“Perla caduta”


di Angela Ragusa

Dove sei perla caduta…

Scivolasti tintinnando
sui tasti del suo piano
mentre mani segnavano note
come orme sulla tua anima…

Dove sei….nascosta tra pieghe di dita …

La tua luce risalta
tra eburnee intonazioni
che sciolgono il ritmo
e lento accompagna ogni pensiero.

Rincorri quel ritmo
nota dopo nota..

Un’ onda immensa travalica
e possiede
e tu piccola perla sballottata
tra schiume di un mare
che tutto invade e pervade
come suono che lascia all ‘ascolto
sensazioni di immenso,
resisti cullata da un pianto lontano
a cercare quel filo dal quale cadesti….

La via crucis


di Franco Bomprezzi

E’ Pasqua. Non mi sembra che la gente se ne sia accorta. Se non perché c’è un ponticello, una mini vacanza, una passerella a cavallo dell’entrante primavera. Quando ero ragazzo c’era un’attesa diversa, fatta di cose semplici, il senso della vigilia, ad esempio, e l’attesa della festa, delle campane che si sciolgono, delle uova di cioccolato piene di sorprese ingenue.

Oggi penso alla via crucis che si svolge in silenzio, ogni giorno, nelle case nelle quali vivono persone in grande difficoltà, quelle migliaia di persone non autosufficienti, accudite ora per ora, giorno per giorno, da familiari affettuosi ma stanchi, da badanti che in questi giorni magari vorrebbero tornare nel paese d’origine, e hanno tanta malinconia nel cuore.

Sarebbe giusto, almeno un piccolo segno, se ognuno di noi provasse almeno per un momento a ragionare sul senso della vita, sulla fortuna di essere liberi e indipendenti. E magari usasse il telefono cellulare non per inviare auguri stereotipati a tutti i contatti della rubrica, ma cercasse, fra le proprie amicizie, proprio quell’amico che è più solo, che è tanto tempo che non si sente, che magari ci disturbava mentalmente con i suoi problemi così gravosi da apparire insopportabili.

Vorrei davvero che la via crucis della vita venisse per qualche giorno condivisa, basterebbe guardarsi attorno, anche nelle nostre strade, nelle nostre piazze, per cogliere negli sguardi pensierosi e cupi della gente questo momento di solitudine e di smarrimento. Senza la speranza di un sorriso, al Venerdì non può seguire la Pasqua.

Non voglio fare il predicatore, né il moralista. Ma ricordo bene che un anno fa, più o meno di questi tempi (erano i primi di maggio) ho visto da vicino la perdita totale dell’autosufficienza (se non della vita). E non voglio dimenticare i miei compagni di strada, in rianimazione, nelle corsie di ospedale, nei racconti dei familiari. Questa umanità silenziosa che ci vive accanto, che sa perfettamente il significato della via crucis.

Che sia una Pasqua di vicinanza. E di ascolto.

da www.vita.it

“Nostalgia”


di Angela Ragusa

Ammutoliscono le ore
in questa attesa straniera
che sconosco a me stessa..

Eppure, sotto questa montagna
che proietta la sua ombra
e fa di questo buio
groviglio di sentieri
che non riescono più
ad indicare strade…
bussare a quei portoni non serve.

Solo vicoli ciechi
al mio cuore emigrante
solo finestre chiuse
di storie mai esposte …

Schiavi del silenzio ,
dimentichiamo cos’è l’ascolto
e muti ,corpi raminghi
alieni a noi stessi
dimentichiamo pure
il profumo delle rose…

E maggio giunge
e sboccia il ciliegio.

L’elettricista…dell’anima – seconda puntata


di Daniela Domenici

Questo l’avevo scritto una decina di giorni fa…

Quando si spegne una lampadina perché si è fulminata si va al negozio e se ne compra una nuova…

quando manca all’improvviso la luce in casa si va dall’elettricista per chiedergli di scoprire cosa è successo, dov’è avvenuto il corto circuito…

quando si spegne un’anima non ci sono negozi in cui andare né elettricisti da consultare…

…quell’anima rimane spenta per sempre.

Speravo che avendo pagato la bolletta ininterrottamente per 52 anni con infiniti sorrisi, perenne disponibilità, estrema attenzione, paziente ascolto sempre gratuitamente per tutti indistintamente non mi staccassero la luce dell’anima…e invece, nonostante tutto questo, me l’hanno staccata e non hanno alcuna intenzione di riaccendermela, nessuno, perché?

