“Classe di ferro” al teatro Brancati di Catania


di Daniela Domenici

Una scenografia essenziale che rende perfettamente la tristezza e la malinconia della storia, una panchina, tre alberi spogli e una ringhiera al di là della quale c’è il mondo che scorre, perfettamente immaginata dallo scenografo Giuseppe Andolfo, per accogliere “Classe di ferro” di Aldo Nicolaj al teatro Brancari di Catania per la regia di Nicasio Anzelmo e la colonna sonora molto pertinente di Matteo Musumeci.

Due i protagonisti principali di questo testo che fu rappresentato per la prima volta in Italia nel 1974 e che si rivela ancora molto attuale, Tuccio Musumeci, alias Libero Bocca, e Marcello Perracchio – Luigi La Paglia. Terza co-protagonista Alessandra Cacialli nel ruolo di Ambra.

A un primo impatto sia la scenografia che la coppia di personaggi rimanda a un testo del teatro dell’assurdo del ‘900, “En attendant Godot” di Samuel Beckett in cui i due protagonisti, Vladimir e Estragon, si ritrovano giorno dopo giorno aspettando un qualcosa o qualcuno che non arriverà mai; ma le similitudini si fermano qui perché il testo di Nicolaj tratta, in modo assolutamente poetico, dell’abbandono da parte delle rispettive famiglie, della conseguente solitudine affettiva e della disperazione di due anziani che si ritrovano a parlare quotidianamente su una panchina, a conoscersi lentamente, a volersi bene e a progettare insieme una fuga rocambolesca che si concluderà prima di iniziare per un evento imprevisto, doloroso e lacerante che accade a uno dei protagonisti.

Tuccio Musumeci e Marcello Perracchio riescono, con la splendida professionalità e l’esperienza che li contraddistinguono, a provocare risate spontanee e convinte ma anche tanta commozione e struggente tenerezza per quei gesti di affetto, di complicità, di empatia che si scambiano in questo crescendo di amicizia che si instaura tra di loro: applausi e complimenti a questi due “leoni” del palcoscenico.

“Disturbatrice” divertentissima, ma anche tenera, è una deliziosa Alessandra Cacialli nella parte di Ambra, un’anziana signorina che si inserisce nella vita dei due protagonisti con la sua logorrea che maschera la sua infinita solitudine e che col suo affetto spontaneo regalerà un po’ di colore e calore a Libero ma soprattutto a Luigi.

“Margarita e il gallo” al teatro Brancati di Catania


di Daniela Domenici

Debutto ieri sera, al teatro Brancati di Catania, di “Margarita e il Gallo”, commedia scritta da Edoardo Erba, autore contemporaneo, protagonisti Debora Bernardi, Alessandra Cacialli, Filippo Brazzaventre, Lino De Motta e Vittorio Bonaccorso con la regia e le scene di Angelo Tosto e i costumi di Giuseppe Andolfo.

Al centro della vicenda una “strega” che muove, quasi incidentalmente, i desideri dei vari personaggi realizzando i loro più inconfessabili desideri. E’ una commedia degli equivoci ma anche una “pochade” sulla perdita d’identità e una farsa sugli amori proibiti: il testo di Erba lascia intuire tutte queste allusioni sempre con un sorriso e tanta leggerezza.
Una breve trama: siamo nel 1500, nella casa di Annibale Guenzi, un tipografo fiorentino che ha qualche problema economico: stampa libri che nessuno compra e l’unico modo che avrebbe per cavarsela sarebbe diventare tipografo di corte ma ci vorrebbe una buona raccomandazione…Annibale la trova: il Visconte Morello, cugino del Granduca, può fargli avere quello che desidera ma c’è un piccolo particolare: Morello è un “gallo” e in cambio del favore vuole giacere con sua moglie Bianca ma non perché la conosce, a lui piace “andare al buio”, e ha anche un altro vizietto: la passione per quell’“altera parte”, quella a tergo…
Annibale, che non si fa scrupoli ad usare la moglie come merce di scambio, combina l’incontro ma all’ultimo momento la suocera, già ammalata, si aggrava e la moglie Bianca deve correre ad assisterla. In casa, ad aspettare il “gallo”, restano Annibale e Margarita, la serva appena assunta, che ha un temperamento estroverso e bizzarro: è figlia di una strega, una povera donna che, per sfuggire all’Inquisizione, aveva addirittura imparato a trasformarsi per incantesimo in un animale. Margarita capisce, dalle insistenze del suo padrone, che alla fine sarà proprio lei a dover concedere quell’“altera parte” al visconte e allora tenta una carta disperata: prova a trasformarsi in Annibale con l’incantesimo che ha visto fare a sua madre…

Intanto i nostri complimenti vanno al regista Romano Bernardi per aver saputo “tradurre” il particolare “gramelot” originario di Margarita, in lombardo, in puro lingua siciliana per renderla più vicina al gusto del pubblico riuscendo con questo a strappare risate a scena aperta. E complimenti anche per la gestualità di tutti i protagonisti che passa dalla ieraticità, sottolineata anche dai perfetti costumi di Giuseppe Andolfo, della contessa Bianca alle movenze quasi da “clownerie”  di Margarita e ai movimenti particolari di tutti gli altri, sempre pertinenti al ruolo.

Iniziamo con una meritatissima “standing ovation” per la protagonista, Debora Bernardi, semplicemente formidabile in questo ruolo sia per la mimica facciale mobilissima che per la perfetta recitazione in questo “siculo-gramelot” che per le movenze da atletico clown: davvero la padrona del palcoscenico ieri sera, secondo noi.

E un “bravo” a Filippo Brazzaventre che ha saputo rendere le manie e i tic di questo stampatore in crisi che si presta a questo “scambio” di favori sessuali a fin di bene, anche lui supportato da un make-up “esagerato” e da movenze che provocano la risata.

I nostri applausi anche a Lino De Motta che ha saputo ben impersonare un frate, padre Saverio, e ad Alessandra Cacialli nel ruolo della contessa Bianca, ignara di quello che si sta tramando alle sue spalle e affascinata dalla figura di Margarita.

Concludiamo con i nostri complimenti a Vittorio Bonaccorso che ha dato vita con bravura e simpatia al visconte Morello che verrà beffato dall’intelligenza e dall’arguzia della servetta.