Da Augusta: si sposa un detenuto


di Daniela Domenici

Ogni tanto è bello poter raccontare una notizia positiva che riguardi il pianeta carcere.

L’altro ieri un detenuto del “nostro” carcere ha potuto coronare il suo sogno: sposare la sua compagna in una chiesa di Augusta.

Chiunque si sia trovato a passare da quelle parti ha visto una folla di invitati elegantissimi e tanti deliziosi paggetti e damigelle senza immaginare che si stesse sposando una persona “ristretta”.

Mio marito e io abbiamo voluto, per l’affetto verso Salvatore nato durante il progetto RELOAD dell’art. 21 sul lavoro esterno, andare a condividere con lui e la sua sposa questo momento così a lungo atteso; anche il loro figlio con la fidanzatina e tanti parenti, arrivati dal paese d’origine della coppia, si sono stretti intorno a loro per gioire insieme di questo evento.

Grande emozione anzi, doppia emozione: non solo sposarsi ma farlo al di fuori delle mura della casa di reclusione ed essere uniti in matrimonio proprio dal cappellano del carcere che ha seguito da vicino tutta la storia di questi due coniugi.

Vi chiederete come sia stato possibile: Salvatore, da alcuni mesi ormai come ho detto poco sopra, usufruisce del regime di semilibertà e quindi esce ogni mattina per lavorare all’esterno e rientra ogni sera ma l’altro ieri ha potuto “derogare”, grazie a un permesso speciale del magistrato di sorveglianza, facendo per la prima, e unica, volta, le ore piccole ma… ci si sposa una sola volta!!!

“Gemelli sì, ma biovulari”


di Patrizia Cimini

La favola violenta della vita in questa scrittura ha trovato una interprete di livello. L’opera “Gemelli sì, ma biovulari” di (nom de plume?) Marca Sfavilla parla di uno scorrere di eventi autobiografici. Leggendo la prefazione il lettore viene informato che questo è l’intento perfino a scopo terapeutico. Un grande, tragico evento si trasforma. La parola scritta, comunicazione del cuore, afflato della mente si stacca  dalla storia e lavora a costruire scenari, a descrivere momenti topici, a realizzare il graticcio su cui verrà messo ad essiccare il prodotto dell’operato dei protagonisti.

Si dipana una vicenda umana, con i tempi giusti, le conseguenze delle azioni, e i commenti a queste azioni, ma lo scenario che ne deriva fa pensare a certi momenti di Grandi Speranze di Dickens, lo scrittore che Manganelli indicò come uno scrittore “nero”. Manganelli infatti diceva, nel suo Letteratura come menzogna, di Dickens”…..le sue trame sono… da inseguire con il fiato in gola: non meno poderose che temerarie”. L’apparente semplicità di quello che viene raccontato viene prodotto da strati e strati di altri fatti intrecciati tra loro e sovrapposti. La vita dei due principali protagonisti è indagata con cura fin dal concepimento, per dare spazio a tutte le interpretazioni possibili dello straordinario rapporto che esiste tra soggetti gemelli. La letteratura gemellare, medica, storica, psicologica offre tanto materiale e questo si inscrive a buon diritto in quella, ma qui c’è in più la descrizione raffinata e documentata di un aspetto della gemellarità: ad ogni gemello viene offerto il dono di sentirsi unico nella duplicità ma particolarmente deprivato della possibilità di immaginarsi “specchiato”. Ci sono infiniti momenti nella vita di questi gemelli non monozigoti e anche di sesso diverso, in cui il loro “unicum” è imperscrutabile, e dei momenti in cui le divergenti strade, per scelta, per storia e educazione  non li portano ad avere una vita/favola, ma li conducono davanti allo specchio che è formato dal loro reciproco sguardo. Alice non è con loro e la fantasmizzazione delle paure non si può creare. C’è la loro spietata realtà. Sono il loro specchio/sogno, specchio/linguaggio, specchio/vita, e deve essere anche celato perché il contesto li vede ma non li guarda; gli altri non possono usarli perché sono un mondo incluso. Un mondo che verrà violato dalla malattia, dal dolore, dalla negazione.

Quel mondo è popolato da un tribù di personaggi che della loro gemellarità si fa manto e energia di propulsione. La Sfavilla, con la sua generosità di creatrice, i personaggi li porta sulla scena e li fa agire permettendoci di comprendere come  sia difficile non essere soli, come sia tragico esserlo.

In questa operazione ci aiuta l’invenzione, già praticata da altri scrittori, per esempio Saramago in Cecità, di indicare i personaggi non con nome proprio ma con il nome della loro funzione nella vita.

Il libro potrebbe essere un film documentario, ed è invece un autodafé addolorato e accusatorio, dal sapore leopardiano, dal sapore dannunziano, dal sapore di quella letteratura di quegli esseri camaleontici che vengono chiamati scrittori.

“Terra bruciata”


di Tiziana Mignosa

Nell’ora della siesta

il mio piacere s’alimenta

quando nella terra dell’incanto

cogli occhi mi disseto e canto.

Amato è quel contrasto acceso

tra l’assolato fuori

e l’interno fresco

dolce penombra delle case

e il mare

è gorgheggio che al cielo s’alza

e al vento si concede

pettine gentile sulle liquide distese.

Fluidi

i cristalli di smeraldo

ai piedi delle scogliere a picco

e sull’arsura fichi d’india colorati

di rosso arancio e verde

e poi il viola

il giallo e il bianco

baldoria sulla tavolozza dell’estate.

Netti i profili degli azzurrini monti

sull’afa a nebbia che ingarbuglia l’orizzonte

fuoco e sentimento anche sotto la suola

che al nero dell’asfalto l’ardore tasta.