Sondaggio. L’omeopatia sale in serie A


di Riccardo Bagnato

Dopo anni di ostracismo, segnali di novità per l'”altra” medicina. Siete d’accordo?

L’Europa lo aveva sancito sei anni fa con la direttiva 2004/27CE. L’Italia lo ha recepito con il decreto legislativo 219 del 2006: il prodotto omeopatico ha status di “farmaco” a tutti gli effetti, e i medicinali omeopatici esistenti sono di fatto autorizzati fino al 2015, in attesa di essere registrati secondo le procedure che Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, deve stabilire. Quindi acquistabili, ma senza le indicazioni tipiche di un farmaco tradizionale: né posologia né tanto meno convenzione con il sistema sanitario. E neppure pubblicizzabile. Dal 2006, anno in cui l’omeopatia è diventata legge, il Belpaese non ha fatto passi avanti. Tutto fermo. Silenzio dall’Aifa. In assenza di una procedura per la registrazione (e quindi per la commercializzazione) dei nuovi prodotti omeopatici, produttori e consumatori hanno allora trovato soluzioni alternative. E soprattutto sono cresciuti. Sino a che, finalmente, a giugno è arrivato un primo importante segnale da parte delle istituzioni.

L’Aifa ha detto sì
Si chiama «Modalità di presentazione delle domande di registrazione semplificata – art. 17, comma 2 del dlgs 219/06». Tradotto in italiano si tratta delle linee guida per la registrazione dei nuovi farmaci omeopatici. A pubblicarle sul proprio sito è stata la stessa Agenzia italiana del farmaco – bontà sua – lo scorso 21 giugno. Un passo avanti importante, ha commentato OmeoImprese – associazione composta da 18 aziende produttrici di medicinali omeopatici – per cui adesso, però, c’è bisogno di norme attuative al fine di rendere quelle stesse linee guida operative. Un esempio? Se da un lato è stato reso pubblico il modello per le domande di registrazione semplificate dei nuovi medicinali omeopatici, dall’altro, per quelli presenti sul mercato italiano al 6 giugno 1995, manca ancora il calendario in base al quale Aifa comincerà a prendere in considerazione le eventuali registrazioni, per scongiurare che nel 2015 escano dal mercato, essendo scaduta l’autorizzazione.
Fausto Panni, presidente OmeoImprese e dirigente della società Wala Italia, non ha dubbi: «Purtroppo esistono ancora carenze culturali che hanno un importante impatto sia dal punto di vista legislativo sia per quanto riguarda la preparazione di alcuni funzionari dello Stato. Le faccio un esempio: abbiamo lavorato al tempo con il ministro Livia Turco, ma i ministri della Salute che si sono via via succeduti si sono espressi più volte smaccatamente contro i prodotti omeopatici. Dell’attuale ministro, Ferruccio Fazio, poi non conosciamo addirittura l’opinione, non avendo ancora avuto il piacere di incontrarlo».

da http://www.vita.it

“I gemelli” da “Gemelli si, ma biovulari” di Marca Sfavilla – Boopen editore


Dedicata a tutti i gemelli e le gemelle biovulari ma anche

“…in questo patto però c’è di più di quanto espresso, c’è il tacito, il non detto che riguarda la loro sfera affettiva reciproca. C’è una trasfusione solidale di forza, di comunicazione immediata che sottende sempre tutto ancor prima che accada.

Il loro abbraccio non è pi solo funzionale, non è solo necessità di adattarsi agli spazi angusti disponibili, ora è anche un passaggio d’amore che lega sempre più strette le loro esistenze in una circolazione unica di affettività esclusiva, di complicità che li fonde in un ‘noi’ singolare, in un’individualità collettiva, solo gemellare, perché solo i gemelli hanno già imparato a spartire prima ancora di nascere. Che bello vivere abbracciati!…”

Tre fratelli e nel letto una sola moglie in comune, per sesso e cucina. Ultime tracce di poliandria nelle valli dell’Himalaya


Buddhi Devi è una donna di 70 che vive in una sperduta valle nell’Hymalaya e è una delle ultime abitanti della zona con uno strano privilegio, quello di avere tre mariti.

Aveva 14 anni quando fu promessa in sposa a un ragazzino di due anni più giovane. Nulla di strano, nemmeno nell’India di oggi, se non fosse che, insieme col “fidanzato”, fu costretta a sposare anche i suoi due  fratelli.

La poliandria è un fenomeno che  era estremamente diffuso all’epoca, ma è ormai quasi completamente scomparso, nel giro degli ultimi cinquant’anni grazie al travolgente sviluppo del Paese.

Buddhi Devi, scrive Lydia Polgreen sul New York Times, è il fantasma di un passato meno remoto di quanto sembri. Fino a poche decine di anni fa, infatti, nelle  valli dell’Himalaya la poliandria rappresentava l’unica soluzione pratica a un insieme di problemi economici, geografici e sociali.

C’è chi dice che in modo informale l’istiuzione fosse praticata anche in alcune valli alpine del profondo ovest, nella provincia di Cuneo, ma queste sono storie che appartengono alla tradizione orale sempre affidata a pudichi sussurri nelle serate accanto al camino dei piemontesi di pianura. Certo  le valli italiane e quelle indiane avevano in comune l’estrema povertà.

