di Daniela Domenici
Sono sempre stata convinta che i libri ci chiamino, che non sia quasi mai una scelta casuale, che siano loro a farsi scegliere, basta saper ascoltare il loro richiamo…lo so, forse mi prenderete per folle ma anche “Cosa sognano i pesci rossi” mi ha chiamato dallo scaffale: tra tanti altri libri mi ha attratto con una forza magnetica tale che sono stata “costretta” a prenderlo e a leggerlo subito.
Ed è stato amore a prima vista: Marco Venturino, l’autore di questo libro che si svolge in un reparto di terapia intensiva di un ospedale qualunque, è un “addetto ai lavori”, parla da esperto: è un medico, direttore della divisione di anestesia e terapia intensiva all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano.
Questa sua opera prima, che risale al 2006 ma che a me è capitata tra e mani solo in questi giorni, è un racconto “a due voci”, quella di un medico del reparto, “la faccia verde”, e quella di un ricoverato, “i pesci rossi”, che descrivono, ognuno dal proprio punto di vista, osservatorio privilegiato, la quotidianità della vita in terapia intensiva, il decorso della malattia, il mondo esterno, la classe medica.
Il protagonista malato, Pierluigi, viene definito un pesce rosso perché essendo stato tracheotomizzato non può parlare ma solo muovere le labbra senza emettere alcun suono come un pesce rosso in un acquario e diventa un’impresa ardua per chi gli sta vicino capire cosa desidera.
E ‘ un libro duro, doloroso, commovente ma anche, in alcuni momenti, divertente, strappa un sorriso, è scritto con uno stile assolutamente avvincente pur se infarcito, com’è naturale, di termini medici specifici; i dialoghi sono, se posso usare un termine preso in prestito da un altro campo, quasi cinematografici nella loro immediatezza; i momenti più emozionanti sono, per la sottoscritta, i “flussi di coscienza” specialmente quando Pierluigi ha la febbre e inizia a delirare: superlativo.
Concludo con le parole finali dell’autore: “Vorrei solo che rimanesse addosso, a chi ha avuto la pazienza di leggere questo libro fino in fondo, un odore particolare delle cose umane. Un odore che viene fuori dalle zone di confine tra la vita e la morte, ove i silenzi della vita e i rumori della morte assumono fattezze di giganti deformi. Un odore forse fastidioso che, come spesso capita per gli odori, siamo tentati di cancellare dalla nostra vita di tutti i giorni. Ma questo odore c’è e io ho cercato di farlo annusare. A chi mi legge decidere se ci sono riuscito bene o male. A tutti l’augurio di non fiutarlo più da vicino”.