Voci dal carcere di AUGUSTA: dopo le passerelle ferragostane dei politici il personale di polizia penitenziaria continua a subire…


Ancora aggressioni!

Non sembra aver tregua l’escalation di aggressioni poste in essere da parte di detenuti nei confronti del personale del Corpo di Polizia Penitenziaria.

L’ennesima aggressione ai danni di un agente di p.p. è avvenuta nella mattinata odierna presso la struttura penitenziaria di Augusta, dove l’agente addetto al controllo e smistamento dei detenuti di un blocco detentivo, durante l’espletamento dei compiti affidatigli, veniva aggredito da un detenuto straniero solo per aver tentato di  mettere fine ad una lite tra di loro.

Il Poliziotto, fortunatamente soccorso in tempi brevissimi, e con l’ausilio egregio di altri colleghi, non ha subito gravi danni alla persona, ma è stato comunque costretto a ricorrere alle cure dei medici prescrivendo alcuni giorni di convalescenza.

È davvero imbarazzante ed incredibile notare il silenzio dell’Amministrazione, il silenzio dello Stato dinanzi ai fatti gravissimi che si stanno susseguendo giorno dopo giorno nelle carceri d’Italia ed a farne le spese, ancora una volta, è solo la Polizia Penitenziaria.

Noi non vorremmo crederci, ma stando agli ultimi eventi si percepisce sempre più forte la “debolezza” dell’Amministrazione Centrale, la quale non sembra riuscire a gestire come si conviene quei problemi principali che poi portano alle conseguenze peggiori (suicidi, aggressioni, autolesionismi, proteste ecc.).

Nella fattispecie l’Amministrazione sembra incapace di poter affrontare adeguatamente il problema del sovraffollamento delle carceri, il problema che arreca alle istituzioni Italiane la rilevante presenza di stranieri detenuti ed il gravissimo problema della carenza di organico

della polizia penitenziaria che se non verrà ripristinato a breve potrebbe non soddisfare più neanche i minimi livelli di sicurezza di cui gli istituti penitenziari necessitano per la sicurezza del Paese.

L’UGL Polizia Penitenziaria, vuole evidenziare che solo grazie ad una ritrovata sinergia tra il Sindacato e la Direzione di Augusta, che ringraziamo per gli sforzi che sta mettendo in atto, difatti, accogliendo molte delle proposte da noi formulate in questi anni, che la situazione non è diventata ingestibile, ma siamo consapevoli che questi sono solo provvedimenti di carattere decentrato e tampone, per tale motivo che chiediamo per l’ennesima volta AIUTO ALLE ISTITUZIONI.

Il Vice Segretario Nazionale UGL/FNPP Sebastiano BONGIOVANNI;  i dirigenti regionali UGL P.P. Michele PEDONE e Salvatore GAGLIANI

Ferragosto in carcere


di Daniela Domenici

L’anno scorso il partito Radicale ha immaginato, per la prima volta, il “Ferragosto in carcere”, una sorta di blitz senza preavviso messo in atto solo da esponenti di questa formazione politica; quest’anno invece i Radicali sono riusciti a coinvolgere, programmandolo con molto anticipo e dandone larga risonanza su tutti gli organi di stampa compresi i social networks, più di un centinaio tra deputati nazionali, regionali, garanti e altre personalità politiche appartenenti a tutti gli schieramenti dell’arco costituzionale che hanno accettato di entrare per una visita ispettiva, insieme a volontari e collaboratori, nella maggior parte delle più di duecento strutture detentive della penisola nei giorni 13, 14 e 15 agosto.

Nel periodo in cui la maggior parte delle persone pensa solo a prendere il sole al mare o, comunque, a stare in vacanza senza pensieri questo drappello di persone ha voluto, con quest’azione, richiamare l’attenzione su di un mondo che i più tendono ad accantonare, a dimenticare, a rifiutare: il pianeta carcere che, come tutti sappiamo, ultimamente è diventato una mina pronta a esplodere per le condizioni di invivibilità, di sovraffollamento dei detenuti, di sotto organico degli agenti e il crescente numero di suicidi in carcere, come un bollettino di guerra che non ha mai una sosta, ne è la più lampante manifestazione.

Io e mio marito siamo entrati stamattina con l’on. Giuseppe Gianni nel carcere di Augusta dove siamo stati ricevuti con molta cortesia e disponibilità da un collaboratore del commissario  assente per ferie; non erano presenti in istituto né il direttore né la sua vice.

Un elemento negativo che ci è stato segnalato ma che ormai in questo carcere è annoso è quello della fornitura dell’acqua che in estate diventa ancora più difficile proprio quando dovrebbe essere più necessaria date le condizioni climatiche: si ricorre ancora alle autobotti.

Un fatto nuovo e positivo rispetto all’ultima visita ispettiva è la riapertura di due sezioni del carcere che erano chiuse da molti anni, la 5 e la 6, perché filtrava l’acqua dal tetto; sono arrivati i finanziamenti, sono state restaurate e quindi alcuni detenuti lì trasferiti, i “lavoranti”, dando luogo a una migliore vivibilità, com’è facile immaginare, e una minore tensione.

Elemento negativo che persiste è quello dell’esiguo numero di agenti di polizia penitenziaria in rapporto a quello della popolazione detenuta che ha portato a ridurre, per esempio, anche il numero degli agenti di sentinella sulle mura perimetrali che sono passati da 4 a 2 per essere destinati all’interno della casa di reclusione.

