“Detenuti e diversamente abili” di Giovanni Lentini dal carcere Dozza di Bologna


Dio ha scelto per entrambi lo stesso destino, ponendoci diversi limiti che ci accomunano. Da quando abbiamo cominciato questo corso si è parlato spesso delle cose che accomunano noi detenuti con le persone diversamente abili e devo ammettere che sono tantissime, dalle barriere architettoniche che limitano i nostri movimenti fisici ai pregiudizi della gente e al bisogno costante che abbiamo degli altri. Non è autocommiserazione, anzi, voglio esternare la voglia di vivere e di combattere che c’è dentro ogni detenuto, per superare tutti i deficit, facendo conoscere al mondo questa cruda realtà, anche al fine di evitare spiaceevoli disgrazie che possono travolgere chiunque. Perché la mala informazione porta spesso a far credere alla gente cose assolutamente non vere, sia sulla certezza della pena e sia sull’espiazione della stessa, pubblicando statistiche non corispondenti alla realtà. Mi è capitato di leggere o sentire ai telegiornali che per un omicidio non si sta in carcere più di otto anni, o per un sequestro di persona 5 o 6 anni, sono solo menzogne e penso che questa male informazione non fa altro che incentivare la delinquenza, “la gente pensa che può commettere qualsiasi reato, tanto in Italia le pene non sono certe”. Diciamo che non è così, raccontiamo come si espia una condanna in Italia e che esiste l’ergastolo, che ergastolo significa FINE PENA MAI. Una condanna perpetua proprio come quella di un disabile che è costretto a stare per tutta la vita su una sedia a rotelle. Mi viene da citare un passo di Seneca dal libro “La Provvidenza”, probabilmente solo per farmi una ragione di quanto mi sta accedendo e per farmi forza. Seneca scrisse che chi viene colpito da malattie, dolori o altre disgrazie è stato giudicato degno di sperimentare sulla propria pelle la resistenza ella natura umana, quindi dovremmo considerarci fortunati e affrontare le avversità quotidiane combattendo con orgoglio e tenacia. La prima domanda che mi faccio riguarda la detenzione: cosa si vuole ottenere da una persona detenuta isolandola dal resto del mondo senza dargli la possibilità di rendersi utile in qualche maniera nei confroti della società, di se stesso e della propria famiglia? La seconda domanda riguarda invece la realtà carceraria: la società conosce la realtà del carcere e dell’espiazione di una condanna, di come si vive in carcere, pardon, forse è meglio scrivere di come si sopravvive in carcere? A questa domanda mi rispondo da solo. Secondo me, la maggior parte della popolazione libera non si avvicina minimamente nemmeno con il pensiero alla cruda realtà dei detenuti. E allora perché non cerchiamo di far conoscere al mondo la nostra realtà? Come sappiamo, la pena di un condannato dovrebbe essere afflittiva e soprattutto rieducativa e portare l’individuo piano piano al reinserimento nella società civile, ma come può un detenuto reinserirsi se la prima cosa che fa il carcere è tenerlo isolato dal resto del mondo, negandogli persino la possibilità di coltivare i rapporti con i propri cari? Come è possibile coltivare un rapporto con le misere ore di colloquio visivo che si differenziano da detenuto a detenuto e che comunque non superano mai le sei ore al mese e delle 4 telefonate mensili da 10 minuti ciascuna, quando si è fortunati e si usufruisce di tutti questi “benefici” si arriva a un totale di circa 80 ore che rappresentano poco più di tre giorni in un anno. E’ possibile secondo voi mantenere un rapporto solido con i propri cari? E’ difficile se non impossibile se si aggiunge che durante gli incontri con i propri familiari non si può avere nemmeno un secondo di privacy perché c’è sempre la presenza di un agente di custodia e comunque gli incontri avvengono in sale con altri detenuti mentre i colloqui telefonici nella maggior parte dei casi sono sempre registrati. Il solo pensiero di perdere gli affetti della propria moglie e dei propri figli è devastante anche se è un pensiero che assilla costantemente il detenuto e gli fa pensare che sarà impossbile un reinserimento nella società senza l’affetto dei propri cari. Bisognerebbe fare qualcosa per modificare le leggi vigenti affinchè si possa avere la possibilità di trascorrere più tempo con i propri familiari in quanto è proprio la famiglia il pilastro fondamentale della società e di ognuno di noi. Fortunatamente questa idea è condivisa sia dalla chiesa che dai partiti politici che ne fanno il loro cavallo di battaglia poiché solo con una famiglia solida si può affrontare un serio percorso di reinserimento sociale. Mi chiedo spesso se tutti i magistrati sono a conoscenza delle modalità e di come si espia una condanna. Perché mi è capitato di chiedere un’autorizzazione di colloqui durante un’udienza del mio processo ed il Magistrato competente rivolgendosi verso la gabbia dove ero rinchiuso mi chiese se le sei ore di colloquio che chiedevo erano giornaliere ed io gli risposi “magari”, controllò il codice penitenziario e si accorse che non era possibile, quindi capii che nemmeno lui che è un Magistrato era al corrente di come si espia una condanna. Facciamo conoscere al mondo le molteplici relatà di vita in carcere e soprattutto facciamo sapere cche le carceri non sono hotel o nights dove si beve champagne e le celle non sono delle suite con tutti i comfort ma luoghi di 12 metri quadri dove viviamo in 2 o 3 persone, all’interno cuciniamo, mangiamo, dormiamo e facciamo i nostri bisogni fisiologici, gli animalisti giustamente si allarmano quando vedono leoni o tigri rinchiusi in gabbie di almeno 20 metri quadri e sono soli, noi esseri umani cosa dobbiamo dire? I diritti umani che fine fanno? Fortunatamente la realtà in cui vivo io qui nel carcere di Bologna mi permette di frequentare un corso di ragioneria, un corso di etica e filosofia, un corso di teatro dove tra l’altro l’anno scorso siamo riusciti ad ottenere ottimi risultati portando in scena qui in carcere, aperto anche al pubblico civile, una tragedia greca “Anfitrione”, hanno parlato di noi diverse testate giornalistiche “stavolta positivamente”. Purtroppo nel circuito dove mi trovo recluso ci sono tante limitazioni per motivi di sicurezza e di conseguenza non possiamo frequentare altre attivitàche ci sono in questo istituto, non abbiamo la possibilità di lavoraree di renderci utili in nessun modo né per noi né tanto meno per i nsotri familiari, siamo ei parassiti della società e delle nostre famiglie. I giornali non fanno altro che parlare in maniera negativa dei detenuti e di conseguenza la popolazione civile ha dei pregiudizi altrettanto negativi su di noi. Abbattiamo questi muri di negatività e facciamo capire alla gente che dietro l’etichetta “detenuto” ci sono degli esseri umani con un cuore che pulsa, con un animo e con tanta voglia di vivere. In ognuno di noi si nasconde qualcosa di buono, bisogna lavorarci e tirarlo fuori, solo così si potrà costruire qualcosa di positivo per noi e per l’intera società. Se non si conoscono i problemi che ci affliggono è impensabile riuscire a trovare una soluzione. Anche io prima di frequentare questo corso di etica ignoravo i problemi delle persone disabili, adesso non dico che mi sto adoperando per risolverli, sarebbe troppo bello, ma almeno sto imparando a capire quali sono le loro esigenze e cosa c’è dietro l’etichetta “diversamente abile” o “handicappato”, anche dietro queste persone c’è tantissima voglia di vivere e tanto da imparare. Fortunatamente ci sono varie associazioni di volontariato che si occupano dei disabili e insieme a loro hanno combattuto e comabttono giorno per giorno per i propri diritti e per essere considerati persone normali quali sono. Combattiamo anche noi per essere considerati uomini e non de mostri, combattiamo per renderci utili e per non rimanere lo scarto della società o solo dei parassiti. Sarò ripetitivo ma è troppo importante far conoscere a tutti i nostri deficit affinchè ci aiutano a non farli diventare handicap.

