Scienza: il cervello dell’amante lasciato ‘impazzisce’ d’amore


L’amore e’ come una dipendenza da droga e purtroppo quando un amore finisce e’ come si andasse in crisi d’astinenza e le conseguenze possono essere imprevedibili. E’ quanto emerge da uno studio sul cervello di un innamorato ferito: appena vede la foto dell’amato che l’ha lasciato il suo cervello attiva intensamente aree legate al desiderio, alla dipendenza da droghe (in modo simile a quello di una crisi d’astinenza) e al dolore. La ‘foto’ del cervello abbandonato’ e’ stata scattata in una ricerca pubblicata sul Journal of Neurophysiology da Lucy Brown e Saul Koreydell’Albert Einstein College of Medicine of Yeshiva University di New York. Gli esperti hanno analizzato con la risonanza magnetica cosa succede nel cervello di 15 studenti di college recentemente ‘abbandonati’ dal proprio amato. Al solo vederlo in foto le emozioni da cui i volontari sono invasi scuotono il loro cervello dove si iperattivano diverse aree neurali: l’area ”ventrale tegmentale”, che controlla motivazione o incentivo a fare qualcosa da cui trarre appagamento (area gia’ nota per il suo coinvolgimento nei sentimenti suscitati dall’amore romantico); il ”nucleo accumbens” e le corteccie orbitofrontale e prefrontale, associate al desiderio e alla tossicodipendenza, in particolare il sistema dopaminergico che e’ coinvolto nella dipendenza da cocaina; infine la corteccia insulare e quella cingolata anteriore, associate con dolore fisico e stress. Lo studio dimostra che l’abbandono da parte della persona amata genera delle reazioni ‘folli’ nel cervello del triste innamorato, tanto folli che a volte  potrebbero portare a gesti inconsulti

fonte ANSA

Il coraggio e’ nel cervello, ecco come abbiamo “fegato”


Siete dei cuor di leone? Dipende da un’area del cervello che si attiva quando intraprendiamo scelte e azioni coraggiose. Il cuore del coraggio è stato scoperto da Yadin Dudai della Weizmann Institute of Science a Rehovot presso Israele in un lavoro pubblicato sulla rivista Neuron. Si tratta della corteccia cingolata subgenuale anteriore e si accende quando compiamo un’azione coraggiosa vincendo una nostra paura. La scoperta potrebbe aiutare nella cura delle fobie: un’ipotesi terapeutica potrebbe per esempio essere di stimolare l’area del coraggio per renderla più forte contro le paure. Gli esperti hanno coinvolto un gruppo di volontari e sondato la loro paura dei serpenti; poi li hanno messi di fronte la paura, un serpente, chiedendogli se avevano il coraggio di avvicinarselo. La scoperta è stata che, nonostante la paura dichiarata, nel cervello dei coraggiosi che accettano di avvicinarsi al serpente, si attiva la corteccia cingolata subgenuale anteriore.

