è così per chi ha un orientamento sessuale diverso dalla maggioranza. È ingiusto, è illegittimo, è umanamente feroce. Brutto segnale, anche per le altre minoranze e le altre questioni eticamente sensibili. L’uguaglianza o è per tutti o non è. Certo, col tempo si può sperare che ancora una volta ci salvi l’Europa, di cui per fortuna facciamo parte, e che dovrà prima o poi sanare anche giuridicamente l’anomalia italiana, sulla base dei tanti modi in cui si è risolto altrove il problema. Oppure, cinicamente, si può attendere che escano definitivamente di scena una classe dirigente e un elettorato ancora egemonizzati da chi è stato educato sotto il fascismo, negli oratori e nelle scuole cattoliche meno aperte. Ovunque, insomma, non sono stati letti e non vengono studiati libri di fisiologia, sessuologia, psicanalisi e antropologia culturale. E dunque gli omosessuali vengono condannati al pari delle persone sterili, di chi controlla le nascite, dei divorziati, dei risposati, delle donne costrette ad abortire, degli onanisti. Ma c’è chi ricorda che possono essere anche perdonati. Certo, solo però se si autoinfliggono la tragedia psicofisica della rinuncia alla ricerca del piacere e dell’amore!
Questo bel libro, però, non si limita alla denuncia di un’ingiustizia grave che fa soffrire milioni di persone. Ogni eterosessuale ha infatti amici o parenti o colleghi omosessuali, anche se non sempre lo sa. Non è solo una sferzata per impedirci di cadere in un lungo torpore fatto di rassegnazione e deresponsabilizzazione. Ci conferma che ottime ed equilibrate soluzioni sarebbero a portata di mano per tutti anche qui da noi. Lo si può pure considerare come un completissimo manuale di legittima difesa privata per chi, nonostante tutto, non rinuncia ad amarsi nel rispetto delle più elementari garanzie reciproche anche in Italia. Ci si può riuscire, come avete letto, con l’aiuto di un buon avvocato o di un buon notaio, spigolando fra codici e sentenze. Ma non senza limiti, controindicazioni ed effetti collaterali, di cui l’autrice, cui va tutto il mio affetto e il mio ringraziamento per quel che fa e come lo fa, è pienamente cosciente, tanto da essere la prima a indicarli. Si tratta infatti di rimedi che sistemano solo aspetti economici e patrimoniali. Dunque, aggiungo io, si tratta di rimedi classisti che ribadiscono un’antica ulteriore discriminazione a danno di chi non è ricco, famoso e potente. Ma soprattutto si tratta di un approccio che rischia, ma non vuole diventare un alibi a non legiferare per trovare, per tutti, soluzioni alla luce del sole. Le soluzioni privatistiche non devono mai essere, in democrazia, la scorciatoia per negare dignità sociale e riconoscimento pubblico a chi non ha nulla da togliere e molto da dare alla comunità. Omosessuali, donne, giovani sono le categorie sociali che hanno innervato di linfa vitale le nuove primavere di tanti paesi all’avanguardia, come la Spagna. Cioè proprio le stesse categorie tenute ai margini da un’Italia non a caso in declino. Non dimentichiamolo mai.
“Diritti diversi”, A.M. Bernardini de Pace, 2009 RCS Libri SpA / Bompiani