L’on. Gianni ci ha dichiarato, a conclusione della visita, che è sua volontà portare avanti un progetto di legge che riguarda quei detenuti che devono scontare gli ultimi tre anni favorendo un loro inserimento nel mondo lavorativo e la parallela domiciliarità della pena residua da scontare per abbattere i costi del mantenimento di un detenuto in carcere e  mettere in pratica l’art.27 della Costituzione che parla di rieducazione e di reinserimento, progetto di cui ci aveva già parlato l’on. Rita Bernardini dopo la precedente visita ispettiva in questo stesso carcere lo scorso aprile.

Suicida il detenuto numero 39 A quaranta facciamo una festa?


Un detenuto del carcere di Siracusa si è tolto la vita la notte scorsa, impiccandosi. L’ennesimo suicidio in cella è stato reso noto dal segretario generale della Uil Pa penitenziari Eugenio Sarno. La vittima, L.C., accusato di estorsione e rinchiuso nel reparto “isolati” della struttura, già la settimana scorsa aveva commesso atti di autolesionismo ingoiando lamette da barba. “Con grande disagio e rammarico – afferma Sarno – dobbiamo annunciare il 39/mo suicidio in cella di questo 2010. Ogni ulteriore commento a questa strage senza fine appare sinanche riduttivo di fronte alla portata della tragedia che si consuma ogni giorno dietro le sbarre delle nostre degradate e sudice galere”. Per il sindacalista della Uil “suicidi ed evasioni certificano il fallimento del sistema penitenziario sempre più abbandonato al proprio, ineluttabile, destino nell’indifferenza della politica, della società e della stampa. A questo punto il personale, allo stremo e prosciugato di tutte le residue energie psico-fisiche , nulla può opporre alle fughe. Siano esse dalle mura piuttosto che dalle vite”.

Ps. L’indifferenza è assordante davanti a trentanove vite spezzate. A quaranta festeggiamo?

da http://www.livesicilia.it

Sempre da soli


Riceviamo e volentieri pubblichiamo.

di Sebastiano Bongiovanni, vice segretarionazionale della UGL Polizia Penitenziaria

La Federazione UGL Polizia Penitenziaria, giudica gravissimo la mancata approvazione dell’emendamento che prevedeva delle somme a favore degli Istituti penitenziari di Noto-Siracusa e di Augusta da parte del Consiglio Provinciale di Siracusa. Da questo atto politico si evince quello che più volte noi abbiamo ribadito, la solitudine a cui è costretto a lottare il personale di Polizia penitenziaria contro i molteplici problemi che li affliggano.

L’UGL P.P. visto il silenzio assordante, vuole ricordare la grave e persistente situazione in cui versano gli Istituti Penitenziari della Provincia e principalmente della C.R. di Augusta, dove il numero dei detenuti ha raggiunto il massimo mai avuto e la carenza di Personale ha toccato oramai una situazione insostenibile, che costringe gli addetti ad enormi  sacrifici ed a vivere una vita poco serena, per poter adempiere i doveri istituzionali comandati quotidianamente e su questo ci dispiace dire che nemmeno Sua Eccellenza il Prefetto ha accolto il nostro grido di dolore e di aiuto.

L’UGL P.P. per tali motivi che ritiene sbagliato il comportamento di qualche Consigliere Provinciale ed anche riteniamo inopportuno e demagogico quando poi le Istituzioni davanti a tragedie umane esprimono giudizi o promesse, quando invece in questi casi a nostro avviso sarebbe meglio tacere.

L’UGL P.P. si augura per il prossimo futuro una maggiore attenzione da parte di tutte le Istituzioni a partire dal Prefetto e augura buone ferie a tutto il Personale di Polizia Penitenziaria ed alle loro famiglie.

Dal carcere di Spoleto: bugie sul carcere


di Carmelo Musumeci (ergastolano con l’ostativo)

“Le pene, per quanto possa sembrare strano, non devono essere aumentate, semmai diminuite” (Carlo Nordio, Procuratore aggiunti a Venezia)

Nel Corriere della Sera el 29 marzo 2010 leggo:

–      Detenuto suicida con la bombola a gas. Il sindacato degli agenti di polizia penitenziaria ha chiesto che siano vietate.

Come se uno non si potesse suicidare impiccandosi con le lenzuola, le maniche di una camicia…per esempio l’ultimo suicida nel carcere di Spoleto l’ha fatto con un semplice maglione. E’ come proporre di non costruire più automobili perché nelle strade italiane ci sono troppi decessi per incidenti di macchine. Se si levassero i fornellini a gas nelle prigioni, come farebbero i detenuti a mangiare? Non lo sa il sindacato degli agenti di polizia penitenziaria che il cibo che passa l’Amministrazione dell’Istituto non basterebbe neppure per i topi che  vivono in carcere? Quante cose inesatte si dicono e si leggono sul carcere ma è normale perché parlano tutti fuorché i carcerati.

Sempre nel Corriere della Sera di domenica 4 aprile 2010 leggo:

–      Sulmona: suicidio in carcere, è il sedicesimo dell’anno. Il segretario generale del sindacato autonomo di polizia penitenziaria denuncia gravi carenze negli organici della polizia penitenziaria: come può un solo agente controllare 80 o 100 detenuti?

