CARCERI: DL svuota celle, vince ancora una volta l’ANM che svuota, anzichè le carceri, il DDL Alfano. Prosegue sciopero fame


Dichiarazione di Rita Bernardini, deputata radicale membro della Commissione Giustizia

Se sono veri i lanci delle agenzie di stampa che riportano la notizia della probabile emanazione da parte del consiglio dei ministri di domani del decreto per la concessione della detenzione domiciliare per chi debba scontare meno di un anno di carcere, posso affermare che ha vinto, ancora una volta, il partito dei magistrati organizzati nell’ANM che proprio ieri, nel corso dell’audizione in commissione giustizia della Camera, aveva contestato la parte del DDL Alfano che prevedeva una sorta di automatismo nella concessione della misura, senza passare dal magistrato di sorveglianza.

L’ANM e i suoi referenti “onorevoli” alla Camera, ottenendo la cancellazione dell’automatismo che intelligentemente era stato previsto dal DDL Alfano, lasceranno la decisione ai magistrati di sorveglianza che già oggi non riescono a stare dietro alle istanze dei detenuti, limitandosi nei fatti a rigettarle pressoché tutte. Se fino all’indulto del 2006 i detenuti che usufruivano di misure alternative erano 40.000, nel 2009 sono drasticamente scesi a meno di 10.000.

Con la modifica che si intende introdurre, prima che i magistrati decidano sulle istanze avanzate per accedere alla misura detentiva domiciliare al posto del carcere, si sarà consumato l’intero anno, con benefici sul sovraffollamento delle celle pari a zero.

Ieri il Ministro Alfano preannunciandomi che avrebbe preso in considerazione le proposte migliorative al suo DDL che come radicali avanziamo, ci aveva invitato a “ricominciare a mangiare”. Alla luce delle notizie di oggi riteniamo sensato e prudente continuare. Le carceri italiane sono, ogni giorno di più, discariche umane dove viene tolta ogni dignità umana, dove lo Stato si rende colpevole – da vero delinquente professionale – di reiterate violazioni della Costituzione repubblicana.

India: senza cibo e acqua da 74 anni


Un asceta indù sopravvive senza mangiare e senza bere da 74 anni. L’uomo, che si chiama Prahlad Jani e ha 82 anni, si trova sotto esame in un ospedale dello stato settentrionale del Gujarat, secondo quanto riporta Ahmedabad Mirror. Un team di medici del Defence Institute of Physiologist and Allied Science (Dipas), un centro di ricerca della difesa, intende scoprire qual è il segreto di questa sua straordinaria capacità di resistenza, dovuta a un’antica tecnica di meditazione yoga. Jani era già stato esaminato nel 2003 da un’altra squadra di medici, che non erano riusciti a spiegare scientificamente il fenomeno. Sembra che lo “yogi”, che si trova in perfetta salute, “sia capace di produrre urina nella sua vescica e poi in base alla sua volontà di rimandarla in circolo” spiega il medico Sudhar Shah. Nato in un povero villaggio del Gujarat, il santone sostiene di aver ricevuto questi suoi poteri speciali da una divinità all’età di otto anni. La tecnica è conosciuta come “breatharianismo” e consiste nel raggiungere con il potere mentale il totale dominio delle proprie funzioni corporee.

fonte Ansa

Debutta a Milano il primo salone del divorzio


Di fiere dedicate al matrimonio ce ne sono tante, ma ora arriva il primo Salone del Divorzio: ‘Ex – Punto e a capo’ si terra’ all’Hotel Marriott di Milano  l’8 e 9 maggio prossimi. Quello dei single di ritorno e’ un mercato in netta crescita: se nel 1995 i divorzi in Italia erano 80 ogni mille matrimoni, nel 2005 – dice l’Istat – sono stati 150 e nel 2007 sono saliti a 273. Insomma, il divorzio e la separazione non sono piu’ esperienze rare, riguardano un numero sempre maggiore di persone. Senza banalizzare il Salone vuole facilitare – spiegano gli organizzatori – l’esperienza del divorzio, fornendo una serie di utili informazioni e strumenti per chiudere una fase problematica della vita e, soprattutto, per iniziarne una nuova in modo piu’ positivo.