fonte ANSA

Cervello: i ricordi a volte si cancellano, le emozioni mai


A volte una persona anziana non e’ piu’ in grado di ricordare un fatto sepolto nel suo lontano passato, eppure puo’ ancora provare il ‘brivido’ dell’emozione che quel fatto, per esempio la nascita di un figlio, ha prodotto. Anche un individuo malato, la cui memoria e’ KO per esempio per via del morbo di Alzheimer, non ricordera’ neanche cosa ha fatto 10 minuti prima ma, se quell’azione gli ha prodotto un sentimento, state pur certi che la sua memoria inceppata lo ricordera’. Le emozioni, infatti, secondo una ricerca pubblicata sui Proceedings of the National Academy of Sciences, lasciano segni indelebili nel cervello: anche quando i ricordi scompaiono le emozioni loro legate rimangono. La scoperta e’ di Justin Feinstein e DanTranel dell’universita’ dell’Iowa. Gli esperti hanno osservato pazienti con gravi forme di amnesia e visto che, anche se incapaci di ricordare sia pure un minimo la trama di un film appena visto, ricordano e continuano a provare a lungo le emozioni suscitate dalla visione del film. Questi risultati hanno implicazioni importanti su due fronti: oggi sono in corso molte ricerche volte a trovare un metodo per cancellare il ricordo di un evento traumatico ma, stando a questo studio, anche se cancelli il fatto doloroso non e’ detto che cio’ basti a cancellare il dolore procurato da quell’episodio; inoltre i malati di Alzheimer, pur ricordando poco o nulla delle loro giornate, hanno ‘ricordi emotivi’ che non vanno dimenticati per offrire loro un’assistenza di qualita’. Gli esperti hanno osservato la ”memoria emotiva” di un gruppo di pazienti colpiti da grave amnesia a causa di lesioni a livello dell’ippocampo che e’ la sede della nostra memoria ed e’ cruciale per il trasferimento delle nuove informazioni nel ‘cassetto’ della memoria permanente. Questi pazienti hanno difficolta’ a ricordare qualsiasi informazione in modo duraturo. I neuropsicologi hanno lasciato vedere per alcuni giorni dei film, commedie o film drammatici per suscitare felicita’ o tristezza in questi pazienti. Pur non avendo problemi a ridere o piangere di un film, i pazienti gia’ a 10 minuti dalla visione non ricordano minimamente cosa hanno visto. Eppure, e’ emerso sottoponendoli a questionari ad hoc per valutare il loro stato emotivo, i pazienti trattengono a lungo le emozioni suscitate dalla visione dei film, soprattutto la tristezza. ”I pazienti continuano a provare le emozioni scatenate dal film, la tristezza piu’ a lungo della felicita’, entrambi i sentimenti durano molto piu’ a lungo di quanto persista in loro il ricordo del film”, ha spiegato Feinstein. Cio’ potrebbe significare che non basta cancellare il ricordo di un evento traumatico per cancellare il dolore legato a quell’evento. Inoltre, ha concluso Feinstein, e’ necessario tener conto di questi risultati per assistere con umanita’ un malato di Alzheimer: questo non si ricordera’ di certo una telefonata affettuosa di un parente ma manterra’ il bel ricordo dell’emozione suscitata da quella chiamata. Viceversa se lo si trattera’ con non curanza e poco rispetto, il malato se ne ricordera’ anche se la sua memoria non funziona.

fonte  ANSA

Il cervello dei maschi è fatto per pensare al sesso


Forse è inutile se non esagerato dare in incandescenze per uno sguardo o un apprezzamento di troppo, non è detto infatti che, se gli occhi del partner si allungano spesso per ‘fotografare’ qualche forma femminile di passaggio, dietro ci sia l’intenzione di tradire. La spiegazione è più semplice: il maschio è di default un po’ ‘guardone’, il suo cervello è di natura più occupato dal sesso.

Ma non c’é da preoccuparsi, è la sua natura, che però non significa che l’uomo è un traditore incallito, o che tutti i maschi siano come Tiger Woods, è la rassicurazione che emerge dal libro ‘il cervello dell’uomò (The Male Brain), della psichiatra Louann Brizendine che dirige la Women’s Mood and Hormone Clinic a San Francisco, resa famosa dal suo precedente libro, ‘il cervello della donna’. La natura maschile, come quella femminile del resto, spiega Brizendine che insegna anche all’Università di San Francisco, é il risultato di un mix ormonale e dell’influenza della cultura sulla crescita di ognuno di noi.

Insomma come a dire che il testosterone ci mette del suo a mascolinizzare il cervello e il resto lo fa la società che tende a ‘forgiare’ i bambini come ‘machi’ e le bambine come ‘bambole’. “Quando ho raccontato la mia intenzione di scrivere questo libro – scrive Brizendine nell’introduzione al testo – la maggior parte delle persone mi hanno risposto ironiche: ‘sara’ un libro molto brevé. Ciò mi ha reso consapevole del fatto che l’idea che il maschio sia il ‘modello base’ dell’essere umano è ancora molto pervasiva nella nostra cultura. Il maschio è considerato un essere semplice, la femmina invece più complessa”.

Ma secondo la neuropsichiatra questa è una semplificazione eccessiva, fermo restando che delle differenze ci sono, tra il cervello femminile e il cervello maschile. Dietro molte di queste diversità si nascondono gli ormoni di lui e di lei, spiega. Nella donna gli estrogeni e l’ossitocina predispongono il cervello a comportamenti femminili, tipicamente più empatici e affettuosi; nel maschio, invece, testosterone, vasopressina e MIS (sostanza inibitrice Mulleriana) la fanno da padroni e in qualche modo ne condizionano i comportamenti. “Non a caso sappiamo che nel cervello maschile l’impulso sessuale occupa uno spazio, nell’ipotalamo, che è ben due volte e mezzo più grande di quello occupato nel cervello di lei – scrive la psichiatra; e che i pensieri sessuali guizzano nel cervello maschile notte e giorno, in particolare nella corteccia visiva, tenendolo sempre pronto a cogliere un’occasione sessuale che gli si presenti. Le donne non sempre si rendono conto che l”organo maschilé ha una mente sua propria”.

