Se l’amore è un negozio chiuso


di Carmelo Caruso

E poi perché dopo trent’anni debba finire, proprio non si capisce. Cosa credevi che io ero per te solo una semplice compagnia? Credevi che a sessantotto anni la vita ricominciasse e che io potessi mettere i jeans a tubo degli anni ‘80? Io ho sessantotto anni diamine! L’amore non ricomincia!
No, tu non puoi andare via, e non lo devi fare! E poi è da trent’anni che ci svegliamo insieme. Già non siamo sposati ma cosa vuol dire?
Avrà – fantastichiamo – rimuginato queste parole da un mese, camminato con la lingua di fuori come un cane affamato nella Palermo calda, nella Palermo della sfiducia al sindaco, nella Palermo di Bellolampo, nella sua Palermo che più non lo ama. Ma fino a stamattina, quando i carabinieri hanno messo la camicia di forza ai suoi flussi di coscienza, spento il suo cellulare, cancellata l’ultima mail che stava inviando a quella donna che lo aveva lasciato come l’ultimo cliente che ha deciso di non entrare più nel suo negozio e andare forse in quello nuovo aperto proprio di fronte al suo, o forse in uno dei tanti centri commerciali giovani e anonimi come l’amore. No, questa volta la merce venduta non si cambia, accettalo!
Quante volte hai detto che il cliente ha sempre ragione ed hai chinato la testa! Ma l’amore non è una merce e trent’anni non sempre bastano a fare di un rapporto un sodalizio, una preferenza, un contratto. La legge ti arresta perché non si pedina una donna, non si mandano cento messaggi al giorno come la pubblicità che avevi pensato “più martellante, più funziona”. E allora sembra quasi uno dei tanti randagi che vengono arrestati e portati in un canile questo commerciante denunciato per stalking, questo uomo che non accetta che l’amore sia il primo contratto precario della storia, quello che si rinnova di giorno in giorno senza notai e uffici ma in cucina e con le forchette. Però la parola “stalking” vuol dire tutto e niente, e confina in un’isola la molestia così vicina, così evidente da essere più che materia di Astrea (dea della giustizia) materia di nemesi, quindi vendetta.
Cos’era rimasto di quella lingua segreta che è la narrativa di ogni coppia, se non il rancore di chi voleva recitare il monologo, messaggi di castigo per quella donna andata via per imparare un’altra lingua?
E’ giusto che quest’uomo venga fermato, perché le molestie ad una donna sono catene e rischiano di diventare coltelli, perché una donna è sempre “ quella cosa leggera e vagante”, non ha che le unghie per difendersi contro i pugni dei bruti, non ha che unghie lucide ma da cuccioli.
Forse avresti potuto vestirla di bianco, fare per lei ogni giorno “un festino”, forse sarebbe bastato uno di quei cento messaggi caricati a salve, come le pistole giocattolo che sparano una margherita. Chi lo sa poteva bastare uno scontrino che una volta tanto era un saldo per una cliente e un debito per te: l’amore è sempre un debito, ma questo non te lo dice il commercialista.
Questa volta non è colpa dell’arbitro, hai sbagliato l’ultimo passaggio. E trent’anni a volte non bastano ad imparare che non servono chiavi per aprire le saracinesche del tuo “amato” negozio

da http://www.livesicilia.it

Carmelo, “suicida” in carcere a 19 anni – I genitori “L’hanno massacrato”


Si terrà domani l’udienza preliminare sulla richiesta di archiviazione presentata dalla Procura etnea dell’inchiesta sulla morte di Carmelo Castro, il diciannovenne incensurato deceduto il 28 marzo del 2009 nel carcere di Catania quattro giorni dopo essere stato arrestato da carabinieri della compagnia di Paternò assieme a due presunti complici per una rapina a un tabaccaio. Secondo gli esiti delle indagini disposte dalla magistratura il giovane si sarebbe suicidato nell’istituto penitenziario di piazza Lanza. I genitori del diciannovenne ipotizzano che loro figlio sia stato “bastonato” come emergerebbe dalle foto segnaletiche apparirebbe con “gli occhi neri, l’orecchino strappato e le labbra ferite”. Il legale della famiglia Castro, l’avvocato Vito Pirrone, si oppone alla richiesta di archiviazione contestando “‘una lunga serie di mancanze nelle attivita’ di indagine disposte dalla Procura”. Secondo il Difensore civico dei detenuti di Antigone, Stefano Anastasia, “la sequenza è sempre la stessa: c’é un prima (l’arresto), un fatto (la detenzione) e un epilogo (il precipitare della situazione). Cosa è successo in questi tre momenti? Domande, come sempre, inquietanti – conclude Anastasia – che meritano ogni possibile supplemento di indagine, che si spera il gip di Catania voglia disporre”.

