“The end”


di Maria Grazia Vai
Riuscissi a non amarti, credi non lo farei?
Potessi fingere di vivere dentro un romanzo ….
Ti giuro, cascasse il mondo, ne scriverei a due a due!

Una poesia? ma no, non credo.
Un cantastorie, un commediante.
Un pagliaccio con le scarpe di Pierrot…

Una pellicola interrotta senza i titoli di coda
Ed io a reinventare trame, immagini,
luci e discorsi
di questa storia che non era poi così importante

Perché il mio nome accanto al tuo non l’hai mai visto
Perché l’amore scrivi a tutti
ma “Ti amo” a me non l’ hai mai detto

Forse per questo, che ancora oggi aspetto
che tu spenda
tutte le parole che mi hai negato!

Pochi centesimi della tua vita…
Qualche sillaba
che a te costerà poco o niente

Fammi un regalo….ti prego, liberami il cuore
E poi uccidimi, ma dimmi almeno “Addio”

Centri commerciali, emozioni moderne


di Loretta Dalola

Quantcast

//  L’era moderna è stata caratterizzata dalla nascita dei grandi magazzini, che hanno cambiato storicamente l’approccio all’acquisto, l’industrializzazione immette sul mercato una quantità di beni impossibili da produrre artigianalmente.

 Movente del consumo è il piacere immaginativo, mentalizzato, l’idea : i prodotti alimentano il sogno a occhi aperti.

 Nel materialismo del consumismo moderno: si consumano innanzitutto immagini e un prodotto percepito come nuovo “promette” esperienze non ancora provate che vengono immaginate e sognate.

Ogni acquisto porta alla disillusione e alla ricerca di altri prodotti nuovi che consentano di sognare, alimentando inevitabilmente  realtà e fantasticheria  dando origine ad un ciclo continuo destinato a non soddisfarsi mai. 

Si arriva all’edificazione del centro commerciale che viene presentato come un monumento da visitare e da ammirare, lì tutto cambia e contribuisce a portare la gente nei  negozi – dimensioni enormi,  ampio potere di scelta delle merci – personale competente, educato, servizievole – tutto contribuisce a fa scomparire magicamente ogni concetto di privazione o miseria – si tende a stupire attraverso l’esposizione, le dimensioni, e utilizzando nuove tecniche che orientano al consumo e che trasformano le semplici merci in oggetti del desiderio. I beni dunque offrono due tipi di servizi, uno di convalidazione,  godimento materiale dell’oggetto  consistente nel consumo in senso stretto e  un consumo come attività rituale, atto   celebrativo di un rito ( il consumo si può effettuare in privato o in contatto con gli altri attuando la relazione).

 A queste considerazioni oggi va aggiunto un nuovo assetto: i centri commerciali vanno riconsiderati, prima ancora che come luoghi del consumo, come diversi modi di socializzare e passare il tempo,  sono luoghi che all’ originaria funzione di “tempio del consumo” stanno aggiungendo via via altre funzioni, intrecciando sempre più tra loro quelle del cosiddetto tempo libero a quelle lavorative tipiche delle economie.

 Le persone  hanno trovato un luogo piacevole per stare insieme, rinforzare relazioni amicali o familiari, così come un tempo avveniva nella piazza del paese. I  frequentatori non vanno per comperare necessariamente qualcosa ma per passare il tempo libero, fuggire al caldo della città, vedere gli amici.  Non più contenitori anonimi per merci a buon mercato, ma cittadelle parallele.

Per me che guardo al fenomeno come se assistessi  ad un reality show, li considero semplicemente luoghi, chiusi, periferici, immutabili, (non si assiste al variare delle stagioni), dove la vita scorre nell’anonimato, immersi nell’irrefrenabile bisogno di possedere oggetti. Fiumane di persone  che manifestano l’accesso al consumo piuttosto che alla qualità.

 Nonostante ciò, queste moderne piazze hanno un che di bello, posti estremi che stupiscono  per la vitalità umana, hanno un aspetto abitato da una folla energetica che si muove attorno al prodotti. Volti umani che ti sfiorano, saranno buoni o cattivi, non si sa, non si entra in contatto ci si affianca.

 Tutto vero, e lo sarà sempre di più. Va aggiunto tuttavia un particolare : lo shopping è importante e bello purché non diventi l’unico modo per riempire i vuoti esistenziali,  è assolutamente necessario tentare di vivere il più possibile in equilibrio con sé e con gli altri, altrimenti diventa solo il  luogo di un desiderio compulsivo  di fare acquisti.

da http://lorettadalola.wordpress.com

Flavia Pennetta vince agilmente al suo esordio al Roland-Garros di Parigi


di Daniela Domenici

Si è appena concluso sui campi di terra rossa del celebre Roland-Garros di Parigi, secondo torneo del “grande slam” il primo degli incontri in cui era di scena un’azzurra, quello tra la nostra “numero uno” Flavia Pennetta e la britannica Anne Keothavong (il cognome tradisce le sue origine asiatiche), una trentina di posizione più in basso della Pennetta nel ranking mondiale.