–      A parte che sono i detenuti che si controllano da soli e spesso sono i detenuti che controllano la polizia penitenziaria perché non potrebbe essere altrimenti, come farebbe un solo agente da solo a controllare ottanta o cento detenuti senza l’aiuto e il consenso degli stessi prigionieri? Se le carceri non scoppiano e i detenuti preferiscono ammazzarsi piuttosto che spaccare tutto come facevano nel passato è merito soprattutto della crescita interiore dei detenuti. Trovo di pessimo gusto approfittare dei morti ammazzati di carcere per chiedere miglioramenti sindacali di organico e finanziari. Noi non abbiamo bisogno di agenti penitenziari piuttosto abbiamo bisogno di educatori, psicologi, magistrati di sorveglianza e di pene alternative. Ricordo a proposito che per i detenuti che scontano l’intera pena la recidiva è intorno al 70%, invece per chi sconta pene alternative al carcere la recidiva non supera il 12%. Nessuno dice che spesso sono solo i detenuti che, con i loro ricorsi alla Corte europea e i reclami alla magistratura di sorveglianza, stanno portando un po’ di legalità in carcere. La verità purtroppo è una sola: le prigioni piene portano consenso elettorale ai partiti politici al governo e i suicidi in carcere portano richieste di miglioramento per la polizia penitenziaria e richiesta d’interrogazioni parlamentari per i partiti di opposizione. Eppure i detenuti per non togliersi la vita avrebbero solo bisogno di un po’ di speranza insieme a un carcere più umano.

Carcere: dagli agenti di polizia penitenziaria – riflessioni dopo il consiglio provinciale del 26 aprile 2010


Riceviamo e volentieri pubblichiamo:

La Federazione UGL Polizia Penitenziaria, con riferimento alla seduta del Consiglio Provinciale aperto, che si è tenuto Sabato 24 Aprile 2010, per discutere della situazione Penitenziaria in provincia di Siracusa, con la presenza di molte autorità, vogliamo ribadire alcuni concetti fondamentali che abbiamo espresso con forza, determinazione e passione durante la seduta ma purtroppo non emersi nella stampa locale.

         Per anni la scrivente O.S. ha lanciato spesse volte un grido di allarme a tutti gli Enti competenti, ricevendo come risposta solamente un silenzio assordante, grazie all’iniziativa del Consiglio Provinciale per la prima finalmente diciamo “ Non più Soli”, ma anche in questa circostanza, con molto rammarico, dobbiamo constatare per l’ennesima volta come a nostro avviso, sbagliando, al centro della discussione, si è messo sempre e principalmente le condizioni, il trattamento ecc. del detenuto, dimenticando un concetto fondamentale, “ Senza Personale di Polizia Penitenziaria, gli unici ad avere un rapporto quotidiano e costante con il detenuto, non si potrà mai avere un vero trattamento ed una reale sicurezza per i nostri cittadini, quando questi finiranno di espiare la pena”.

         Il Personale di polizia Penitenziaria è costretto a fare turni massacranti, ad effettuare straordinario pagato addirittura con mesi di ritardo, svolge il proprio lavoro in condizioni pessime ed in strutture che non hanno a norma nulla di quanto prevede ad esempio la sicurezza nei luoghi di lavoro…ci domandiamo, gli organi preposti dove sono? Lo Stato dov’è?

         Inoltre, prendiamo atto con rammarico, come nessuno abbia ricordato i tanti suicidi dei nostri colleghi, o di quel personale di Polizia Penitenziaria, che ha perso la propria vita per il compimento del suo dovere, oppure per le minacce che spesso è costretto a ricevere.

         L’UGL Polizia Penitenziaria, nel pieno rispetto della persona umana e della dignità di lavoratore e servitore dello Stato, si augura finalmente un intervento concreto per affrontare seriamente la carenza di personale di Polizia Penitenziaria e delle carenze strutturali degli istituti penitenziari dell’intera Provincia di Siracusa, specialmodo quello di Augusta, che sicuramente a differenza di quello che afferma il Senatore Fleres si vive una situazione drammatica.

         La scrivente O.S. nel caso in cui, tutte le promesse e gli impegni assunti dagli autorevoli intervenuti al Consiglio Provinciale non verranno mantenuti non esiteremo, come del resto abbiamo fatto sempre, ad effettuare tutte quelle forme di protesta che la legge ci consente per difendere i diritti e la dignità del personale di Polizia Penitenziaria.

da www.uglpoliziapenitenziaria.it

Carceri: allarme suicidi, in Italia tre tentativi al giorno. Dal primo gennaio sono diciannove i detenuti che si sono tolti la vita


  Emergenza suicidi nelle carceri italiane. Ogni giorno, nei 206 istituti penitenziari della Penisola, si registrano almeno tre tentativi di suicidio da parte dei detenuti. L’anno scorso sono stati 800 e quest’anno, in poco più di tre mesi, già 250. Grazie al lavoro di vigilanza degli agenti di polizia penitenziaria, la maggior parte di questi tentativi si riesce a sventare, ma in alcuni casi non si fa in tempo a intervenire.

 Un ‘bollettino di guerra’ che cresce ogni giorno: dal primo gennaio 2010 ad oggi sono già 19 i detenuti che si sono tolti la vita in carcere. L’anno scorso, considerato un anno ‘nero’, si sono registrati 52 suicidi (ma potrebbero essere di più: per alcune fonti si arriva a 70), praticamente uno a settimana. Se continua così, quindi, il 2010 rischia di essere ricordato come un tragico anno record per le morti in carcere.

 Le cause di questo scenario allarmante sono molteplici, ma in primo luogo sembrano esserci le cattive condizioni di vita carceraria dovute al sovraffollamento, ai troppi detenuti: 67.271, di cui 42.288 italiani e 24.983 stranieri, a fronte di una ricettività regolamentare pari a circa 43 mila posti. La conseguenza di questo sovraffollamento e’ presto detta: “Detenuti stipati in cella come ‘sardine’, a volte 3-4 persone in 4 metri quadrati, con convivenze molto difficili”. E’ la fotografia sulle condizioni di vita nelle carceri italiane scattata dall’”AdN-Kronos Salute”, che ha interpellato il segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe), Donato Capece, il Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, e il coordinatore del Centro prevenzione suicidio dell’ospedale Sant’Andrea della II Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’università Sapienza di Roma, Maurizio Pompili.

