Forse la frase più semplice e bella l’ha detta Said Ahmad, l’ ‘elder’ di Kush Rod, il capo villaggio. “Maria Grazia Cutuli non è morta invano. Grazie al suo sacrificio avremo una scuola dove far studiare i nostri bambini”. La scuola intitolata alla giornalista del Corriere della sera uccisa in Afghanistan il 19 novembre 2001, mentre percorreva la strada tra Jalalabad e Kabul, sorgerà in questa landa desolata del distretto di Injil, ad un’ora di fuoristrada da Herat. L’ha voluta e l’ha finanziata la Fondazione Cutuli e oggi, in pompa magna, è stata posata la prima pietra della struttura che ospiterà 600 bambini, 350 femmine e 250 maschi. C’erano tutti, a cominciare dal presidente della Fondazione, l’architetto Mario Cutuli, che per la prima volta mette piede in Afghanistan, nove anni dopo l’omicidio della sorella. “Un paese che Maria Grazia amava molto, l’Afghanistan, per il quale credeva in un futuro di pace e sviluppo”, ha detto, parlando davanti ai notabili della zona, al vicegovernatore di Herat, alla gente del posto e, soprattutto, ai tanti bambini che nei prossimi mesi avranno un posto dove imparare a leggere e a scrivere. “Vengo per mettere la prima pietra di una scuola che rappresenta un piccolo passo per il futuro di tutto il Paese e un grande contributo per lo sviluppo di questo villaggio”. La scuola, che nasce in una delle zone più povere della provincia di Herat, è stata gratuitamente progettata in Italia attravero un workshop cui hanno partecipato diversi studi di architettura. Si tratta di un complesso che occuperà un’area di 2.000 metri quadrati, di cui 650 saranno coperti dall’edificio scolastico vero e proprio – con otto classi, una biblioteca, diversi servizi per la didattica (il Corriere della Sera donerà 50 computer) – e un’altra vasta zona adibita ad orto e giardino, su cui verranno piantati 50 alberi da frutta. Il progetto della Fondazione (che vede tra i soci fondatori, oltre alla famiglia Cutuli, il Comune di Roma, l’Ordine dei giornalisti, il Corriere, Rcs quotidiani, Banca Nuova, la Regione Sicilia, Confindustria Sicilia e la Fnsi) è stato sostenuto dal Prt, il Team di ricostruzione provinciale del contingente militare italiano, che ha individuato l’area e fornito il sostegno logistico. Lo stesso colonnello Emmanuele Aresu, comandante del Prt, insieme al rappresentante della Farnesina ad Herat, Sergio Maffettone, si sono impegnati in prima persona per favorire i contatti con le autorità locali e per ottenere, in tempi rapidi, le necessarie autorizzazioni. “La nostra Fondazione – ha detto Mario Cutuli – ha voluto lasciare un segno simbolico sul territorio per ricordare e proseguire il lavoro di studio e di ricerca iniziato da Maria Grazia e per onorarne la memoria proprio nel Paese dove è finita la sua breve, ma intensa esistenza. Oggi sono felice perché qui ritrovo il suo spirito ed è come se pecepissi ancora la presenza di mia sorella”. Per far luce sull’assassinio della giornalista del Corriere della Sera sono stati aperti due processi: uno in Italia, attualmente bloccato perche non è stato possibile notificare agli inquisiti (la procura di Roma ne ha individuati sei) la chiusura delle indagini a loro carico, e uno in Afghanistan, che ha portato alla pena capitale per tre persone. La prima di queste condanne è stata eseguita a Kabul l’8 ottobre: in questa occasione la famiglia di Maria Grazia ha ribadito la sua contrarietà alla pena di morte.
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Morire a Kabul
di Loretta Dalola
“Ogni volta che muoiono i nostri soldati all’estero è doveroso ricordare il loro sacrificio ed è anche opportuno prestare attenzione sul motivo per cui lo fanno”. Queste le parole di Alessio Vinci per l’apertura del tema della serata di Matrix, su Canale 5, che ha tentato di prendere in esame la missione italiana in Afghanistan e i recenti fatti di cronaca che hanno avuto come protagonista la morte di due soldati riaprendo il dibattito sull’impegno militare nel paese.
Siamo in guerra o no con i Talebani? Ufficialmente no, e il Ministro della Difesa Ignazio La Russa ne ha chiaramente spiegato i motivi in una “concitata”, per usare un grosso, abnorme eufemismo, puntata di Matrix. Soprattutto nella seconda parte del programma , il tono della discussione degenera in un modo che risulterà poi irrimediabile , riuscendo a scalfire anche il noto self control del conduttore.
Il Parlamento ha detto che è giusto tributare un saluto ai nostri ragazzi, ha esordito il ministro, che ogni giorno fanno qualcosa per la pace e tengono lontano il pericolo del terrorismo.
La presenza dei nostri soldati è una forza di pace, si tratta di ottenere la pace utilizzando determinati strumenti che non possono prescindere dai metodi di militarizzazione.