Ecco quindi, in 600 metri quadrati di stand, agenzie investigative, matrimoniali, immobiliari, di viaggi e di disbrigo pratiche, babysitting o petsitting, studi legali, consulenti per i problemi di coppia, psicologi, servizi di antistalking per le signore, stylist esperti di ‘relooking’, consulenti di trucco e parrucchieri, architetti che aiutano ad arredare una nuova casa. E anche organizzazioni che provvedono a piccole riparazioni domestiche o a necessita’ quotidiane come la lavanderia e la stireria. Terapeutico, infine, un passaggio nella ‘Piccola bottega degli orrori’, dove riciclare senza sensi di colpa i regali delle nozze ormai finite.
fonte ANSA

Cucchi, ecchimosi sugli occhi suggeriscono ”lesioni inferte”


di Gabriele Santoro

Sul suo letto dell’ospedale ‘Sandro Pertini’ di Roma, Stefano Cucchi probabilmente non si stava rendendo conto della gravita’ della sua situazione e nell’ultimo contatto con i paramedici, a mezzanotte, chiese una cioccolata. Poche ore dopo, attorno alle sei, stavano rianimandolo.

Ma probabilmente era gia’ morto da almeno tre ore. E’ quanto si legge negli atti della commissione di inchiesta sul servizio sanitario nazionale presieduta da Ignazio Marino, desecretati oggi, dopo un voto a maggioranza e di cui l’ANSA e’ in possesso. Cucchi, si legge ancora, poteva ”non essere in grado di comprendere che se avesse continuato a rifiutare la terapia endovenosa poteva correre rischi mortali”. E sebbene i medici della struttura protetta avessero ”correttamente eseguito” la diagnosi della sindrome metabolica sopravvenuta ”intorno al secondo-terzo giorno di degenza” per il rifiuto da parte di Cucchi di assumere cibo e liquidi, ”il punto e’ valutare se percepirono il ‘punto di non ritorno della sindrome’, poiche’ questo imponeva cure d’urgenza”. In particolare, e’ dalle trascrizioni delle relazioni dei consulenti della commissione che emergono parecchi dettagli sulla vicenda del geometra romano morto a una settimana dal suo arresto per droga, sul quale indaga la Procura di Roma. ”Stefano – spiego’ nell’audizione del 3 febbraio il professor Vincenzo Pascali – non rifiutava tutte le cure ma solo quelle in vena”. E poi ”non rifiutava cibo e acqua in generale ma solamente in certi momenti. Cio’ era finalizzato alla soddisfazione di una richiesta precisa, parlare con il proprio avvocato”. Dunque ”l’opposizione del paziente alle cure non era di principio” e ”poteva essere rimossa” accontentandolo. Ai medici del Pertini, insomma, si potrebbe imputare ”la mancata individuazione dell’urgenza e gravita’ del problema la sera del 21 ottobre”. Dalla relazione di Pascali emerge inoltre come siano le ecchimosi sugli occhi, molto piu’ che le valutazioni sulle lesioni vertebrali e sacrococcigee, che ”inducono a pensare che le lesioni non sono particolarmente compatibili con l’ipotesi di un evento accidentale ma suggeriscono invece l’ipotesi di lesioni inferte”. Negli atti desecretati oggi si fa luce inoltre su alcuni aspetti dei passaggi di ospedale in ospedale del geometra romano: all’ingresso del carcere di Regina Coeli fu ”collaborativo”. A riferirlo alla commissione e’ Rolando Degli Angioli, il medico operante presso l’unita’ di medicina penitenziaria del carcere. Cucchi ”era molto magro, aveva freddo, pesava poco, era sbigottito su quanto stava succedendo, e aveva una pressione di 90/60. Era vigile e lucido, ma rallentato nel parlare” perche’ aveva assunto un antiepilettico e ansiolitico, somministratogli a piazzale Clodio. ”Aveva dolore alla schiena e nel camminare, riferiva nausea e astenia”. Elementi che hanno fatto richiedere a Degli Angioli che venisse trasportato subito al Fatebenefratelli perche’ gli fosse fatta una radiografia del cranio, una della regione sacrale e una visita neurologica. La richiesta di ricovero fu emessa alle 16.15-16.30. L’ambulanza, si legge ancora nelle carte, e’ arrivata alle 18.15 ma Cucchi e’ uscito dal carcere alle 19.50. ”Stefano doveva stare in ospedale – spiega Degli Angioli – Se la radiologia del carcere fosse stata aperta ce lo avrei mandato lo stesso perche’ stava male. Non era un male dell’anima o del pensiero, ma fisico. Non abbiamo parlato del perche’ stava li’. Io gli ho dato l’acqua”. Nello spiegare la tempistica del trasbordo in ospedale, che – puntualizza il documento – si trova a 600 metri dal carcere, Degli Angioli riferisce che lascio’ la richiesta di portare Cucchi in ospedale direttamente all’agente preposto che si trovava lì. “Dell’uscita alle 19.50 non so il perche”’. Il ragazzo rientro’ poi a Regina Coeli alle 23, e anche qui ”non so rispondervi perché fosse rientrato”. Sulla decisione di desecretare gli atti e’ stata oggi pero’ polemica politica: a votare per il si’ i 10 commissari del Pd, dell’Idv e la gruppo misto Poli Bortone. La Lega si e’ astenuta mentre il Pdl si e’ opposto: ”Il nostro no – ha spiegato il capogruppo in commissione Michele Saccomanno – e’ perche’ volevamo trovare un sistema comune per garantire le persone che abbiamo convocato”. Per la presidente dei senatori Pd Anna Finocchiaro e’ stato invece ”un atto di meritoria trasparenza delle istituzioni”. Il presidente Marino si e’ detto convinto che ”la desecretazione possa aiutare la Procura a fare chiarezza anche sui comportamenti individuali dei medici”