 Secondo gli esperti, questi problemi investono quasi tutti gli istituti di pena, in alcuni casi “vecchi e fatiscenti”. Ma non mancano le ‘eccellenze’, in negativo però. Un carcere dove le condizioni di vita di chi e’ dietro le sbarre sono assai problematiche sembra essere per esempio quello di Sulmona, dove proprio il 9 aprile si è registrato il 19esimo caso di suicidio del 2010. Ma anche all’Ucciardone di Palermo, al San Vittore di Milano e al Poggioreale di Napoli non mancano le difficoltà.

 Per arginare il triste fenomeno dei suicidi in carcere, il Centro prevenzione suicidio dell’ospedale Sant’Andrea della II Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’università Sapienza di Roma, in collaborazione con il Dap (Dipartimento amministrazione penitenziario), fara’ partire a giorni un programma di prevenzione ad hoc.

 “Il progetto – spiega il coordinatore del Centro, Pompili – si basa su due capisaldi: l’informazione e la formazione attraverso specifici seminari. Rivolti sia ai detenuti che al personale degli istituti, tra cui gli psicologi. Si cercherà di insegnare a riconoscere i soggetti piu’ a rischio e a non sottovalutare alcuni segnali, come ad esempio le comunicazioni di suicidio fatte da alcuni detenuti, che spesso vengono sottovalutate”.

 Diversi i segnali di malessere possibili campanelli d’allarme. “I più evidenti – dice l’esperto – sono dormire e mangiare poco, o trascurarsi nell’igiene personale”. Il progetto, nelle intenzioni,

dovrebbe ‘coprire’ tutti gli istituti di pena del Paese. “Dipenderà dalle risorse che si vorranno investire”, precisa Pompili. “L’idea, comunque, e’ quella di partire con gli istituti per cosi’ dire più ‘difficili'”.

 Per migliorare le condizioni di vita in carcere è sceso in campo anche il Governo, che sta lavorando a una riforma del sistema penitenziario. Il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha presentato un piano mirato, proprio per affrontare e risolvere i problemi degli istituti di pena nazionali. “Due mesi fa – ricorda Capece – il ministro ha presentato un piano-carceri, già approvato dal Consiglio dei ministri. Questo piano prevede risorse per 700 milioni di euro, destinate alla costruzione di 47 nuovi padiglioni detentivi più 17 carceri leggeri. E ancora, l’implementazione di 2 mila unità dell’organico della polizia penitenziaria. Il piano prevede inoltre il potenziamento delle pene alternative come i domiciliari, ma non solo”.

 Nel frattempo, però, la situazione nelle carceri è ‘esplosiva’. “L’anno scorso – continua Capece – ci sono stati 800 tentativi di suicidio, quest’anno in poco più di tre mesi già 250. E’ necessario intervenire al più presto per aumentare gli spazi e migliorare le condizioni di vita nelle carceri. Abbiamo anche suggerito delle soluzioni, come ad esempio la costruzione immediata di piattaforme galleggianti o sistemi modulari di sicurezza. Questi  ultimi si costruiscono in 6 mesi, sono capaci di contenere circa un migliaio di detenuti e hanno un costo di realizzazione che varia dai 20 ai 25 milioni di euro”.

 Ma non è solo un problema di spazi. “Mancano gli agenti di polizia”, osserva Capece. “Ne servirebbero almeno 6 mila in più. Al momento, nelle sezioni detentive lavorano circa 24.300 agenti. A volte un solo sorvegliante si ritrova a controllare 100 detenuti. Reclusi che, per mancanza di spazi, vivono in condizioni molto difficili, spesso costretti a restare ognuno nella proprio branda anche solo per poter parlare tra loro. Il sistema, così, rischia di implodere”.

 A scarseggiare non sono solo gli agenti della polizia penitenziaria. “Mancano anche psicologi, educatori, medici e operatori sanitari”, avverte Capece. “L’assistenza sanitaria all’interno delle carceri ora e’ in mano al Servizio sanitario nazionale. Naturalmente questo comporta che tutti i problemi che affliggono il Ssn si riflettono inevitabilmente anche sul servizio all’interno degli istituti. Da qui la carenza di medici”.

 Sulla stessa lunghezza d’onda anche il Garante dei detenuti del Lazio, Marroni, che denuncia le stesse problematiche: “L’affollamento all’interno delle carceri produce insofferenza. Molti spazi dedicati al sociale vengono trasformati in celle. Si riducono gli spazi e si riduce la vivibilità per i detenuti”.

 Per Marroni, la carenza degli agenti di polizia penitenziaria è una vera e propria emergenza. “Ne servirebbero almeno altri 5-6 mila. Anche per avere più attenzione nei confronti degli atti di autolesionismo e dei tentativi di suicidio dei detenuti, alcuni dei quali – puntualizza – sono persone con disturbi psichici”. Per arginare il problema legato al sovraffollamento, anche per Marroni sarebbe necessario pensare a misure detentive alternative. “Soprattutto – conclude – per le 25 mila persone detenute per piccoli reati legati alla tossicodipendenza. Non dovrebbero stare in prigione ma nelle comunità terapeutiche e nei centri di disintossicazione”.

 fonte Adnkronos

Carcere di Bari: “Vivicittà 2010”, domenica si è corso nel carcere minorile


E nel carcere di Augusta che stanno facendo? Chissà…tutto tace…nessuna voce che dia risonanza alle iniziative positive…ce ne saranno? tutto tace…

Aspettando domenica 11 aprile la XXVII edizione di Vivicittà, la Uisp lancia due prologhi in carcere, “coerenti con le finalità sociali della manifestazione”. Sabato 27 marzo si è corso nel penitenziario di Brescia, con il coinvolgimento dei detenuti di Canton Mombello, la sezione femminile e maschile di Verziano, gli agenti di polizia penitenziaria, atleti esterni e scuole superiori cittadine e della provincia. Ieri, domenica, invece, nel minorile di Bari, sempre alle 10.30, si è corso all’interno del carcere minorile dell’Istituto Fornelli. All’appuntamento con la gara riservata a 35 giovani detenuti dell’istituto e ad alcuni rappresentati di diverse parrocchie locali sono stati circa 60 gli atleti al via.

