“Carcere a morte” di Carmelo Musumeci da Spoleto


Ricevuta, copiata e pubblicata

Ancora suicidi in carcere! Ancora un detenuto si è ucciso stanotte impiccandosi alle sbarre!

Dalla rassegna stampa di “Ristretti Orizzonti” leggo:

“Da inizio anno salgono così a 39 i detenuti suicidi nelle carceri italiane (33 impiccati, 5 asfissiati col gas e 1 sgozzato), mentre il totale dei detenuti morti nel 2010, tra suicidi, malattie e cause “da accertare” arriva a 109 (negli ultimi 10 anni i “morti in carcere” sono stati 1.707 di cui 595 per suicidio)

In un altro giornale leggo:

“In Italia i reati diminuiscono e la mafia uccide di meno”

Quest’ultima affermazione mi ha fatto amaramente sorridere perché la mafia è stata superata abbondantemente dallo Stato.

Lo Stato italiano e i suoi carcerieri uccidono o spingono al suicidio più della mafia, della ndrangheta, della camorra e della sacra corona unita, tutte insieme.

Lo Stato può essere orgoglioso di essere riuscito ad essere più cattivo e sanguinario dei delinquenti. Riesce persino a convincerli ad ammazzarsi da soli.

In carcere si continua a morire.

Forse in questo momento se ne sta suicidando un altro.

E nessuno fa nulla.

Il Presidente della Repubblica rappresenta tutti ma non i carcerati.

I politici per consenso elettorale gridano “Tutti dentro” fuorché i politici corrotti, i loro complici e i colletti bianchi.

Il Presidente del Consiglio, sicuro che lui in carcere non ci andrà mai, continua a farsi gli affari suoi.

La gente onesta preoccupata ad arrivare alla fine del mese e a pagare la rata del mutuo non ha tempo di preoccuparsi di qualche detenuto che si toglie la vita stanco di soffrire.

Non solo i mafiosi, pure le persone “oneste” non sentono, non vedono e non parlano.

I “buoni” difendono solo “i buoni”, i cattivi possono continuare a togliersi la vita in silenzio.

In carcere si dovrebbe perdere solo la libertà, non la vita.

Se questo accade non è colpa di chi si toglie la vita, ma di chi non l’ha impedito.

La morte è l’unica cosa che funziona in carcere in Italia.

E’ l’unica possibilità che hai fra queste mura per non impazzire e per smettere di soffrire. Di questo passo il sovraffollamento sarà risolto dagli stessi detenuti.

A chi importa che dall’inizio dell’anno, in uno dei luoghi più controllati e sorvegliati della società, muoiano le persone come mosche?

Importa a me.

E ANCHE A ME, AGGIUNGO.

Il gatto con gli stivali


di Daniela Domenici

Quanti bambini ieri sera a gremire l’anfiteatro di Zafferana Etnea per assistere e applaudire “Il gatto con gli stivali”, fiaba con musiche tratta da Charles Perrault scritta da Giuseppe Bisicchia e da lui diretta e interpretata con Massimo Giustolisi, che ne ha curato anche i movimenti coreografici, insieme a Biagio Barone e a Graziana Lo Brutto; le musiche originali sono state composte e arrangiate da Ettore D’Agostino e la scenografia da Salvo Manciagli.

E per una volta vogliamo iniziare la nostra recensione proprio dalla scenografia che si merita tanti e calorosi applausi e complimenti: Manciagli è riuscito a immaginare delle soluzioni scenografiche assolutamente deliziose, coloratissime, fiabesche e funzionali alla fiaba. Tra tutte vogliamo citare il libro parlante, la parete che diventa carrozza e Nobilorco, formidabili.

Anche creare delle musiche che siano facilmente orecchiabili dai tanti bambini presenti non è compito facile e dobbiamo dire che il compositore D’Agostino è riuscito nell’impresa perché abbiamo sentito, e la cosa ci ha fatto sorridere, molti bambini che, a fine spettacolo, ancora cantavano il ritornello “…il marchese di Carabà…”.

E ora applausi e complimenti ai quattro protagonisti della fiaba iniziando naturalmente dal gatto, cioè Biagio Barone, che ancora una volta è riuscito a mostrarci la sua abilità sia nel cantare e muoversi con agilità sul palcoscenico che, soprattutto, nel saper coinvolgere tutti i bambini presenti con la sua simpatia e irruenza.

Giovannino, proprietario del gatto e sedicente marchese di Carabà, è stato interpretato da un delicato, timido, sognatore e innamorato Massimo Giustolisi che ha saputo anche ben immaginare e coordinare con le musiche i movimenti  coreografici suoi e dei colleghi.

Brava Graziana Lo Brutto nella parte della principessa Zuccherino, nel primo atto tirannica, capricciosa e sempre insoddisfatta, nel secondo innamorata e dolce come il suo nome  che ha dimostrato di avere una bella voce e una gestualità ad hoc.

E lasciamo per ultimo per tributargli doppi applausi, visto che di ruoli ne ha interpretati due, Giuseppe Bisicchia, autore e regista di questa fiaba con musiche, che nel primo tempo ha interpretato il re recitando ininterrottamente in ginocchio per sembrare basso di statura e nel secondo ha indossato le vesti di Nobilorco con relativa voce cavernosa per far paura ai due innamorati.

Siamo stati felici di vedere quanti bambini gremissero l’anfiteatro, bravi quei genitori che ieri sera hanno fatto questa scelta distogliendo i propri figli dallo schermo televisivo: il teatro in tutte le sue forme è cultura.

Ma la stazione di Augusta è in Italia?


di Daniela Domenici

Arrivare alla stazione per prendere un treno regionale e scoprire che non c’è l’ufficio della biglietteria con un funzionario che ti faccia un biglietto; provare allora a ricorrere alla macchinetta automatica per i biglietti e scoprire che è rotta, fuori servizio, da tempo. E chiedere allora al capostazione: ”posso fare il biglietto sul treno?” e sentirsi rispondere :”mi dispiace, non è possibile. Vada al tabaccaio o all’agenzia di viaggi più  vicina, lo compri e torni tanto fa in tempo, manca ancora un quarto d’ora alla partenza…” fare come Speedy Gonzales e riuscire a tornare in tempo e  poi scoprire che se hai voglia di una bibita fresca prima di partire l’unico bar della stazione è chiuso da tempo e che se ti scappa la pipì la dovrai trattenere perché i bagni pubblici sono chiusi al pubblico: ma se si chiamano “pubblici” da chi dovrebbero essere utilizzati se non dal “pubblico”?

Questa è la stazione di Augusta in provincia di Siracusa che dicono faccia parte dell’Italia.