fonte ANSA

Dal carcere di Spoleto: l’uomo ombra


 di Carmelo Musumeci

Ho ricevuto questa domanda nella rubrica della “Posta Diretta” che tengo nel sito di www.informacarcere.it

Voi ergastolani vi definite “Uomini ombra” ma non pensate alle persone che sono morti per causa vostra che non hanno neppure più la loro ombra? Sono d’accordo con lei solo di una cosa “Chi vuole giustizia in realtà desidera vendetta.” Io lo ammetto, voglio vendetta. Spero che lei non esca mai e che muoia in carcere.

 Ho risposto in questo modo

Chi violenta, uccide, mangia bambini o ammazza persone inermi e innocenti difficilmente è condannato all’ergastolo.

Molti di loro scelgono riti alternativi, altri collaborano o scelgono di usare la giustizia per avere sconti di pena.

E anche se alcuni di essi sono condannati all’ergastolo, non è mai quello ostativo a qualsiasi beneficio ma quello normale che dopo dieci anni puoi uscire in permesso, a venti in semilibertà e a venticinque in condizionale.

Lei non sa, o fa finta di non sapere,  che su 1400 ergastolani saranno una trentina quelli che hanno sulla coscienza morti innocenti.

Tutti gli altri sono stati condannati all’ergastolo perché sono riusciti a sopravvivere a guerre interne alla malavita organizzata.

E fra gli ergastolani ostativi sono pochissimi quelli condannati per omicidi di persone innocenti, forze dell’ordine o altro.

Tutti parlano bene dei morti e male dei vivi, se fossi morto nei numerosi attentati che ho subito, forse parlerebbero bene anche di me.

L’ho detto molte volte: nella malavita organizzata sia i vivi, sia i morti, sono colpevoli.

Non ci sono vivi cattivi e morti buoni,  come non ci sono vivi buoni e morti cattivi.

Infatti, molti anni fa era difficile che omicidi maturati nella malavita fossero condannati alla pena dell’ergastolo.

Molto tempo fa l’ergastolo ostativo non esisteva.

Solo esigenze politiche hanno portato a condannare ragazzi di 18-19 anni alla pena dell’ergastolo ostativo e imprenditori, finanzieri e politici corrotti a pochi mesi di carcere.

In guerra non ci sono soldati buoni e soldati cattivi,  ci sono solo soldati che si ammazzano fra loro.  Lo Stato, che li ha condannati e  dopo la condanna li ha usati come trofei politici, è responsabile del fatto che questi ragazzi sono cresciuti nell’illegalità amministrativa e culturale, frutto dell’abbandono più totale da parte delle stesse Istituzioni che avrebbero dovuto tutelarli.

Questa è la verità storica, oggettiva e sociologica che i mass media nascondono.

Io non credo che la Giustizia/vendetta si ottenga con il carcere a vita  perché se lo Stato agisce come i criminali,  dove sta la differenza fra noi e loro?