Era così fastidiosa, provocava così tanta invidia la mia anima perennemente accesa, luminosa, gioiosa, spontanea sia tra le amiche, gli amici, in carcere, dovunque?

Niente più carcere, seconda settimana: riflessione personale su un aspetto del pianeta carcere, l’agorafobia.


di Daniela Domenici

L’agorafobia è la paura degli spazi aperti, grandi, senza confini.

Provate a immaginare cosa possa provare una persona che per circa vent’anni (e ci dovrà stare ancora per molti anni) della propria vita è stata sempre “ristretta”, chiusa in una cella di pochi metri quadri, spesso da condividere con uno o più compagni, o all’interno di un furgone della polizia penitenziaria (che è peggio di una cella), per gli spostamenti da un carcere all’altro, e poi si trova a sperimentare, per un permesso, quei piccoli gesti che a noi “liberi” sembrano normali come fare una semplice e innocente passeggiata nelle strade cittadine: il timore dell’improvviso spazio aperto senza muri di confine, del contatto con la gente alzando gli occhi da terra senza la paura di essere ancora una volta maltrattato ma solo per un sorriso e un saluto, come un uomo e non come un semplice numero dell’elenco; il poter parlare il proprio dialetto liberamente sapendo che quando c’è l’affetto, la disponibilità e l’attenzione dell’amico “libero” anche quello viene compreso; l’abbraccio fraterno come piccolo gesto di contatto fisico a lungo desiderato con quell’amico che ti porta anche a vedere il mare, un’altra distesa sconfinata che può dare agorafobia e di cui si era dimenticata la bellezza…

“Com’è profondo il mar” di Lucio Dalla

MI ARRENDO


di Daniela Domenici

Mi arrendo all’ingratitudine umana

mi arrendo

Tu, Signore, dici “ama il prossimo tuo”, io Ti credo e ho cercato in quasi tutta la mia vita di metterlo in pratica

ma non dici che poi quasi sempre vieni abbandonato e tradito

Tu, Signore, dici “perdona sempre e a prescindere perché non sanno quello che fanno”, io Ti  credo e ho cercato in quasi tutta la mia vita di metterlo in pratica

ma non dici che poi quasi sempre vieni abbandonato e tradito

fai il bene e dimenticalo, sono d’accordo, te ne ritornerà da altri, ci credo…

ma c’è un limite anche a questo, Signore

quando hai la coscienza pulita…

quando sai di aver dato solo amore, disponibilità, ascolto, dedizione, gioia, sorriso, aiuto anche materiale, quando ti fai ogni sera l’esame di coscienza e non trovi niente di sbagliato…

e, invece, vieni regolarmente abbandonato, tradito, dimenticato da quelli a cui hai dato tutto a piene mani senza limiti…

allora…

mio Signore…

MI ARRENDO

Ci vuole un amico/a


di Daniela Domenici

Per fare un amico/a

ci vuole l’affetto

per fare l’affetto

ci vuole l’ascolto

per fare l’ascolto

ci vuole la pazienza

per fare la pazienza

ci vuole l’anima

per fare l’anima

ci vuole il cuore

…PER FARE UN AMICO/A CI VUOLE IL CUORE

http://www.youtube.com/watch?v=m_6E-Vpqv3s

http://www.youtube.com/watch?v=Y8HfQ7C8NFQ

Ascoltare il cuore e non l’intelletto


ascolta il tuo cuoreContrariamente a ciò che crede moltissima gente, l’intelletto non è sempre una buona guida. Perché? Perché si ferma all’apparenza delle cose. Sì, e sentite un po’ ciò che dice a una giovane donna il suo intelletto: «Il ragazzo che ti chiede in sposa è ricco, bello, elegante, ha bei modi. Perché esiti? Sposalo,
saresti davvero stupida a lasciarti sfuggire questa occasione».
Ecco i calcoli che fa l’intelletto basandosi unicamente sulle
apparenze; e una volta sposatasi, la ragazza scoprirà che quel
giovanotto, che in apparenza aveva tutto per piacerle, è
crudele, egoista, disonesto… Quante sofferenze e quanti
dispiaceri avrebbe potuto evitare se, invece di ascoltare i
calcoli del suo intelletto, avesse interrogato il suo cuore, il
suo intuito!
Ovviamente, questo non è che un esempio. Riflettete su tutti i
casi della vita in cui i calcoli dell’intelletto non possono
portare altro che delusioni e pentimenti, e traetene delle
conclusioni.”

Omraam Mikhaël Aïvanhov