In India, gli abitanti di questa impervia regione sopravvivevano a stento in piccole fattorie arroccate a oltre 3 mila metri d’altezza, sulle pendici, gelate per gran parte dell’anno, dell’Himalaya.

A favorire la poliandria c’erano considerazioni di tipo ereditario. Dividere una proprietà tra più fratelli, alla morte di loro padre, avrebbe progressivamente spezzettato le terre fino a ridurre ciascun lotto a quasi nulla, cefrto non più in grado di mantenere eredi e famiglie a carico.,Così nei secoli si diffuse il costume di far sposare a tutti i figli la stessa donna, mantenendo così un unico nucleo familiare e limitando il numero di bocche da sfamare, dal momento che una sola moglie, anche se unita a più uomini, difficilmente avrebbe partorito più di 5 o 6 volte.

«Non facevamo altro che mangiare e lavorare, ha spiegato spiega Buddhi Devi alla giornalista del New York Times, Quando tre fratelli condividono la stessa donna, si trovano naturalmente a condividere tutto, dal cibo alla casa, e al tempo era molto più pratico così».

La rapida crescita economica unita allo sviluppo tecnologico e agli effetti positivi della globalizzazione hanno cancellato in mezzo secolo una tradizione sopravvissuta per millenni, in un Paese dove, di solito, i cambiamenti sociali sono estremamente lenti, se mai avvengono veramente.

Nessuno dei cinque figli di Buddhi ha seguito le orme dei genitori. «I tempi sono cambiati.  Quel tipo di matrimonio ormai non esiste più».

Anche Sukh Dayal Bhagsen è dello stesso avviso. Oggi ha 60 anni e condivide la moglie, Prem Dasi, con due fratelli: «Un tempo era logico: se si sposavano donne diverse il rischio di contese familiari era molto più elevato».

«Ogni bambino sapeva chi era il suo padre biologico – precisa il figlio di Sukh Dayal, Neelchand Bhagsen, che oggi ha 40 anni – ma, ugualmente, tutti chiamavamo “papà” il più vecchio dei fratelli e “zii” gli altri».

A stabilire la paternità era, insindacabilmente, la moglie, sulla base di un non meglio definibile “sesto senso”. «Una madre semplicemente lo sa» spiega Buddhi, rifiutandosi di entrare più nel dettaglio.

D’altronde il peso delle donne, in una tale società, è sempre stato considerevole.

Ammette Neelchand Bhagsen: «L’opinione della moglie era la più importante in casa.  Qualunque cosa dicesse mia madre diventava legge». Come tutti suoi fratelli, oggi ha una moglie e una famiglia “normale”, ha potuto studiare e uscire dalla valle.

Dice: «Quel sistema è stato utile per molto tempo. Ma nel contesto contemporaneo la sua ragion d’essere è venuta meno, perché il mondo ormai è cambiato. Anche qui.

da http://www.blitzquotidiano.it

Anima mediterranea


di Daniela Domenici

In una “Festa dei sapori del Mediterraneo” chi meglio di un’anima mediterranea poteva dare voce, colore e divertimento al pubblico presente? Ieri sera a Cassibile in provincia di Siracusa il gruppo etno-folk “Anima mediterranea” ci ha regalato un concerto assolutamente coinvolgente e di ottima qualità sia per la scelta dei brani eseguiti che per la bravura dei singoli componenti.

“Anima mediterranea” è stato fondato nel 2002 da Pietro Romano, un medico veterinario siracusano che è il cantante dell’ensemble, con lo scopo di unire e rappresentare tutto il sud, soprattutto la tradizione musicale siciliana ma anche quella pugliese, napoletana e calabrese, anzi con le sue parole “unire con la musica i vulcani dall’Etna allo Stromboli al Vesuvio”, un percorso di unione attraverso le tarantelle siciliane, quelle napoletane con anche le tammuriate e le pizziche  e le tarantate pugliesi.

Siccome è il ventennale della scomparsa di Rosa Balistreri “Anima Mediterranea” ha voluto renderle omaggio con due sue celebri composizioni “Moru moru” e “Mi rivotu”; in scaletta ha trovato spazio anche una ballata del ‘600 “Michelemmà” che è di origine siciliana ma è ormai patrimonio della musica napoletana.

Questo gruppo si è esibito nel 2005 in occasione del “Festival del paesaggio” su una delle splendide scalinate della città di Noto per aprire lo spettacolo di Eugenio Bennato e sempre nello stesso anno a Messina ha accompagnato, in un abbinamento teatro e musica, la performance dell’attore catanese Miko Magistro.

E ora, per tributare loro la meritatissima “standing ovation”, i nomi degli artisti che compongono “Anima mediterranea”: come detto prima Pietro Romano voce, Salvino Strano alla fisarmonica, Peppe di Mauro alle percussioni, Davide Alibrio alla chitarra, Peppe Leggio alla batteria, Corrado Giardina al basso, Claudio Giglio al sax e flauto e la danzatrice Gianna Parisi che ha sottolineato con i suoi movimenti coreografici molti dei brani eseguiti.