Vivicittà in carcere coinvolge quest’anno 15 città italiane: Bari, Biella, Brescia, Caltanissetta, Civitavecchia, Cremona, Eboli (Sa), Ferrara, Livorno, Milano, Pavia, Reggio Emilia, Roma, Siena e Vigevano. “Collocazione significativa” anche per la conferenza stampa nazionale: l’Uisp ha scelto la Scuola omnicomprensiva Di Donato in piazza Vittorio, al centro del quartiere più multietnico di Roma, visto che l’edizione di quest’anno è dedicata alla multiculturalità e all’antirazzismo.

da www.ristretti.it

I senzanima di Carmelo Musumeci dal carcere di Spoleto


Grazie, Carmelo, per questo bellissimo, doloroso, atroce tuo racconto, grazie ancora una volta per queste tue testimonianze

Dedicato a mio fratello Silvio: non c’è più, ma il suo cuore batte accanto al mio.

Si erano arruolati nella polizia penitenziaria che avevano un cuore e un’anima.
Dopo alcuni anni non avevano più cuore.
Poi erano rimasti anche senz’anima.
Col passare degli anni l’Assassino dei Sogni aveva mangiato sia l’uno che l’altra.
I senzanima non erano cattivi, perché non era colpa loro se avevano perso l’anima e il cuore.
Era colpa del mostro infame dell’Assassino dei Sogni.
I senzanima erano vittime e carnefici nello stesso tempo.
Come la maggioranza della popolazione detenuta, le guardie carcerarie nascono nel profondo sud.
E chi nasce in quelle terre, per sopravvivere, non ha molta scelta: o indossa una divisa o fa il delinquente.
In un certo modo i senzanima erano delinquenti mancati.
Ognuno di loro aveva un nome, ma fra di loro non si chiamavano più per nome.
Fra di loro si chiamavano “Collega”.
Invece i detenuti li chiamavano i “Senzanima”.
Erano la “squadretta” del carcere.
Quelli che facevano i lavori sporchi per l’Assassino dei Sogni.
I detenuti li chiamavano anche “I figli di puttana”.
Non perché avessero la madre che faceva la puttana, ma semplicemente perché i senzanima erano dei figli di puttana.
Non discutevano gli ordini che ricevevano, li eseguivano e basta.
Erano dei semplici esecutori.
Da un po’ di tempo in quel carcere c’era una protesta.
Da diversi giorni i detenuti sbattevano le sbarre della finestra, del cancello e del blindato della porta con gavette, caffettiere, padelle e pentole.
Lo facevano ad orari fissi: il mattino presto, a mezzogiorno e alla sera.
Erano tre giorni che facevano la “battitura”, così si chiamava quella forma di protesta pacifica, ma rumorosa.
I detenuti protestavano per avere più ore d’aria e per avere la televisione accesa durante la notte per vedere qualche spogliarello nelle televisioni private locali.
Il direttore e il commissario del carcere avevano deciso di agire e di trasferire i promotori della protesta e si rivolsero alla squadretta.
Era una giornata fredda e nuvolosa.
Neppure il tempo prometteva nulla di buono.
I senzanima piombarono in sezione qualche ora prima dell’alba.
Il corridoio era silenzioso e cupo.
Come facevano di solito, si volevano divertire a picchiare i detenuti.
A un tratto dalle prime celle si sentì un grido d’allarme di un detenuto.
– Arrivano i senzanima!
E subito dopo si sentirono urla e insulti per tutto il carcere.
I figli di puttana incominciarono con i detenuti delle prime celle a rompere nasi e denti, imbrattando di sangue le mura delle loro stanze.
I bastardi ridevano come matti.
I detenuti più deboli, i tossicodipendenti e gli anziani si rannicchiarono negli angoli delle loro celle a piangere e a singhiozzare.
La cella di Silvio era in fondo alla sezione.
Era fortunato.
I senzanima prima di arrivare da lui si sarebbero sfogati con i detenuti delle prime stanze.
Silvio non era alto, ma neppure basso.
Era di statura media.
Aveva i capelli neri, duri e corti come un riccio.
Sembrava giovane.
Poteva avere trent’anni, invece ne aveva quaranta.
Anche Silvio, nel senso buono, era un figlio di puttana.
Ne aveva viste tante.
Da anni faceva avanti e indietro per la galera.
Era sempre stato un prigioniero scomodo.
Un detenuto che rompeva le palle.
L’Assassino dei Sogni non lo poteva sopportare, perché lottava e protestava per i suoi diritti.
Ma quello che mandava in bestia più di tutto l’Assassino dei Sogni era che Silvio non lottava solo per i suoi diritti, ma lottava anche per i diritti degli altri detenuti.
Aveva partecipato a diverse rivolte e sommosse e sapeva bene come anche questa protesta sarebbe andata a finire.
Per attutire i colpi delle manganellate che di sicuro gli sarebbero arrivati, si era messo addosso tre pigiami, due paia di pantaloni e diverse maglie e maglioni, con sopra due tute e aveva indossato le scarpe più pesanti.
Il comandante della squadretta aveva la lista dei facinorosi in mano e gridava come un bastardo perché era un bastardo.
La sua voce echeggiava per tutta la sezione.
Gridava il nome di Silvio:
– Manca ancora questo figlio di puttana … andate a prenderlo!
– Dove cazzo è …?
– Alla cella diciassette.
– Portatelo subito qui … che minchia aspettate … gli altri detenuti sono sul blindato e stanno già partendo.
I senzanima gli piombarono addosso in due.
L’avevano preso per un tossico e gli diedero due ceffoni.
Silvio ci rimase male, si aspettava di tutto, ma non due schiaffi.
Se gli fossero arrivati pugni calci e manganellate forse non avrebbe reagito, ma pensava che gli schiaffi li prendevano solo le donne.
Li stese per terra tutte e due in un batter d’occhio.
Il padre di Silvio era cintura nera di judo, sua sorella di karate.
Lui era nato e cresciuto in palestra.
Era persino arrivato secondo al titolo italiano di judo e terzo in quello di karate.
Il comandante della squadretta non credette ai suoi occhi.
Gli si gonfiarono le vene del collo.