Primo set abbastanza facile per la nostra atleta che se lo aggiudica in soli 34 minuti col punteggio abbastanza netto di 6 a 2. Secondo set fotocopia del primo con lo stesso identico risultato di 6 a 2 e la Pennetta vince il suo primo incontro sui campi del Roland-Garros nel tempo complessivo di 1h 4’.

“Anelito d’amore”


di Angela Ragusa

Tappeto di palpiti, il cuore mio…

I tuoi passi ,lenti e delicati,
sovrastano rosso scarlatto
che illumina il mio viso
e dentro, mi cammini dolcemente
come un “adagio” che prende forma
tra delicate mani d’ artista…

Soffiami l’anima
come polline che svolazza
ora che primavera risveglia
ogni emozione.

Lascia che io fiorisca ai tuoi piedi
e manto di corolle, ricoprirò le tue carezze…

Dolci gocce di rugiada ,
i tuoi sguardi nascosti.
disseteranno di me
ogni anelito d’amore.

A Campobasso la prima esperienza di cena al buio


In un ristorante cittadino i clienti ceneranno in una sala al buio e saranno serviti da personale non vedente. L’evento promosso dalla Cooperativa Valori in Corso in collaborazione con il C.n.i.s. (Coordinamento nazionale insegnanti specializzati – sez. Cb), il C.d.h. (Centro Documentazione Handicap)

locandina evento

CAMPOBASSO – Si terrà domenica 23 Maggio 2010 alle ore 20:00 presso il Ristopub “Mve” di Campobasso l’evento “Cena nel buio – assaporiamo gli altri sensi” promosso dalla Cooperativa Valori in Corso in collaborazione con il C.n.i.s. (Coordinamento nazionale insegnanti specializzati – sez. Cb), il C.d.h. (Centro documentazione handicap) e curato da Gerry Longo e il Comitato Cena nel Buio di Roma. Le cene nel buio hanno una storia piuttosto recente. Quasi dieci anni fa, il ristorante Das Abendmahl di Berlino inizia a dedicare serate in cui clienti cenano avvolti nell’oscurità. Queste cene, grazie al successo ottenuto e alla curiosità suscitata, a poco a poco si diffondono in altri paesi d’Europa fino ad approdare in Italia nel 2002 in città come Milano, Roma, Venezia, Verona, Modena e Pavia divenendo un vero e proprio evento di grande interesse.

A distanza di otto anni l’evento arriva anche in Molise, rappresentando una delle poche esperienze realizzate nelle regioni meridionali. Stare nel buio per un tempo più o meno breve non è provare l’esperienza di vita di una persona cieca: è semplicemente sperimentare un percorso diverso e stimolante alla scoperta del cibo e dei sapori, un viaggio nel gusto che vede impegnati tutti gli altri sensi in un gioco di riconoscimenti ed esperienze percettive che riserverà non poche sorprese. La Cena ha inizio con un breve momento di accoglienza con aperitivo e presentazione dell’evento. Successivamente i partecipanti vengono fatti accomodare nella sala buia dove il personale non vedente, già presente in sala, li accoglierà e accompagnerà ai tavoli. Al termine della Cena, uscendo dalla sala, si avrà la possibilità di conoscere i componenti del Comitato Cena nel Buio e scambiare con loro le sensazioni vissute andando oltre al banale pregiudizio che lega indissolubilmente il buio all’angoscia e alla paura.

da www.superabile.it

La sofferenza e la vita sublime


di O. M. Aivanhov

“Non cercate di sfuggire sistematicamente alla sofferenza, ma
pensate piuttosto ad attingere da essa delle forze per
risvegliare in voi la vita sublime. Il ruolo della sofferenza è
precisamente quello di far sorgere delle qualità che non
appariranno mai in altre condizioni. Quando vi accade di soffrire
fisicamente o moralmente, benedite il Cielo pensando che vi viene
data l’occasione di fare un grande lavoro su voi stessi a causa
di quella sofferenza.
Ovviamente, non parlo qui di certe sofferenze insopportabili:
quelle necessitano dell’aiuto della medicina. Parlo, in generale,
di tutte le circostanze sgradevoli, dolorose, che non mancano di
verificarsi nella vita quotidiana. Anziché gemere, piangere e
imprecare, è preferibile cercare di approfittare di quegli
inconvenienti per mettersi al lavoro e svilupparsi. Come? Non
rimanendo concentrati sulla vostra sofferenza, ma cercando di
armonizzare tutto in voi. Quando questo lavoro sarà terminato, la
vostra sofferenza scomparirà, perché sarete riusciti a risolvere
il problema che vi era stato posto.”