da www.livesicilia.it

Russia. La storia di Lyudmila: arrestata a 82 anni, una vita da militante


Lyudmila Alexeyeva durante l’arresto Lyudmila Alexeyeva a 82 anni è stata arrestata dalla polizia russa per aver guidato una protesta anti-governativa non autorizzata.

 È successo a Mosca durante la notte di : la signora è nota alle autorità russe per aver organizzato diverse manifestazioni contro il regime sovietico ed anche per essere stata più volte interrogata dal .

 Per la signora Alexeyeva oggi il nemico è il governo “soft autoritario” di , in precedenza presidente e oggi primo ministro, che avrebbe ristretto i diritti fondamentali dei russi. Già da molto tempo prima che Brezhnev venisse confinato, la signora Alexeyeva faceva parte del piccolo gruppo di intellettuali che nella comunista hanno rischiato più volte la vita per aver lottato a favore della libertà di stampa e per i diritti umani.

 Quasi tutti quelli che lottavano con lei oggi non ci sono più. Alexeyeva oggi cammina con difficoltà, ma è in grado ancora di condurre una dimostrazione come quella della notte di .

 Alexeyeva è cresciuta contestando sempre il regime. Pianse tantissimo il giorno che vide i suoi vicini venire arrestati dagli agenti di Stalin. Poco dopo aver compiuto i 40 anni, si offrì di raccontare quello che stava accadendo nel suo Paese attraverso le colonne di un giornale compilato in segreto e in totale anonimato. Una volta che venne interrogatata, la donna, per non farsi scoprire, nascose otto copie del giornale segreto nel reggiseno.

 La donna ha pagato poi la sua militanza anti-sovietica passando sette anni in un campo penale e cinque in esilio e racconta che, prima degli interrogatori del , si fermava sempre a comprare un panino al prosciutto, un cannolo e un arancio. Questi tipi di cibo erano infatti delle prelibatezze proibite anche agli investigatori sovietici degli anni 70, i quali erano costretti a nutrirsi a suon di cotolette.

 A metà dell’interrogatorio, la signora scartava questi cibi e li adagiava sul tavolo: «Reagivano in modo molto nervoso quando cominciavano a sentire l’odore di prosciutto. In questo modo io mi divertivo» ha spiegato, «era un modo per giocare sui loro nervi».

 L’anziana donna alla fine è emigrata come molti altri. Ma nel 1993, dopo 16 anni negli Stati Uniti, lei e suo marito hanno deciso di tornare in , dove è diventata presidente del , un’organizzazione per i diritti umani fondata nel 1976 ed ora diventata legale.

 Nuove paure hanno sostituito quelle vecchie, però. Alexeyeva ha infatti ricevuto più volte minacce di morte, e lo scorso anno ha anche sepolto due suoi cari amici. I rischi legali sono troppo imprevedibili: ora, spiega la donna, questa giustizia post-sovietica le cose le inventa. Se infatti nell’ la strategia processuale poteva essere messa in dubbio sapendo che i giudici prima di eseguire una condanna chiedevano due testimoni, tutto questo oggi non è più possibile. «Allora c’erano delle regole. Erano idiote ma c’erano e ci si poteva difendere. Ora le regole non ci sono più».

 Tanya Lokshina, vice direttore dell’ufficio di Mosca di Human Rights Watch, spiega che gli attivisti dovrebbero trovare un nuovo modo di parlare alla società russa. «Questa lingua dovrebbe essere diversa dalla lingua utilizzata da dissidenti sovietici», ha detto. «In un certo senso è più facile essere contrari a un regime pienamente totalitario mentre è sicuramente più difficile contrastare un regime più sofisticato ma fortemente autoritario. Qui vi è una certa libertà. Come si fa a spiegare alla gente quello che manca?»