Gli argomenti di discussione sono stati sostanzialmente due e principalmente uno: che ci facciamo in Afghanistan? Ci dobbiamo rimanere o no? E perchè? E’ veramente utile rimanere? Serve a qualcosa o rischiamo solo la vita dei nostri militari?.
L’altro è quello della presenza delle donne sul campo di battaglia, oggettivamente poco analizzato durante la trasmissione. Si potrebbe anche pensare, a dire il vero, che sia stato giusto così, le donne soldato infatti sono militari alla stregua dei loro colleghi maschi, niente di più, niente di meno. Che siano oggetto di discussione potrebbe anche essere visto da parte di alcuni come una sorta di discriminazione.
Secondo Ferrero, il rimanere in “zona di guerra” è controproducente, vale a dire mette appunto a rischio la vita dei nostri soldati senza che però si ottenga niente è da ormai 9 anni che si sta prolungando l’attività dei militari.
Il portavoce della Sinistra più “radicale” sostiene a gran voce il ritiro delle nostre truppe, bisogna cambiare strategia e intavolare una “conferenza di pace” e aprire il dialogo.
La Russa comincia scaldarsi, e dopo varie scaramucce inizia a chiedere “con chi” ? i Talebani non vogliono la pace dice il Ministro.
E da questo momento, inevitabilmente la situazione precipita e nonostante la serata sia all’insegna del ricordo doloroso della morte dei nostri soldati, La Russa scatena la polemica.
ll sentire concetti “sbagliati” sulla guerra in Afghanistan pare essere per La Russa qualcosa di insopportabile. Il Ministro si trova a discutere con quasi tutti i presenti in trasmissione, Alessio Vinci compreso. Quest’ultimo a tratti appare un po’ spaesato, per diversi minuti non riesce a tenere in mano la trasmissione e non certo per incapacità sua, quanto per l’incontenibile “esuberanza” di La Russa, un vero e proprio “carroarmato verbale”.
Nemmeno il concetto dei “due militari morti” li ferma, gli argomenti, sfociati nella politica dura e pura sono, almeno per loro, professionisti del mestiere, troppo importanti per fare un passo indietro. Vinci, sconsolato, chiude la trasmissione con un: “ è più facile pacificare l’Afghanistan che questo studio“, e rivolgendosi a La Russa , “la critica è legittima ma per parlare di politica non siamo riusciti a spiegare agli italiani perché siamo in Afghanistan”!
Ma non credo che questo abbia scosso la coscienza del ministro.
Personalmente ritengo che a livello politico sia ora più che mai utile aprire un dialogo, un conferenza internazionale sui problemi, quelli veri, con tutti, anche con i talebani.
Come pensiamo di risolvere la situazione se non parliamo a loro per capire cosa vogliono? Li si ascolti, se poi non ci si trova si potrà decidere metodi alternativi. La nostra missione? Si può cambiare etichetta alle missioni ma alla fine risulta quello che è, una guerra ,diversa dal passato, assimetrica ma sempre guerra è.
Visualizza altro : http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=102709&sez=titolidicoda
http://it-politica.confusenet.com/showthread.php?t=206020
http://www.youtube.com/watch?v=PwcUOCT
da htttp://lorettadalola.wordpress.com
Gino Strada come Dom Helder Camara
di Vittorio Arrigoni da Gaza City
Felicitazioni” per il ministro degli Esteri Franco Frattini e “vivo compiacimento per la positiva conclusione della vicenda”.
Ma felicitazioni di che?
E che conclusione?
L’ospedale di Emergency di Lashkar-gah rimane chiuso, sotto sequestro degli sgherri del narcotrafficante Karzai.
Immaginate quali felicitazioni fra le file di pazienti che bussano invano alle porte sbarrate dell’ospedale: chi senza gambe e senza braccia per chiedere una protesi, chi per un intervento chirurgico urgente o per arrestare una emorragia, e le tante madri coi figli moribondi in braccio per la deflagrazione della democrazia esportata con le nostre bombe.
L’amarezza oltre per la chiusura di una struttura sanitaria in grado di salvare migliaia di vite all’anno, nel più povero fra i paesi al mondo costantemente bombardato dal più ricco, permane anche per le critiche infondate dirette dal governo italiano a Emergency.
L’espressione idiota di Gasparri, le estemporanee illazioni di Crosetti, il ghigno fascista di La Russa contro un pacato Gino Strada che non se ne sta trincerato in sala operatoria ma esce allo scoperto per spiegarci l’orrore di una guerra, di ogni guerra, ben cosciente che la presenza della NATO in Afganistan sono centinaia di corpi smembrati in più da aggiustare, mi hanno riportato alla memoria le parole di un sant’uomo, Dom Helder Camara, quando diceva:
“Se do il pane ai poveri, tutti mi chiamano santo; se dimostro perché i poveri non hanno pane, mi chiamano comunista e sovversivo”.
Restiamo Umani.