Un uomo per essere giusto dovrebbe avere pietà e perdonare anche a rischio di farsi ingannare.

Io una volta avevo perdonato un mio nemico e dopo un po’ di tempo sono stato ringraziato da lui con sei pallottole ma non ho mai rimpianto di averlo perdonato.

Per il resto preferisco non uscire mai e morire in carcere che diventare “criminale” come lei.

Buona vendetta.

“Manzoni non sa scrivere in italiano” dice Albertazzi che però lo interpreta a teatro


“A vent’anni non leggi Manzoni perchè è davvero noioso, ma se a ottanta non l’hai letto vuol dire che sei un po’ più povero. Albertazzi da’ un giudizio “greve” su un autore importante che non legge. Confonde gli effetti con le cause, scambia la realtà con la sua rappresentazione e per rifiutare l’Italia dei Promessi Sposi – “sopa opera” – rifiuta lo scrittore che meglio di tutti l´ha raccontata, un po´ come quelli che per opporsi alla mafia danno del mafioso a Sciascia perché per primo l´ha descritta così bene”.

Francesco Merlo su Repubblica difende l’autore dei Promessi Sposi da Giorgio Albertazzi, l’attore che lo porterà a teatro a Milano ma che nonostante ciò si lascia andare a giudizi severi: Manzoni «non sa scrivere in italiano». Eppure, scrive Merlo, sarà proprio lui a interpretare il cardinale Federigo Borromeo, “un santo che gli sembra scipito  perché è l’oleografica incarnazione di quelle virtù astratte – bontà, carità, fede e speranza – che irritano “il conte Attilio Albertazzi”.

È terribilmente manzoniano “don Abbondio Albertazzi” che, scrive Merlo, non ha il coraggio di fare quel che in cuor suo vorrebbe e dovrebbe, cioè «disobbedire e recitare Raskolnikoff invece di adattarsi all´autorità, alla Curia, al committente Michele Guardì e, domani sera, nel Duomo di Milano, dare parole e anima a Egidio, a Gervaso e ad Agnese». Avrebbe voluto dire no “Albertazzi di Monza” perché «io le cose – ha dichiarato – le leggo quando mi va». Invece ha risposto “sì”.

Vedrete, sarà un trionfo, assicura Merlo, perché è davvero il migliore di tutti i nostri attori e perché è il carattere italiano perfettamente disegnato nei Promessi Sposi l’Albertazzi-Tramaglino che nell’osteria annaspa negli spropositi e dice che «Manzoni non sa scrivere».

Albertazzi dice di essere fermo ai suoi venti anni: «Non ho mica cambiato idea». Non gli piacciono i Promessi Sposi perché “ad ogni adolescente non piace il mondo degli adulti, cerca personalità appassionate ed eroiche, e magari i bravi gli piacerebbero se non fossero delinquenti”. Di don Abbondio disprezza la mancanza di carattere, di Renzo Tramaglino non sopporta l’assenza di ardore e di sessualità, Lucia gli ricorda il francobollo della mansuetudine, Gervaso gli sarebbe simpatico se non fosse scemo, don Rodrigo è mediocremente forte con i deboli e debole con i forti e anche Gertrude è solo una povera disgraziata che ammazza le novizie, una patetica donna a delinquere, prodotto feroce delle abitudini familiari bigotte. “Ma che bisogno ha – si domanda allora Merlo – Albertazzi di fingersi ancora adolescente?”

È invece terribilmente manzoniano “don Abbondio Albertazzi” che non ha il coraggio di fare quel che in cuor suo vorrebbe e dovrebbe, cioè disobbedire e recitare Raskolnikoff invece di adattarsi all’autorità, alla Curia, al committente Michele Guardì e, domani sera, nel Duomo di Milano, dare parole e anima a Egidio, a Gervaso e ad Agnese: «che ci posso fare, mi annoiano!».

«La verità è che non l´ho letto» ammette l’attore. Allora “se parli di un libro che non hai letto ti ricongiungi con l´infantilismo” chiosa il giornalista di Repubblica che ricorda quanto l’allegro luogo comune sull’autore dei Promessi Sposi: «È la scuola che ci fa odiare Manzoni».