Ma questo non fa di lui un ‘orso insensibile’, né prende le difese la psichiatra. Purché sia chiaro che il suo cervello comunque lo rende più incline a sguardi bramosi quando gli passa davanti una ‘sventola’, ciò non vuol dire che il maschio sia meno interessato ad innamorarsi o al contrario che con più facilita si lasci andare a storielle extraconiugali, conclude, con buona pace di lui e, forse, anche di lei.

fonte ANSA

Cervello: ci specchiamo negli altri


Riconoscere in un sorriso anche solo accennato la felicità di un nostro caro oppure sentirsi un nodo in gola dal dolore di fronte al pianto dirotto di una persona o guardando scene raccapriccianti: vuol dire provare ‘empatia’, capire gli altri ‘specchiandocisi’ dentro con una risorsa del nostro cervello, i neuroni specchio: a oltre 20 anni dalla loro scoperta nelle scimmie, arriva ora la prova definitiva che questi neuroni esistono anche negli esseri umani. Grazie a uno studio pubblicato sulla rivista Current Biology per la prima volta si ha la prova diretta, la registrazione della loro attività, nel cervello di pazienti cui, per motivi clinici, erano stati impiantati elettrodi.

A fornirla il team dell’italiano Marco Iacoboni dell’Università di Los Angeles in uno studio tanto atteso perché finora la loro esistenza nell’uomo era solo teorizzata o provata in modo indiretto. E non è tutto: il team ha anche scoperto nuove popolazioni di neuroni specchio in varie aree neurali. Scoperti nelle scimmie dal team di Giacomo Rizzolatti dell’Università di Parma in una serie di lavori compiuti tra gli anni ’80 e ’90, i neuroni specchio sono nella corteccia cerebrale a livello frontale e parietale e sono alla base della capacità di comprendere e riprodurre le azioni altrui. Funzionano proprio come uno specchio riproducendo nel nostro cervello azioni o stati d’animo osservati in alre persone. In pratica, cioé, si attivano sia quando compiamo un’azione, sia quando la vediamo compiuta da altri. Il sorriso di qualcuno che arrivi ai nostri occhi, quindi, li eccita come si ecciterebbero se fossimo noi stessi a sorridere.

Malgrado l’esistenza di un sistema di neuroni specchio nelle scimmie, tuttavia, finora l’evidenza diretta di un tale sistema di neuroni negli umani mancava, anzi di recente era stata anche messa in discussione da uno studio dell’Università di Trento pubblicato sulla rivista ‘PNAS’. Mancava (anche se vi erano prove indirette con la risonanza magnetica), per ovvi motivi, infatti non è etico impiantare elettrodi nel cervello di persone solo a scopo di ricerca. Il problema è stato superato, spiega Iacoboni, in Usa da oltre 10 anni dopo la laurea in medicina all’Università di Roma La Sapienza, coinvolgendo 21 pazienti in cura per epilessia cui erano stati impiantati elettrodi a scopo clinico.

Ebbene, durante il loro ricovero, il team di Iacoboni ha detto loro di osservare o eseguire certe azioni (come aggrappare oggetti), oppure espressioni facciali. In accordo con la teoria, sia all’osservazione sia all’azione, i neuroni specchio si sono accesi e la loro eccitazione è stata registrata in diretta dagli elettrodi: in tutto è stata registrata l’attività di 1177 neuroni specchio e ne sono stati trovati alcuni anche in aree neurali dove finora non si supponeva la loro presenza. “Poiché queste nuove aree della corteccia svolgono diverse funzioni (visione, movimenti, memoria)- conclude Iacoboni – la scoperta suggerisce che i neuroni specchio forniscono un ricco e complesso sistema di ‘riproduzione’ di azioni e emozioni altrui”.

fonte ANSA

NUTRIMENTE: Nutrire la mente – Feeding brains


di Daniela Domenici

Per nutrire

la mente

si deve capire

seriamente

che il cervello va allenato

con la cultura saziato

con la musica nutrito

con l’arte colorito.

Nutrire la mente

è una missione imponente

che riempie il cuore

di chi lo fa con amore.