 Per Alexeyeva Putin è il frutto della rivoluzione post-sovietica. Per quanto riguarda invece la sensibilizzazione della gente, per la Alexeyeva i russi sono passivi solo perché poveri e dice: «Noi continueremo ad aiutare la gente a capire».

 Così, tutti gli anni la notte di San Silvestro la sua associazione organizza una giornata che serve a ricordare  l’articolo della Costituzione russa che garantisce la libertà di riunione. L’ultima volta, tutti i manifestanti vennero arrestati tranne la signora Alexeyeva: questa volta invece anche lei è stata fatta salire su di un bus insieme ad altre 50 persone.

 Non c’è voluto molto alla polizia per comprendere l’errore: dopo solo 40 minuti, uno di loro ha aperto le porte del bus e ha detto alla signora Alexeyeva che era libera di andare. Lei però si è rifutata e le sue foto in preda al terrore hanno fatto il giro del mondo.

 Grazie a queste foto i leader russi si sono svegliati ed hanno letto le dichiarazioni critiche del National Security Council degli Stati Uniti e del presidente del Parlamento europeo Jerzy Buzek, che si è detto profondamente scosso se pensa che «una rispettabile 82 enne ha trascorso la notte di in stato di arresto».

 da www.blitzquotidiano.it

qui il link alla notizia originale del Gruupo di Helsini

http://www.mhg.ru/news/E249CDF

Non vuole cenare con i suoi a Capodanno, si fa arrestare


caraPer nulla al mondo avrebbe voluto cenare con i parenti la sera di San Silvestro. Per questo ha deciso di rapinare un tabaccaio armato di taglierino e di impossessarsi di un pacchetto di caramelle  per poter essere finalmente arrestato dai Carabinieri.

E’ accaduto veramente ieri sera a (). ., disoccupato di 35 anni, incensurato, si era già presentato una prima volta alla stazione dei carabinieri chiedendo di essere arrestato perchè preferiva trascorrere il Capodanno in cella piuttosto che con i parenti.

I militari gli hanno spiegato che non potevano arrestarlo perchè non aveva commesso alcun reato. A questo punto Massimiliano è passato all’azione, dal suo punto di vista certamente efficace. Lo sconcertante episodio getta più di un dubbio sulla salute mentale dell’occasionale rapinatore. Ma anche i parenti forse hanno qualcosa da farsi perdonare.

da www.blitzquotidiano.it

Morto dopo l’arresto, i genitori chiedono la verità


morti sospette detenutiGarante detenuti: sconvolgenti le foto rese note dai familiari
La morte di Stefano Cucchi, il giovane di 31 anni morto lo scorso 22 ottobre nella sezione detentiva dell’ospedale Sandro Pertini “presenta molti lati oscuri e preoccupanti”. Lo ha detto Luigi Manconi, presidente di ‘A Buon Diritto’ nel corso della conferenza stampa che si è tenuta al Senato alla presenza del papà di Stefano, Giovanni Cucchi, della sorella Ilaria e di diversi parlamentari della maggioranza e dell’opposizione. I familiari chiedono la verità e l’accertamento dei fatti sulla morte di Stefano, fermato dai carabinieri il 16 ottobre scorso per possesso di 20 grammi di marijuana, protagonista di un ‘calvario’ iniziato in una caserma e terminato all’ospedale Pertini con la tragica morte. La famiglia Cucchi ha deciso di rendere pubbliche le foto shock nelle quali si vedono i segni delle lesioni e dei traumi sul corpo del giovane. “Una decisione sofferta e coraggiosa”, ha spiegato Manconi, per avere risposte su quello che è avvenuto, per dissapare le zone d’ombra e accertare eventuali responsabilità. Sul caso la procura di Roma ha aviato un’indagine. “Di questa vicenda – ha detto l’avvocato Fabio Anselmo, legale dei Cucchi – non sappiamo nulla se non quello che ci dinono le condizioni del corpo di Stefano” attraverso alcune foto scattate dall’agenzia funebre. Per il Garante dei detenuti della Regione Lazio Angiolo Marroni “le sconvolgenti immagini del cadavere di Stefano Cucchi, diffuse con molto coraggio oggi dalla sua famiglia”, dimostrano che nella vicenda del 31enne geometra romana deceduto in circostanze da chiarire nel reparto detentivo del Pertini, “sono stati violati diritti fondamentali dell’individuo, in primis quelli alla vita, alla salute e alla dignità”.

fonte APCOM