La situazione. Il Consiglio d’Europa condanna l’Italia per troppa violenza e suicidi


di Valter Vecellio

  Nuova condanna per l’Italia. Il Consiglio d’Europa condanna il nostro paese per le troppe violenze “istituzionali” e i suicidi. La condanna si riferisce a una “ispezione” effettuata nel 2008, ma è da credere che in due anni la situazione non sia mutata troppo; anzi, è forse perfino peggiorata. L’agenzia “Ap-Com” così riassume il rapporto-denuncia:

  “Troppa violenza nelle carceri italiane, dove il sovraffollamento e le continue risse pesano sull’altissimo numero di detenuti suicidi. Lo rileva il comitato del Consiglio d’Europa per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani o degradanti (Cpt), che ha pubblicato il rapporto relativo alla sua quinta visita periodica in Italia, effettuata dal 14 al 26 settembre 2008, corredato dalla relativa risposta del Governo italiano.

Troppe violenze – Per quanto concerne il trattamento dei detenuti da parte delle forze dell’ordine, il rapporto riferisce che la delegazione del Cpt ha ricevuto un certo numero di denunce di presunti maltrattamenti fisici o di uso eccessivo della forza da parte di agenti della polizia e dei carabinieri, e, in minor misura, da parte di agenti della guardia di finanza, soprattutto nel Bresciano. I presunti maltrattamenti consistevano essenzialmente in pugni, calci o manganellate al momento dell’arresto, e, in alcuni casi, nel corso della permanenza in un centro di detenzione. “Per certi casi – si legge nel rapporto – la delegazione ha potuto riscontrare l’esistenza di certificati medici attestanti i fatti denunciati”. Nella loro risposta, le autorità italiane “hanno indicato che sono state emanate delle direttive specifiche per prevenire e punire il comportamento indebitamente aggressivo delle forze dell’ordine. Inoltre, le autorità hanno fornito le informazioni richieste sui punti sollevati dal Cpt in materia di garanzie procedurali contro i maltrattamenti”.