Gesti inutili? Alle donne non sfuggono


Il cervello femminile risponde più rapidamente di quello maschile alle azioni prive di senso. Ad accorgersi dell’errore, rivela uno studio italiano, sono in entrambi i neuroni specchio

 Bastano circa 200 millisecondi al cervello per accorgersi che un’azione è stupida, inutile o semplicemente un errore. A quello delle donne però basta anche qualcosa di meno. A compiere questa opera di identificazione, come spiega Alice Mado Proverbio dell’Università di Milano-Bicocca (inseme a Federica Riva e Alberto Zani dell’Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolare del Cnr di Milano) sulle pagine di Neuropsychologia, sono i neuroni specchio.

Queste cellule nervose si attivano quando un soggetto ne vede un altro compiere un’azione e sono alla base dell’empatia e delle relazioni sociale (Vedi Galileo). La loro attività è maggiore quando si osserva un’azione con uno scopo (afferrare un oggetto per usarlo) rispetto a quando se ne guarda una non finalizzata (prendere un frutto e buttarlo invece di mangiarlo); sono quindi in grado di attivare un circuito neuronale capace di distinguere tra azioni sensate e azioni inutili.

Per esaminare questa capacità, i ricercatori milanesi hanno coinvolto 23 studenti universitari, sia maschi sia femmine, e hanno chiesto loro di osservare 260 immagini. Contemporaneamente gli scienziati registravano da 128 sensori l’attività cerebrale stimolata dalla visione. Le immagini utilizzate ritraevano persone nell’atto di compiere azioni di diverso tipo: in alcune i soggetti si dedicavano a normali attività quotidiane come lavarsi o brindare; in altre, invece, compivano azioni completamente prive di scopo. Ai partecipanti tuttavia non era chiesto di distinguere esplicitamente tra un’azione appropriata e una non appropriata.

Le analisi dei dati ottenuti con i sensori hanno mostrato tuttavia un riconoscimento automatico delle azioni insensate, immediatamente successivo alla visione dell’immagine: a partire dai 170 ai 200 millisecondi con un picco di attività (riconoscimento di un errore) tra i 450 e i 600 millisecondi. Il cervello femminile è quello che ha mostrato un’elaborazione più rapida rispetto a quello maschile, e un’attivazione dei neuroni specchio presenti nelle aree cerebrale più legate all’affettività (corteccia cingolata e del sistema limbico). Negli uomini invece ad attivarsi era l’area più “razionale”(corteccia orbitofrontale).
 
“Questi risultati sembrano suggerire una maggiore suscettibilità femminile alle azioni incongruenti”, ha spiegato Alice Mado Proverbio “e forniscono nuove prove dell’esistenza dei neuroni specchio anche negli esseri umani, e del loro ruolo nei comportamentali sociali complessi di imitazione, apprendimento e valutazione dell’appropriatezza”. (c.v.)

Riferimenti: Neuropsychologia doi:10.1016/j.neuropsychologia.2010.01.015

da www.galileonet.it

Ecco dove nasce l’intelligenza


– L’intelligenza potrebbe risiedere in alcune aree precise del cervello: infatti per la prima volta sono stati mappati i “circuiti dell’intelligenza”, ovvero quelle aree neurali che sono maggiormente legate al quoziente intellettivo individuale. La mappa anatomica dell’intelligenza, resa nota sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, comprende aree della corteccia parietale, di quella frontale e della corteccia fronto-polare, nonché le interconnesioni tra queste regioni attraverso le fibre nervose. Si tratta di aree e connessioni importanti per i processi verbali, visuospaziali, esecutivi, per la memoria di lavoro.

La ricerca è frutto del lavoro di un’equipe multicentrica di neurologi del California Institute of Technology (Caltech), dell’Università dell’Iowa, della University of Southern California (USC), dell’Università di Madrid, diretti da Ralph Adolphs. Dove nasca l’intelligenza è una domanda vecchia quanto il mondo, di fatto la teoria dominante finora era che non si può parlare dei ‘circuiti dell’intelligenzà perché l’intelligenza non nasce fisicamente in nessuna parte del cervello ma piuttosto dall’integrazione e la connessione di differenti aree. Per esempio secondo una ricerca pubblicata sul Journal of Nueroscience l’intelligenza non risiede in alcuna area in particolare ma in tutto il volume del cervello, ovvero l’intelligenza dipende dall’organizzazione della rete neurale del nostro cervello, dalle interconnessioni efficienti che collegano rapidamente diverse aree neurali vicine e lontane, piuttosto che dalle aree neurali stesse.