Iniziò a ruggire come un leone
– Che cazzo state aspettando? Prendetelo e portatemelo qui.
Piombarono tutti insieme addosso a Silvio.
Lui invece di provare a scansare qualche manganellata si fece avanti.
Sapeva per esperienza che in quei casi non bisogna mai stare distanti dagli avversari, perché più sei vicino a loro e meno spazio hanno gli altri per colpirti.
Si difese come poteva: scazzottando a destra e a sinistra.
Ma era solo questione di tempo.
In pochi secondi i senzanima lo afferrarono per le braccia e il collo.
Il comandante della squadretta lo guardò con soddisfazione.
– Tenetelo fermo … così … tenete fermo questo figlio di troia che ora ci penso io.
Con un sorriso sadico e maligno s’infilò al rallentatore nella mano un pugno di ferro, ma Silvio lo precedette di qualche secondo.
Appoggiandosi a quelli che dietro lo tenevano fermo, alzò le due gambe unite e con tutti i due piedi lo colpì in faccia.
Nessuno se l’aspettava.
I senzanima videro il loro capo perdere l’equilibrio e sbattere la testa contro il muro dietro.
Iniziò il massacro.
Gli arrivarono pugni, calci e manganellate da tutte le parti.
Silvio s’accorse subito che stava perdendo i sensi perché non sentiva più dolore.
Il suo respiro si fece lento.
Sentiva la nausea: stava per svenire.
Iniziò a vedere solo ombre confuse intorno a sé.
Vedeva tutto al rallentatore.
I rumori si erano trasformati in bisbigli.
L’aria si era condensata.
I colori si erano trasformati in bianco e nero.
I senzanima lo presero per le braccia e lo trascinarono via dal piazzale del carcere dove c’era il blindato pronto a partire.
Lo cacciarono dentro al furgone come un pacco postale.
Gli misero le manette e lo scaraventarono nella celletta interna.
Quando Silvio riprese i sensi, si sentì tutte le ossa rotte, le labbra e gli occhi gonfi.
Era pieno di lividi blu e viola dappertutto.
Gli scorreva ancora qualche goccia di sangue dal naso.
Tirò su la testa per farlo smettere di sanguinare.
Aveva dolore dappertutto: dalla punta dei piedi fino ai capelli.
Gliele avevano suonate di santa ragione.
Fece una gran fatica a rimettere in moto il cervello.
Aveva un terribile mal di testa.
Sentiva il sangue in gola che lo stava soffocando.
Sputò un grumo di sangue, che fu seguito da numerosi colpi di tosse.
Quando respirava a bocca piena sentiva delle tremende fitte nelle costole.
Si sforzò di respirare piano e quando sentì che il dolore si era stabilizzato, guardò fra le fessure della sua celletta.
Vide che i senzanima erano quattro.
C’era l’autista e accanto a lui il comandante della squadretta con una vistosa fasciatura sul naso.
Il capo dei figli di puttana era un omone grasso, con un testone che assomigliava a quello di un mastino napoletano, aveva un paio di grossi baffi alla messicana e con quella fasciatura sul naso sembrava ancora più buffo.
Silvio pensò che prima della fine del viaggio quel calcio in faccia che aveva dato a quel bastardo l’avrebbe pagato.
Non si sbagliava!
Il capo della squadretta aveva scelto proprio di fare quella traduzione.
Si voleva vendicare.
Le altre due guardie erano sedute nei seggiolini davanti a lui e parlavano a bassa voce.
Silvio si sentiva come un topo in trappola, circondato da gatti.
Dallo spazio delle sbarre del finestrino vide che stavano viaggiando in autostrada.
Silvio pensò:
– Chissà quanto tempo sono rimasto svenuto e dove cazzo mi stanno portando.
Sperava che non lo stessero trasferendo in un carcere lontano da dove abitava sua sorella.
Gli era rimasta solo lei.
La madre era morta tanto tempo fa e da pochi anni gli era anche morto il padre.
Solo sua sorella Maria lo andava a trovare quando poteva e appena il lavoro glielo permetteva.
Sua sorella era separata e stava crescendo suo figlio, Lorenzo, da sola.
Lui stravedeva per il suo nipotino.
Glielo portava spesso al colloquio.
Gli voleva bene come ad un figlio, più di un figlio.
Ultimamente aveva deciso di mettere la testa a posto.
Gli mancavano ancora due anni per finire la pena e poi sarebbe uscito.
Aveva intenzione di aprirsi una palestra per insegnare ai ragazzi le arti marziali.
Gli sarebbe piaciuto girare il mondo, ma per un motivo o per l’altro non aveva potuto farlo.
Ora non ne aveva più voglia.
Voleva stare un po’ tranquillo e vivere con sua sorella e suo nipotino.
Smise di pensare.
Era curioso di sapere dove stava andando, in che cazzo di carcere lo stavano portando.
Rimase con gli occhi incollati alla fessura dei buchi delle lamiere fin quando non riuscì a leggere un cartello segnaletico dove c’era scritto: Salerno.
Silvio con apprensione pensò:
– Porca puttana! Mi stanno portando al sud!
