Heidegger era un’ottima ala sinistra, Derrida un buon centravanti, Camus giocava in porta, come Giovanni Paolo II. E un numero non piccolo di filosofi ha utilizzato il calcio per fare filosofia. In libreria dal 9 giugno il ”Il divino pallone. Metafisica dei piedi da Platone a Totti”, un libro divertente e colto firmato da Giancristiano Desiderio per i tipi della Vallecchi (pp. 312, euro 15). Un viaggio nel prato verde, teatro del gioco piu’ amato del mondo, ma anche negli spazi del pensiero con filosofi meno tristi di quanto comunemente si pensi. Si scopre cosi’ che Sarte amava dire che il calcio e’ una metafora della vita, Wittgenstein giunse alla svolta del suo pensiero guardando una partita di calcio, Marleau-Ponty spiegava la fenomenologia parlando di calcio. Come mai? Il calcio si basa su un principio: il controllo di palla. Ma il principio non puo’ essere finalizzato a se stesso. Per giocare bisogna necessariamente abbandonare la palla
Controllo e abbandono sono i due principi del calcio e della vita. La filosofia, come gioco della vita, si basa su regole calcistiche: per filosofare bisogna saper mettere la vita in gioco. E’ per questo motivo che nel Divino Pallone si spiega l’Idea di Platone con Pele’, la contraddizione del non-essere con Garrincha, la virtu’ e la bellezza con Platini, ma anche l’inverso: il genio di Maradona con la ”logica poetica” di Vico, la visione di gioco di Falcao con il mito della Caverna, il cucchiaio di Totti con la metafisica di Aristotele. E tanto altro ancora. Il calcio, infatti, non e’ solo una metafora, ma un paradigma cognitivo che da’ scacco matto perfino al fenomeno politico piu’ drammatico della modernita’: il totalitarismo. Hitler e Stalin pretesero di controllare tutto e ci riuscirono. Pretesero di controllare anche il pallone. E persero. Il calcio ci fornisce il modello per non ricadere piu’ nel totalitarismo. Un libro che mostrando il controllo di palla nel gioco della vita, sulla ‘fasce del campo’ indica anche insospettabili somiglianze fra calcio e filosofia