Le condizioni di detenzione – Sono state inoltre esaminate le condizioni di detenzione presso il Centro di identificazione e di espulsione (Cei) di Via Corelli a Milano. Il Cpt ha raccomandato, tra l’altro, che siano garantiti agli immigrati irregolari che vi devono essere trattenuti “maggiori e più ampie possibilità di attività”. Per quanto concerne le carceri, la delegazione che ha effettuato la visita a nome del Comitato ha posto l’accento sul sovraffollamento delle prigioni, sulla questione delle cure mediche in ambiente carcerario e sul trattamento dei detenuti sottoposti al regime di massima sicurezza (il “41-bis”).

Allarme a Cagliari e Brescia – Il Cpt ha espresso “viva preoccupazione” per il livello di violenza registrato all’interno delle carceri di Brescia-Mombello e di Cagliari-Buoncammino, dove episodi di violenza tra detenuti nel corso del 2008 hanno causato lesioni gravi e, in un caso, la morte di un carcerato. Inoltre, il Comitato ha ricevuto a Cagliari alcune accuse relative al fatto che il personale carcerario non sarebbe sempre intervenuto tempestivamente per sedare le risse tra detenuti. Le autorità italiane hanno indicato nella loro risposta che “la direzione generale delle carceri ha invitato le prigioni di Brescia e di Cagliari a prendere tutte le misure necessarie per impedire la violenza tra detenuti. Hanno inoltre affermato – riferisce il Comitato – che dall’autunno del 2008, si è ottenuta una diminuzione degli episodi di violenza, a seguito di una convenzione conclusa tra il carcere di Cagliari e la Caritas”.

L’ospedale psichiatrico – Per quanto concerne l’ospedale psichiatrico giudiziario Filippo Saporito (Opg) di Aversa, il rapporto pone in evidenza le scadenti condizioni della struttura e la necessità di migliorare il regime quotidiano di degenza dei pazienti, aumentando il numero e la varietà delle attività trattamentali quotidiane loro garantite. La delegazione ha inoltre riscontrato che alcuni pazienti erano stati trattenuti nell’Opg più a lungo di quanto non lo richiedessero le loro condizioni e che altri erano trattenuti nell’ospedale anche oltre lo scadere del termine previsto dall’ordine di internamento. Le autorità italiane hanno fatto valere nella loro risposta che l’ospedale è in corso di ristrutturazione e che la legge non prevede un limite per l’esecuzione di misure di sicurezza temporanee non detentive. In merito al Servizio psichiatrico di diagnosi e cura (Spdc) presso l’ospedale San Giovanni Bosco di Napoli, la delegazione ha concentrato l’attenzione sul ricorso al trattamento obbligatorio dei pazienti. Il Comitato raccomanda di apportare miglioramenti alla fase giudiziaria della procedura relativa al trattamento sanitario obbligatorio”.

 Ora la parola spetta al Governo, al ministro della Giustizia; alle forze politiche, di maggioranza e di opposizione. Per giorni, settimane, i radicali offrono una costante, puntuale, precisa, dettagliata informazione, accompagnandola a soluzioni politiche praticabili e ragionevoli. Finora hanno prevalso indifferenze e calcoli meschini di partiti come la Lega e l’Italia dei Valori, che hanno fatto della demagogia il loro programma politico; favoriti da un PD che appare paralizzato e paralizzante. La condanna del Consiglio d’Europa, anche se si riferisce al 2008 impone che si esca da questa palude. Questa vergogna dura da troppo tempo, questa aberrazione deve finire.

da www.radicali.it

Cina: uccide e mangia tigre rarissima, condannato a 12 anni


tigreUn cittadino cinese è stato condannato a 12 anni di prigione per aver ucciso e mangiato una che, secondo l’ accusa, avrebbe potuto essere l’ ultimo esemplare della sua specie. L’ uomo, Kang Wannian, ha affermato di aver ucciso l’ animale per difendersi ma i giudici non gli hanno creduto, comminandogli una condanna a dieci anni per aver ucciso un animale raro, più due per possesso illegale di arma da fuoco.

Altri quattro abitanti del suo villaggio, ai confini tra la ed il Laos, sono stati condannati a pene tra i tre ed i quattro anni di prigione per averlo aiutato a smembrare la tigre e per aver mangiato con lui la sua carne. Kang è stato anche condannato a pagare una multa di 480mila yuan (circa 48mila euro).

La corre un serio rischio di , secondo gli studiosi del problema: oggi ne rimarrebbero in vita meno di mille esemplari nelle foreste di Laos, Vietnam, Cambogia e Thailandia. Nella zona dove è avvenuto il fatto, secondo un giornale locale, era stata accertata la presenza di una sola tigre, che non è stata avvistata negli ultimi due anni.

da www.blitzquotidiano.it