di Antonella Sturiale
‘N jornu ca Diu patri era cuntenti
e passavano ‘n cielu li santi
a lu munnu pinzau far ‘n presenti
e d’a curuna si scippau ‘n diamanti
ci addutau tutti li setti elementi
lu pusau ‘n mari, ‘n facci a lu livanti
lu chiamaru Sicilia li genti
ma di l’eternu Patri è lu diamanti!
Un giorno che Dio padre era contento
ed in cielo passavano i Santi
al mondo ha pensato di fare un regalo
e dalla corona ha tolto un diamante
lo ha dotato di tutti e sette gli elementi
lo ha posato a mare di fronte al levante
la chiamarono Sicilia le genti
ma dell’Eterno Padre è il diamante.
La Terra di Sicilia ricca di tradizioni, di storia di sofferte vicissitudini. Questa terra calda di clima e di passione, la sua gente tanto emarginata, schedata, additata come “,mafiosa”. Eppure viva nella sua quotidiana routine, nell’arte dell’arrangiarsi impavidamente in una società, in un’Italia che rigetta il mezzogiorno come “spazzatura dell’umanità”.
Bisognerebbe insegnarli a scuola certi valori, certe tradizioni, ogni dialetto, l’orgoglio del proprio folklore, delle proprie origini. Noi siamo il frutto del nostro passato, noi siamo il divenire di quello che eravamo. Non si vive senza passato, senza la grande consapevolezza della nostra provenienza, senza l’ardimentosa ricerca del nostro primo palpito di vita.
Bisognerebbe dare il giusto riconoscimento alle cose davvero importanti.
E’ questa la tematica che viene affrontata, con una potenza vocale incisiva e con una interpretazione sentita e forte, dalla folk-singer Laura De Palma ieri sera presso l’Auditorium Comunale di Gravina di Catania con il Patrocinio della Presidenza della Provincia di Catania, attraverso il concerto “V’incantu…cu lu cantu”.
Insignita per ben 2 volte, nel 2002 e 2007, del premio “Rosa Balistreri” come migliore interprete dei brani della grande cantante di Licata, Laura De Palma è un contralto naturale, poliedrico; la sua voce versatile arriva dritta al cuore provocando brividi intensi di emozione e totale, vibrante coinvolgimento dei sensi. Il concerto prevede una raccolta di canti tratti dalla nostra tradizione popolare intervallate sapientemente da poesie siciliane recitate dalla calda, intima, sentita voce del bravissimo, istrionico attore Enrico Manna. La formazione del concerto prevede Laura De Palma voce e chitarra, il maestro Franco Pennisi al pianoforte e al basso, Tony Granata al violino, Roberta Pennisi al violoncello, Paolo Capodanno mandolino flauto e tamburi, Flaminia Castro alla chitarra e percussioni, vocalist Dario Castro e Rosalba Sinesio.
La regia è curata dall’attento Armando Sciuto.
Il concerto segue la performance di un gruppo di bambini che si esibisce in una serie di canti, filastrocche e tarantelle tipiche della terra di Sicilia. Commoventi i loro sguardi, la loro gioia di vivere, la loro enfasi fanciullina, schietta, incontaminata dall’abietta bramosia di potere dell’uomo adulto.
Le note degli strumenti dei musicisti del gruppo “Terra di focu” ci incanta con le armonie sapienti ed intonate di una musica che penetra nelle viscere ed incoraggia il pubblico a sottolineare con il battito delle mani il ritmo emozionale dei cuori che ascoltano rapiti l’orgogliosa, la trepidante voce di un’artista consapevole del proprio valore, delle proprie “altezze” vocali.
E’ un crescendo di esaltanti motivi dai temi più disparati: dall’amore di “Quannu iu viru a tia” e “Ottave d’amore”, alla malinconia del ricordo di “Amuri ca di notti”, “Cu ti lu dissi” e “Non si tu”, all’esaltazione di un organo del nostro corpo che ci permette di valutare per primo il nostro trasporto per la persona amata “A vucca”, la bocca. Dal dolore per la costrizione di lasciare la propria terra natia che non è capace di assicurarci il sostentamento “… Oh, terra mia d’aranci,
d’aranci e di canzuni; u latti mi lu dasti ma pani un mi nni duni”, affrontando il tema dell’emigrazione con “Ninna nanna a la strania”, ai meravigliosi, intriganti doppi sensi della sicilianità ne “ ‘A Pila” che si può intendere come “peli” o come “antica vasca con strofinatoio” dove si era usi lavare i panni. Emozionante ascoltare dalla voce intensa di Laura De Palma la canzone vincitrice del quarto Festival della canzone siciliana, “I Malavoglia” che racconta in musica una storia di pescatori di Acitrezza, I Malavoglia appunto, scritta dal verista catanese Giovanni Verga. Il tema della Provvidenza divina, il tormento delle donne impotenti che pregano i Santi di far tornare incolumi i propri uomini da una notte trascorsa in mare, la disperazione della morte, della sofferenza di una fiera e combattiva famiglia patriarcale.
Simpatico e divertente l’intervento, a questo punto, dell’attore Enrico Manna che ritorna sul palcoscenico con l’abito talare: la sua somiglianza con Fernandel è davvero impressionante.
“Lu patri e nostru di San Giuliano” provoca molte risate e scatena l’applauso della gente soprattutto da parte dei fanciulli incollati magneticamente alle poltrone.
Non poteva mancare il tributo a tutte le mamme capaci dell’amore più grande, dell’amore più struggente. Il richiamo alla Madonna è naturale: “Mamma, mammuzza, si n’avissi a tia
Ju ‘ntra stu munnu, mi sintissi persu…”. Si parla, inoltre, del della passione di Domenico Modugno, il Mimmo nazionale, per la Sicilia sottolineato dall’interpretazione del testo musicale da lui scritto, “Malarazza” in cui incita i poveri a lottare sempre per i propri diritti non permettendo ad alcuno di calpestarli.
Laura de Palma conclude il concerto con il doveroso tributo a Rosa Balistreri interpretando: “Lu surci” e “Lu cunigghiu”.
Richiestole il bis ci saluta con “Tarantola” dove, nonostante il grande dispendio di energie, la folk-singer tira fuori una grinta vocale, una potenza di movimenti, di immedesimazione al canto, di emotività che trascina il pubblico ancora non pago delle emozioni vissute, alla liberazione pienamente meritata di fragorosi applausi.
Siamo tornati a casa con la pienezza del nostro valore storico, morale, artistico.
La “Sicilia” non è solo mafia: è arte, poesia, musica, tradizione, sogno.
Ringraziamo Laura de Palma e tutto il suo lodevole e meritevole gruppo per avercelo ricordato.