Un altro studio, invece, sostiene che il segreto dell’intelligenza sia nascosto nella materia grigia e che a far impennare il quoziente intellettivo (QI) di una persona sia non il volume complessivo di essa, bensì la sua localizzazione in zone ‘strategiche’ del cervello e che quindi esistono diversi tipi di intelligenza. Per esempio se la materia grigia è più sviluppata in certe zone può nascere l”intelligenza musicalé, se più sviluppata in altre quella ‘artistica’ e così via. Il nuovo studio invece mostra che la ‘sede fisica’ dell’intelligenza generale si può localizzare in alcune aree precise del nostro cervello. Gli esperti hanno infatti osservato il cervello di 241 pazienti con lesioni neurali di varia natura e misurato il QI di ciascun paziente. E’ emerso che il QI dipende fortemente da dove si localizzano le lesioni cerebrali e che a certe lesioni è sempre associato un QI basso. Le regioni associate all’intelligenza generale sono aree della corteccia parietale, di quella frontale e della corteccia fronto-polare, nonché le interconnesioni tra queste regioni attraverso le fibre nervose.

Questi risultati inficiano la teoria delle ‘intelligenze multiple’ e concordano con la teoria di Spearman secondo cui invece esiste una intelligenza generale (nota come fattore G di Spearman), che comprende varie prestazioni di pensiero, ragionamento, abilità verbali e numeriche. Gli esperti l’avrebbero localizzata fisicamente: “abbiamo isolato una rete anatomica importante per elaborare gli stimoli esterni – scrivono su Pnas – che potrebbe operare in parallelo con altre reti” critiche per altre funzioni.

fonte ANSA

Gocce…un po’ speciali


Ho ricevuto, via mail, queste parole e questa deliziosa filastrocca creata apposta per me da una persona che ho “conosciuto” solo via web attraverso i nostri rispettivi spazi, e che ha sentito il desiderio di scrivermi quello che segue.

Grazie Paolo 🙂

Nei libri sta scritto che il mondo emotivo che percepiamo è una nostra elaborazione e non la realtà. In base a questa elaborazione noi operiamo una costruzione del nostro mondo.
Delle piccole molecole influenzano la formazione di mappe in certe parti del cervello adibite a dare piacere, se mancano, la nostra ricostruzione ne risentirà, e noi vedremo il mondo nero.
Siccome solitamente le spiegazioni razionali servono a poco, ecco che ti invio un boccettina che contiene…

Alla donna ch’è depressa
non regalo la compressa
ma le dico con pazienza
noi di te non facciam senza.

C’ho un armadio e dentro quello
all’interno d’un secchiello
conservato assai con cura
c’ho bottiglia in vetro, dura.

Dentro al vetro stanno strette
delle gocce che per sette
giorni tu dovrai pigliare
e il sorrì verrà a tornare.

In ste gocce si contiene
una stilla che fa bene
se ne bevi con diletto
fan tornar il viso lietto.

Cara Dani è con passione
preparata la pozione
e se leggi tutte ‘e piste
fan fuggire il viso triste.

Stai allegra cara, non far vincere il dèmone…

Meglio Google di un libro per allenare il cervello


Fare ricerche su Internet allena il cervello, e può farlo ancor più che leggere libri, almeno così rivela uno studio che sarà pubblicata sul numero di febbraio del Journal of Geriatric Psychiatry.
Un team di ricercatori dell’università californiana Ucla ha sottoposto 24 soggetti tra i 55 e i 76 anni a due esperimenti: in uno dovevano leggere un libro e nell’altro dovevano fare ricerche su Internet mentre il cervello veniva monitorato con la risonanza magnetica.

La risonanza ha mostrato che, i entrambi i casi, venivano stimolate le regioni cerebrali responsabili del controllo del linguaggio, della memoria e della visione, ma l’uso dei motori di ricerca attiva anche le aree che controllano le decisioni complesse, segno che in questo caso l’attenzione è più sollecitata. “E’ un po’ presto per dire che Google aiuterà a sconfiggere l’Alzheimer – precisa Gary Small, coordinatore dello studio – ma di sicuro l’uso dei motori di ricerca cambia in maniera estensiva i circuiti cerebrali”.

fonte www.rainews24.it