Albertazzi ha reso inimitabili perché sempre diversi i suoi eroi, ricorda Merlo. “Accadeva anche agli altri due geni del nostro teatro, Vittorio Gassman e Carmelo Bene, il primo indimenticabile lettore del Manzoni con il lago di Como come palcoscenico ed entrambi protagonisti ineguagliati di due Adelchi”. Non c´è nulla da temere per lo spettacolo di domani sera. Sarà un vero trionfo per l’attore. Anche perché con la sua riluttanza “ha rivelato di essere antropologicamente un perfetto Renzo Tramaglino, l’italiano che vuole fare il diavolo a quattro e invece impara a memoria “addio monti sorgenti dall’acque…”.

da www.blitzquotidiano.it

“I sogni son desideri” – Dreams are wishes…


Giorgia interpreta questo delizioso testo tratto dal film “Cenerentola” di Walt Disney…:-)

The Italian singer Giorgia sings this sweet text from the famous “Cinderella” fil by Walt Disney…:-)

http://www.youtube.com/watch?v=Z66uNwQqBb8&feature=related

 sogni son desideri
chiusi in fondo al cuor
nel sonno ci sembran veri
e tutto ci parla d’amor
se credi chissa che un giorno
non giunga la felicità…
non disperare nel presente
ma credi fermamente
e il sogno realtà diverraaa!
se il mondo soffrir ti fa..
non devi disperar..
ma chiudi gli occhi per sognar
e tutto cambierà
i sogni son desideri
chiusi in fondo al cuor
nel sonno ci sembran veri
e tutto ci parla d’amor
se credi chissa che un giorno
non giunga la felicità
non disperare nel presente
ma credi fermamente
e il sogno realà diverrà

Mosca: Italian Style per hotel-grattacielo


Un hotel pinacoteca-biblioteca con molto made in Italy, un negozio che vende Rolls-Royce e una piccola cupola all’ultimo piano per una cena a due, pensata come scenario unico per chiedere la mano ad una donna: si presenta cosi’ il leggendario albergo Ukraina, uno dei sette grattacieli staliniani, che ha riaperto i battenti anche con il nuovo nome di Radisson Royal Hotel dopo tre anni di restauri, costati 300 milioni di dollari. Per l’occasione e’ intervenuto il sindaco Iuri Luzhkov, che nel 2005 aveva venduto l’immobile per circa 270 milioni di dollari.

Intatto l’esterno, tutto guglie, pinnacoli, stelle, falci e martelli, mentre l’interno, come ha potuto constatare l’ANSA alla cerimonia di inaugurazione, e’ stato completamente rinnovato preservando pero’ l’architettura e i dettagli, come i lampadari di cristallo e le lampade dorate.

Il numero delle camere, contraddistinte dall’arredamento italiano, e’ stato quasi dimezzato (da 900 a 505 di varie categorie, oltre a 38 appartamenti per soggiorni lunghi) ma sono stati ricavati altri spazi suggestivi: cinque ristoranti (tra cui l’italiano ‘Buono‘ e il primo ristorante iraniano di Mosca), una sala conferenze da 400 posti, una sala banchetti da mille persone e una palestra con una piscina olimpionica. Italiano anche il marmo bianco delle colonne.

Ma a rendere particolare uno degli alberghi piu’ famosi di Mosca – testimone di eventi storici come il bombardamento della Casa Bianca, frequentato da attori come Marcello Mastroianni e Robert de Niro, e scenario di romanzi famosi come Gorky Park – e’ anche l’aspetto culturale: una biblioteca con oltre 3000 libri in varie lingue e una galleria di ben 1200 quadri di pittori russi della prima meta’ del XX secolo, esposti nelle camere e negli spazi comuni.

Un’altra chicca e’ lo splendido diorama in fondo all’atrio che mostra com’era il centro di Mosca nel 1976, in scala 1:75 e con le variazioni della luce del giorno.

Quando fu ultimato nel 1957, con i suoi 34 piani e i suoi 206 metri di altezza, l’Ukraina era l’hotel piu’ grande d’Europa, con una vista tuttora tra le piu’ belle della capitale.

fonte ANSA

http://www.ukraina-hotel.ru/

Pompe funebri per piccoli animali, l’agenzia inventata e gestita da ragazzo di 15 anni


Nicolò Verga Anche le bestiole hanno diritto a una degna sepoltura. E’ questa la filosofia su cui si basa la Pfa, impresa di pompe funebri animali di piccola taglia attiva a Limbiate dal 2004. L’idea stravagante acquista un tono sorprendente visto che il fondatore e titolare della piccola azienda si chiama Nicolò Verga e ha solo 15 anni. Il ragazzo dalla forte vena imprenditoriale, alla tenera età di 9 anni ha deciso di dare una casa dopo il trapasso a miglior vita a piccoli animali come furetti, lucertole, pesci, criceti e tartarughe.