Siamo solo noi


di Roberto Puglisi

L’anniversario della strage in cui perirono Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Rocco Dicillo, Vito Schifani, Antonio Montinaro si celebra in un clima di degrado per la città di Palermo e di pesante difficoltà per le istituzioni regionali. L’immondizia – problema che secondo un sindaco con un mirabile senso dell’umorismo sarebbe già piernamente risolto – è quasi una metafora fisica della decadenza di valori e di senso del bene comune. La mafia militare è in un momento di crisi,  la mafia come marchio subculturale alligna, resiste e macina consenso. Palermo è una spelonca senza solidarietà, senza servizi e senza speranza. Un lenzuolo formato da innumerevoli fantasmi: i suoi cittadini che hanno perso la capacità di comprendere, di scegliere e di votare bene. Il ricordo del sangue del ‘92 ci rammenta il sacrificio degli innocenti e dei buoni. Il confronto tra ora e allora risulta perfino più doloroso, di un dolore inversamente proporzionale al lutto per le stragi,  se specchiamo la rivolta di ieri nell’ignavia di oggi. Cinicamente e orrendamente, verrebbe da dire che sarebbero indispensabili due stragi a ogni estate per scuotere l’immobilità. Ma forse niente più potrebbe smuovere nessuno. Le stragi del ‘92 provocarono un logico moto generale di sdegno. Non è stato rinfocolato quel sentimento, non è stato protetto, non è stato incanalato in uno schema, in una proposta duratura di cambiamento. Si è raggelato nella retorica delle parole, dei paroloni tromboneggianti che abbiamo sentito e che sentiremo e che non significano nulla. Perché provengono da bocche che elogiano i giudici morti, per fiocinarli meglio in vita. 
Al vertice, sulla poltrona più alta della Sicilia, c’è un uomo che tratteggia un futuro luminoso di rinnovamento. Eppure i soliti giudici lo minacciano da vicino. E alcune pratiche parassitarie tra burocrazia e politica somigliano troppo al passato per autorizzare la fiducia in  bianco. La mano di vernice di Raffaele Lombardo non nasconde le crepe. Le accentua. Intanto,  gli incorruttibili dell’opposizione, che dovrebbero, se  non altro per definizione, indicare un’alternativa, siedono allo stesso banchetto del potere, immaginando governi tecnici, vagheggiando probabili e ricche tavole imbandite.
La beffa è atroce. L’unico interessato alla verità, a un fascio luce su quegli anni terribili, l’unico in grado di fornire indizi ancorchè tutti da valutare, parrebbe essere il figlio di un noto capomafia, folgorato sulla via di Damasco. Gli altri tacciono. Il pubblico guarda lo spettacolo del disvelamento del mistero con molto senso sportivo. E’ un palpito da fiction. Abbiamo dato a ogni cosa il nome di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino per dimenticarli meglio. La frase grande e onesta di Borsellino: “Un giorno questa terra sarà bellissima”, appesa al cuore di questi tempi grami, è uno scherzo, ci stringe in una tristezza infinita. Certo, c’è Addio Pizzo, come ripetono coloro che sfruttano il sudore di quei meravigliosi ragazzi per farsi più belli. Loro sono i figli appassionati della rivolta alle stragi e di Libero Grassi, amati da tutti sotto i riflettori mediatici, avversati sovente da trame oscure pensate in cantina da personaggi equivoci. E poi?
E poi ci siamo noi siciliani. Noi che scriviamo e noi che leggiamo. Noi che raccontiamo, noi che prestiamo fede al racconto quando è almeno onesto e non amiano le patacche. Ci siamo noi, la minoranza silenziosa che ama davvero questa terra, senza chiacchiere né distintivi. Noi oggi offriamo una memoria misurata, problematica e gravata da cupi presagi. Sappiamo che i fatti sono sotto gli occhi di tutti e che i nostri lettori vogliono da noi il vizio della sincerità. Altri si riempiranno le guance di frasi piene d’aria e di retorica. Non ascoltiamoli. Sarà un piccolo modo come un altro per cominciare a cambiare davvero.
Sì, cambiare, nonostante tutto. Provarci. Perché c’è solo una ipocrisia più oscena della finzione dei benpesanti che affermano che siamo sulla retta via del progresso, sapendo di mentire. E’ l’alibi turpe e meschino di chi si arrende, di chi allarga le braccia, di chi osserva con distacco il sangue che gli altri hanno versato anche per lui e dice: non c’è più niente da fare.

da www.livesicilia.it