I due figli di puttana seduti davanti alla sua celletta si accorsero che Silvio aveva ripreso i sensi e dissero qualcosa al comandante della squadretta.
Il blindato incominciò ad accelerare e a frenare di colpo per farlo sballottare da una parte all’altra della celletta.
I senzanima volevano divertirsi.
Non erano malvagi, erano solo cattivi.
Ma questo a Silvio non gli interessava più di tanto.
Lui non era una persona che si faceva intimorire facilmente.
Il suo cuore era buono, ma anche lui era un figlio di puttana.
Pochi in questo mondo hanno la forza di essere se stessi.
Solo i ribelli ci riescono e Silvio era nato ribelle.
Le manette ai polsi gli facevano male.
I bastardi gliele avevano strette apposta.
Puntò i piedi da una parte all’altra della celletta.
Ora il blindato poteva sbattere quanto gli pareva, lui era ben fermo.
Non disse nulla e non diede soddisfazione ai senzanima.
Sentì dei grugniti da parte del comandante della squadretta e poi il blindato riprese a guidare regolarmente.
Il blindato si fermò dopo una mezzoretta in un piazzale dell’autostrada.
Dalle fessure della lamiera, Silvio vide che si trovava in aperta campagna.
Due guardie scesero a pisciare.
Uno di questi gridò qualcosa e subito dopo scesero anche gli altri due.
Silvio era irrequieto.
Raddrizzò le orecchie e si sforzò di sentire cosa dicevano.
Afferrò solo poche parole.
– Sembra il posto giusto.
– Continuate a dare un’occhiata in giro … state attenti che non ci siano occhi e orecchi indiscreti.
Dopo alcuni minuti due senzanima salirono di nuovo sul blindato e andarono davanti a Silvio e gli aprirono la celletta.
Uno di questi gli ringhiò:
– Scendi figlio di puttana … vai a pisciare che poi per un po’ non ci potremmo fermare da nessuna parte.
Silvio era intelligente e gli venne in mente che c’era qualcosa che non andava.
Pensò:
… perché non si erano fermati in qualche autogrill?
Da poco ne avevano passato uno.
Era disorientato e indeciso.
Non sapeva cosa fare.
Si decise a rispondere:
– Non mi scappa.
Lo sentì il comandante della squadretta che gridò:
– Fatelo scendere a calci nel culo … deve pisciare quando glielo diciamo noi e non quando lo dice lui.
Silvio fiutò l’aria e sentì che sapeva di cattiveria.
Pensò che fosse meglio non farsi mettere le mani addosso e, guardingo, scese di sua volontà.
Appena mise piede per terra vide davanti a sé il capo dei figli di puttana che lo guardava con odio.
Invece di abbassare gli occhi Silvio ricambiò con fierezza lo sguardo e gli disse:
– Che cazzo hai da guardarmi in questo modo?
Silvio sapeva che gli conveniva stare zitto, ma per lui era difficile non dire quello che pensava.
I guai lo affascinavano.
Sua sorella Maria ogni volta che andava a trovarlo in carcere glielo diceva:
– Riesci sempre a cacciarti nei guai! Quando metti la testa a posto?
Ma questa volta le cose non dipendevano da lui.
Questa volta le cose dipendevano dai senzanima.
Il comandante della squadretta gli tirò una sberla a cinque dita.
Silvio cadde per terra come un sacco di patate.
Da terra vide il cielo colorato di rosso.
Incominciava a cadere anche qualche goccia di pioggia.
Poi il capo dei figli di puttana lo prese per il colletto del maglione e lo sollevò come un coniglio.
Silvio gli fissò gli occhi.
Erano occhi cattivi, abituati ad odiare.
Occhi che non avevano mai conosciuto l’amore.
Silvio non credette alle sue orecchie quando sentì dire al capo dei figli di puttana:
-Toglietegli le manette per farlo pisciare.
Sentiva del pericolo.
Lo avvertiva nell’aria.
L’occhio gli cadde nella pistola del cinturone che portava addosso uno dei senzanima … non portava la sicura.
Deglutì!
Ingoiò un po’ d’aria a vuoto.
All’improvviso Silvio capì cosa i senzanima volevano fare, ne aveva già sentito parlare da altri carcerati.
Si trovava in un grosso guaio.
I bastardi volevano mettere in scena una finta evasione per ammazzarlo.
I senzanima, oltre a non avere cuore, non avevano legge.
Silvio pensò di non aver speranza, ma la speranza è dei deboli e lui non era un debole.
Non aveva bisogno di nessuna speranza.
Avrebbe provato lo stesso a salvarsi la vita.
Doveva tentare di scappare.
Sapeva che se scappava si sarebbe messo contro tutti, anche contro sua sorella, l’unica persona che gli voleva bene.
Lei e il nipote erano le uniche persone che aveva per continuare a vivere.
Ma era sempre meglio che farsi ammazzare come un cane senza fare nulla.
Non temeva per la vita, ma se moriva gli sarebbe scocciato non vedere più sua sorella e il nipote.
Senza contare che gli scocciava farsi sparare alle spalle.
Agì mentre pensava.
Diede un calcio nelle palle al capo dei figli di puttana.
Nello stesso tempo, e con la medesima velocità, diede una gomitata in gola alla guardia più vicina a lui.