 E l’attività va alla grande. Nel 2009 i clienti sono stati 203, ma questo numero è destinato a crescere considerevolmente dal momento che nei primi tre mesi dell’anno è stata già raggiunta quota 93. Il vero boom di richieste però generalmente arriva in primavera e in estate.

 Nicolò viene aiutato costantemente dal suo collaboratore 14enne Nicholas Ricci, ma nei periodi di massimo lavoro sono pronti ad intervenire anche i loro amici Andrea Parodi e Giovanni Guindani. L’azienda provvede a tutto, fornendo la cassetta di legno, il marmo e i fiori. «Cerchiamo di lavorare nel modo più serio e professionale possibile e di venire incontro ad ogni esigenza – spiega Nicolò – perché per noi non è importante l’aspetto economico ma la soddisfazione del cliente. Qualcuno ci chiede di seppellire l’animale nel proprio giardino, mentre a chi vive in appartamento proponiamo di seppellirlo in una zona del mio giardino che è stata destinata per questo scopo ed è aperta al pubblico sei giorni su sette. Abbiamo allestito anche una sala del commiato in un locale della mia casa. Qui – conclude il giovane imprenditore – spesso i clienti si commuovono al momento di dare l’ultimo saluto alla loro bestiolina».

 da www.blitzquotidiano.it

Beata la clochard senza casa nè eroi


di Accursio Sabella

Beata la povera clochard. Beata perché povera. E perché ignara di tutto. Di aver portato via messaggi e segni di chi ha creduto e crede nell’esempio di un eroe civile come Giovanni Falcone. Beata la povera clochard. Perché povera. E perché non ha eroi.
Eccola, nel video, mentre sfila su via Notarbartolo. Il passo incerto. Come la sua vita, in fondo. L’andatura confusa. Come i suoi passi. Ed eccola tornare indietro. Le braccia piene di quei messaggi e di quei segnali. Portati via in un incomprensibile impeto di vita, da un “altare” dove si ricorda la morte per un ideale.
Già, la vita e la morte. Che per il siciliano sono chiaramente divisi. Il morto è morto. Bisogna pensare ai vivi. La contraddizione, la contrapposizione a disegnare l’identikit di questa terra. Dove, però, la morte e la vita finiscono per essere sviliti, in quel confronto.
E la morte diventa elemento “utile” (con tutta la buona fede che ciascuno di noi può e vuole trovare) per il moderno marketing mediatico e politico. Dove bisogna esserci. Per forza. Lì, nel luogo delle “profanazione” (e sarebbe interessante chiedere a Giovanni Falcone cosa penserebbe, oggi, dell’uso di quel termine). Nel quale esibire tutti gli stilemi e i gesti della più stucchevole retorica. “Mafia”. O niente. Ed è meglio che sia mafia. Nella terra della contraddizione tra vita e morte, da tanto brucia quella tra Cosa nostra e antimafia. E anche qui, finisce per spandere una patina opaca su entrambe le cose. Mitizzando la prima, anche di fronte all’azione di qualche sanguinario ignorante. E per far entrare la seconda in un “determinismo” che obbliga a esserci. Che suggerisce anche la commossa, contrita, attonita convenienza “pubblica”. Meglio che sia mafia, insomma. Altrimenti…
Altrimenti si corre il rischio, a distanza di qualche giorno, di trovare una povera clochard (che il termine barbona suona già male, ancor più se riferito a una donna) immortalata in un filmato. È lei la “profanatrice”. Quella dal passo incerto come la sua vita. Quella che non profana nulla perché non sa cosa sia la profanazione. E che, se lo sapesse, forse attribuirebbe quel termine alla propria vita. Quella vita esplosa in un impeto incomprensibile. Quella vita che sembra in Sicilia, in fondo, solo una scappatoia dalla morte. Povera clochard. E beata clochard. Perché povera. E perché vive, lei sola, in quel paese beato che non ha bisogno di eroi

da www.livesicilia.it