Quelle morti sospette in carcere: trenta vittime in sette anni


di Roberto Bianchin

morti sospette in carcere

Mauro aveva solo 33 anni quando morì in carcere. «Arresto cardiocircolatorio», fu la motivazione ufficiale. Ma quando suo padre, Giuseppe, vide la salma, impallidì. Il corpo di Mauro Fedele era pieno di lividi. Aveva la testa fasciata, e segni blu di percosse, come se fosse stato colpito con un ferro di cavallo, sul collo, sul petto, sui fianchi e all´interno delle cosce. «Lo hanno riempito di botte», protestò il padre, presentando una denuncia per omicidio.
Comincia a farsi strada il sospetto che il caso Cucchi non sia l´unico nelle carceri italiane, dove sono morti 1.531 detenuti dal 2000 ad oggi, 150 solo quest´anno, di cui 63 suicidi. Tra questi, secondo l´associazione “Ristretti Orizzonti”, che sul problema ha realizzato un dossier, “Morire di carcere”, ci sono 30 casi “sospetti” negli ultimi sette anni, che richiederebbero «un approfondimento nelle sedi opportune».
In 11 casi di questa Spoon River carceraria, i detenuti «per cause naturali» presentavano segni di percosse e di lesioni. Morti per infarto con la testa spaccata, morti per suicidio con ematomi e contusioni in varie parti del corpo, costole spezzate, milze e fegati spappolati, lesioni ed emorragie interne. «Le cause di troppi decessi non sono mai state accertate con precisione», dice Luigi Manconi, presidente dell´associazione “A buon diritto”, che punta il dito contro «l´opacità del carcere che impedisce di guardarci dentro» e «troppi comportamenti non rispondenti a correttezza e al rispetto delle regole». «In carcere ci si ammazza 15 volte di più di quanto non accada fuori», accusa.
Come Mauro Fedele, morto il 30 giugno 2002 nel carcere di Cuneo, un altro giovane, Manuel Eliantonio, 22 anni, perse la vita il 25 luglio 2008 in quello di Genova. Suicidio, dissero, col gas butano respirato da una bomboletta da campeggio. Sua madre, Maria, mostra le lettere che il figlio le aveva scritto dalla prigione: «Qui mi ammazzano di botte almeno una volta alla settimana». «Lo hanno pestato a sangue, ucciso, e stanno cercando di coprire tutto», accusa la donna.
L´anno prima, il 15 ottobre 2007, Aldo Bianzino, 44 anni, venne trovato morto nella sua cella nel carcere di Perugia. Era stato arrestato un giorno e mezzo prima, dopo che gli avevano trovato cento piante di marijuana in giardino. Aneurisma, la causa del decesso. Ma i medici legali riscontrarono «evidenti lesioni viscerali di indubbia origine traumatica». Due costole rotte, lesioni alla milza, distacco del fegato, emorragia cerebrale. Per la famiglia, la prova di un «pestaggio mortale». Sul caso c´è un´inchiesta in corso.
Habteab Eyasu, 36 anni, eritreo, riuscì invece a impiccarsi ferendosi da solo, nella sua cella del carcere di Civitavecchia, il 14 maggio 2006. Nelle foto scattate all´ospedale si vede che Habteab ha una ferita in fronte e una grande macchia rossa di sangue dietro la nuca. «Chi si suicida non ha queste ferite in faccia», accusa la zia, Sara Tseghe Paulous. Ma l´inchiesta della Procura ha chiuso il discorso, stabilendo che Habteab si è impiccato. Come avvenne per Stefano Guidotti, 32 anni, impiccatosi alle sbarre del bagno nel carcere romano di Rebibbia il 1° marzo 2002, che presentava delle ferite al volto «inconciliabili con l´ipotesi del suicidio».
Andrea Fabris, 34 anni, è stato invece trovato esanime sul pavimento della cella che condivideva con altri due detenuti nel carcere di Venezia, il 31 maggio 2005. Sembrava una morte naturale, Andrea era tossicodipendente, senonché sul suo corpo sono state riscontrate numerose ecchimosi. La Procura ha aperto un´inchiesta. Un altro tossicodipendente, Antonio Schiano, 36 anni, morì per cause non precisate nel carcere romano di Regina Coeli, il 24 ottobre 2005. Secondo il garante per i diritti dei detenuti, l´uomo era arrivato in carcere con un referto dell´ospedale Sant´Eugenio che certificava «politraumi a suo carico».
All´ospedale di Barletta, il 1 luglio 2004, morì Vincenzo Milano, 30 anni, per le ferite riportate durante la sua cattura, come Maurizio Scandura, 28 anni, deceduto il 27 novembre 2002 in una camera di sicurezza della questura di Roma. Mentre un romeno di 40 anni fu trovato riverso a terra nella sua cella del carcere di Civitavecchia, il 25 novembre 2003, con profonde ferite al capo. Dissero che si era scagliato più volte contro la parete. Anche Marcello Lonzi, 29 anni, sarebbe morto per «collasso cardiaco», il 1° ottobre 2003 nel carcere di Livorno, dopo essere caduto battendo la testa. Ma la madre parlò di omicidio: «Il corpo di mio figlio era coperto di lividi».

da repubblica.it