Poi fu l’istinto che fece smuovere le sue gambe e loro si mossero.
Scavalcò il guard rail dell’autostrada e corse in aperta campagna verso degli alberi che vedeva in lontananza.
Il cuore gli batteva forte, ma Silvio correva più forte di lui.
Correva da destra a sinistra.
Se fosse arrivato nel bosco che incominciava a intravedere, forse ce l’avrebbe fatta.
Iniziò a piovere sempre più forte.
Gli sembrò di sentire dei tuoni, ma non lo erano, erano spari.
I senzanima dopo un attimo di panico avevano estratto la pistola e avevano fatto fuoco.
Silvio non si accorse neppure che due pallottole lo avevano colpito.
Una pallottola lo aveva colpito ai polmoni e una ad un braccio.
Il maglione si era colorato di sangue.
Silvio correva ancora più forte.
La pioggia gli batteva in faccia mentre il cuore gli batteva nel petto.
Intanto sentiva i senzanima dietro.
I figli di puttana li aveva alle calcagna.
Lo volevano finire.
Gli alberi erano sempre più vicini.
Silvio correva e intanto il cielo tuonava e piangeva grosse lacrime.
La pioggia gli sferzava il viso.
I suoi polmoni incominciarono a far fatica a respirare.
Sentiva il rumore dei suoi passi che si confondevano con il rumore dei battiti del suo cuore.
Ora pioveva a dirotto.
Sentì altri spari, ma questa volta nessuna pallottola lo colpì.
Silvio intuì che i senzanima a forza di correre avevano il fiatone e non riuscivano a prendere bene la mira.
Poteva farcela!
Pensò:
– Ancora un centinaio di metri e poi uscirò dalla vista di quei bastardi.
Doveva farcela!
Dietro sentiva imprecazioni di rabbia e odio.
Stava per farcela.
Il sudore gli colava dalla fronte e gli annebbiava gli occhi.
Era ormai allo stremo delle forze quando vide che mancavano pochi metri ai primi alberi del bosco.
Silvio sorrise, ce l’aveva fatta.
Giusto in tempo!
Ora non avrebbe più corso allo scoperto.
Una volta nel bosco se i senzanima lo avessero seguito, li avrebbe ammazzati uno per volta.
Ai figli di puttana, fra gli alberi, le pistole non sarebbero servite a nulla.
Disse a se stesso:
– Ce l’ho fatta, grazie a Dio ce l’ho fatta, ora potrò nascondermi fra gli alberi.
Proprio in quel momento una pallottola lo raggiunse nella schiena e una in testa.
Ebbe l’impressione per un attimo di muoversi troppo veloce, ma non stava correndo per nulla.
Era fermo.
La sua corsa era finita.
Cadde all’indietro.
Non sentì la botta per terra.
Quando si muore, non si sente mai dolore.
Si ha altro per la testa.
Morire è come dormire e dormire è un po’ come morire.
Silvio non aveva voglia né di morire, né di dormire, ma non poteva farci nulla.
Gli giravano solo un po’ le palle perché ce l’aveva quasi fatta.
Gli vennero in mente tante cose, ma non riuscì a pensare a nulla.
Gli vennero in mente pure i suoi sogni più importanti e pensò che ormai solo da morto forse sarebbe riuscito a realizzarli.
Dopo lunghi secondi vide che i senzanima erano accanto a lui con gli occhi da figli di puttana che gli sorridevano.
Il capo della squadretta vedendo che Silvio aveva gli occhi aperti ma lo sguardo da morto gli diede una pedata in faccia.
Gli altri tre figli di puttana vedendo quest’ultima scena sogghignarono.
Silvio stava morendo e quell’ultimo calcio gli diede noia, ma non poteva farci nulla, altrimenti si sarebbe alzato e li avrebbe picchiati tutti e quattro.
Gli scocciava molto che stava morendo solo, ma poi pensò che non si muore mai da soli … si muore sempre in compagnia delle persone che nella vita hai amato.
Lui era fortunato perché nella sua vita aveva sempre amato e morì in compagnia dei suoi genitori, della sorella e del nipotino, come aveva sempre sognato nei suoi pensieri.
Silvio emise il suo ultimo respiro e se ne andò da dove quarant’anni prima era venuto.
Sentì il rumore dell’ultimo battito del suo cuore, poi non sentì più nulla.
Era morto!
Il capo dei figli di puttana scrisse nel suo rapporto che lui e i suoi uomini incuranti del pericolo avevano impedito la fuga di un pericoloso criminale.
I buoni vincono sempre anche quando sono criminali.
I senzanima furono lodati e premiati dal Ministro della Giustizia in persona.

da www.informacarcere.it

Carcere di Augusta: crollati 50 m di muro


5 marzo 2010. La notte scorsa sono caduti circa 50 metri della prima recinzione del Carcere di Augusta. Non è la prima volta che succede ma l’assenza di fondi disponibili non fa che rimandare un intervento di manutenzione, ormai improcastinabile. Niente soldi per Augusta ma tanti ed abbondanti per altre strutture. In molti ricorderanno la spesa di 700.000 euro per realizzare una recinzione all’interno dell’ISPPe con l’unico scopo di rendere autonome le Fiamme Azzurre.

da www.polpen.it