Sono 160 i decessi da gennaio a oggi. Dei 1.543 morti in carcere dal 2000 a oggi il 60% era in attesa di giudizio”.
Di carcere si muore con frequenza allarmante e spesso a morire sono persone giovani e giovanissime. Con i decessi di Alessio Scarano, 24 anni, trovato morto nella sua cella nel carcere di Cuneo, e di Simone La Penna, 32 anni, morto nel Centro Clinico di Regina Coeli, il numero delle persone decedute dietro le sbarre nel mese di novembre arriva a quota dodici (160 da gennaio a oggi, ndr). Fra loro, soltanto tre avevano più di 50 anni, le altre nove sono state stroncate da suicidi, overdosi, a volte anche morti per motivi apparentemente inspiegabili. Ma c’è un altro dato, se possibile ancora più allarmante. Se si va a guardare la posizione giuridica delle 1.542 persone morte in carcere dal 2000 a oggi si può osservare che “il 60% di loro era in attesa di giudizio, quindi, tecnicamente, più di mille persone innocenti sono morte in carcere”, denuncia il centro studi “Ristretti Orizzonti” del carcere di Padova. Si tratta, in molti casi, di una “non colpevolezza” reale, e non soltanto formale, dato che il 40% delle persone incarcerate viene poi assolta a processo.
Morti violente in carcere, in Italia più frequenti che in Usa
Nelle carceri italiane le morti violente sono quattro volte più frequenti che nei penitenziari degli Stati Uniti. Nel nostro paese si sono verificate, dal 2000 al 2008, una media di 10,24 morti violente (suicidi o omicidi) su 10 mila detenuti (elaborazione del centro studi Ristretti Orizzonti del carcere di Padova su dati del Dap Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria). In pratica un suicidio ogni mille detenuti circa. Nelle carceri americane invece i detenuti che si sono tolti la vita o che sono stati uccisi (tra il 2000 e il 2006) sono 2,55 ogni 10mila. Una morte violenta ogni 4mila reclusi.
In termini assoluti, nel 2006, a fronte di una popolazione carceraria di oltre 2 milioni 250mila persone, le morti violente sono state 596 (497 suicidi e 99 omicidi). Nel 2008 in Italia, a fronte di una popolazione detenuta pari a un cinquantesimo di quella americana (51.167 unità) i suicidi sono stati 45. “Rispetto agli anni Ottanta – spiega Francesco Morelli, curatore del dossier “Morire di carcere” – le autorità americane sono riuscite ad abbattere di due terzi il numero di suicidi in carcere. Malgrado il raddoppio della popolazione detenuta”.
Negli anni ‘80 la frequenza delle morti violente nelle carceri americane era superiore a quella italiana, ma dopo una serie di interventi, tra i quali la costituzione di uno staff composto da 500 operatori (in prevalenza psicologi) che si è fatto carico della formazione permanente del personale penitenziario (a cominciare dagli agenti) sulla prevenzione del suicidio e degli atti violenti, il tasso di suicidi e omicidi si è ridotto di quasi il 70%. Dalla metà degli anni ‘90 ad oggi questo livello è rimasto pressoché costante, malgrado l’aumento considerevole della popolazione detenuta. In Italia il tasso di mortalità dei detenuti per “cause violente” negli ultimi 30 anni si è mantenuto su valori costanti, con “picchi” di suicidi in corrispondenza delle situazioni di massimo affollamento degli istituti di pena.