Dichiarazione di Rita Bernardini, deputata Radicale-Pd, membro della Commissione Giustizia
“Ormai il passare del tempo nelle carceri italiane è sempre più scandito dal macabro conteggio delle morti. L’ultimo decesso fra gli internati del supercarcere di Sulmona era più che annunciato ed era stato preceduto dal suicidio -appena sei giorni fa- di un altro tossicodipendente come lui. Come si fa a mettere una persona così bisognosa di cure sia materiali che psicologiche in una cosiddetta casa di lavoro dove il lavoro non c’è e dove si sta chiusi in cella tutto il giorno senza fare alcunché?
Sembra invece confermata la notizia, che denunciavo alcuni giorni fa sottolineando l’irresponsabilità del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, secondo la quale nel supercarcere di Sulmona si mandano via i detenuti comuni per portarci altre decine di internati. Gli internati, lo ricordiamo, sono coloro che dovrebbero finire nelle cosiddette “case lavoro” per “ragioni di sicurezza” avendo già espiato la pena e perciò pagato il loro conto con la giustizia. Io credo che il DAP debba necessariamente rivedere l’insensata “politica” messa in atto fin qui, prevedendo per i tossicodipendenti e i disagiati psichici strutture alternative dove possano essere seguiti e curati”
Archivi giornalieri: 9 aprile 2010
“La regina e la sua stramba storia”
di Tiziana Mignosa
Ti vedono
e sono tanti
regina spensierata e fiera
e a denti stretti tu sorridi
mandando giù polvere e rospi
che mai saranno stelle né principi alati.
Loro che ambiscono ad orbitarti intorno
tutt’e tre le carte hanno messo in ballo
ma quanto buffa è la tua stramba storia
regina sì, ma di vana gloria
come se bastasse il futile vezzo
per dissetarti alla fonte della gioia.
Sovrana senza regno
di fil di ferro aguzzo è appeso il cuore tuo al chiodo
ma loro non lo sanno
e continuano a costruire colla sabbia
castelli senza senso
che a terra vanno mescolandosi col fango.
Eppure lui in te ha visto il mondo
falco senz’ala
ti sussurrava che eri tutto
ma al primo angolo ha voltato lesto
lasciandoti da sola
insieme alla tua inutile corona.
da “In viaggio con me” di Brunella Li Rosi edizioni Greco
“…E nel turbine lento, che quasi incurante dei fatti e degli avvenimenti, gira costante su se stesso e tutto avvolge e prende, si svolge parallelo il consueto gioco del dare e del togliere.
E quel dare e riprendere ricorda all’esistenza che nulla è dovuto ma è solo un prestito, un assaggio temporaneo.
Tutto può essere e subito dopo non essere.
E di quanto ci viene dato non sempre sta a noi decidere se accettare o rifiutare.
Ma allo stesso tempo il brillìo che a volte luccica dentro il turbine ci rivela che non solo di passività è fatta l’esistenza umana, ma di volontà che liberamente affronta la realtà e con intelligenza e con coscienza della propria miseria e impotenza si fa grande nel capire e nell’abbracciare il tutto con quella forza misteriosa che si chiama “amore” e che ciascuna delle particelle del turbine sperimenta e fa propria solo dopo aver attraversato la tempesta dell’esistere…”
Tenere il ritmo camminando: a Roma il primo gruppo di percussionisti sordi
Non sentono la musica, ma riescono a suonare ascoltando le proprie vibrazioni e riproducendo i passi di una camminata. Si chiamano “Deaf drums road” e sono 25 ragazzi del Convitto per sordi della capitale, guidati da Sergio Quarta
ROMA – A vederli dal vivo i “Deaf Drums Road”, travolgenti e divertiti nell’esibizione, nessuno potrebbe immaginare che loro in realtà il suono della musica non lo sentono, e che tengono il ritmo soltanto con le vibrazioni del corpo. Eppure è proprio così. Nel Convitto per sordi della capitale è nato, infatti, il primo gruppo di percussionisti sordi. Quasi un ossimoro si direbbe, in realtà un’ esperienza unica nel campo musicale che fonde insieme tecnica raffinata di insegnamento ed efficacia nella realizzazione. Ma come si fa a insegnare il senso del ritmo a chi ha perso l’udito?
“Una persona sorda dalla nascita non può avere un riferimento ritmico regolare non avendo mai avuto la possibilità di ascoltare e seguire un brano musicale, se non sottoforma di percezione di alcune frequenze, vibrazioni” – sottolinea Sergio Quarta, musicista professionista, maestro di musica e ideatore del laboratorio del convitto di Roma. “Un bambino che nasce sordo non può ascoltare la ninna nanna della madre, che è forse il primo messaggio ritmico musicale che ci viene trasmesso direttamente. Lavorando con i ragazzi sordi, mi sono concentrato sul quadro dei movimenti quotidiani e spontanei, in particolare sul camminare. Una persona sorda, camminando, riproduce in maniera spontanea, una sequenza ritmica regolare, come fa una persona udente. Tenendo in grembo un tamburo e cercando di sostenere una camminata naturale, abbiamo fatto corrispondere, a ogni passo, un colpo prodotto con la mano per ottenere un effetto all’unisono, quindi lo sviluppo e la costruzione di un ritmo regolare, grazie anche allo studio della tecnica dei vari strumenti”.
Il laboratorio nato tre anni fa da un’idea di Sergio Quarta con sei ragazzi, oggi vede coinvolte venticinque persone. “Uno dei compiti, o se preferiamo delle missioni, di ogni musicista, è quello di portare la musica dove non c’è- continua il maestro-. Da molti anni intraprendo viaggi per andare a suonare in diversi luoghi anche molto lontani. Dopo la prima esperienza al convitto per sordi, mi resi conto che forse il posto più lontano dove portare la musica, era a soli 6 km da casa mia.” La stessa struttura che ospita i ragazzi ha scommesso fin dall’inizio sulla riuscita di questo progetto, unico nel suo genere. “Accolsi con stupore e meraviglia, ma con grande entusiasmo, questa proposta pur se poteva apparire bizzarra – aggiunge il rettore del Convitto Rossella Puzzuoli-. Nel corso dei tre anni il progetto si è incrementato e ora il laboratorio prevede un gruppo di “veterani”, ovvero un corso avanzato, e un gruppo di principianti. Il corso di musica ha prodotto, inoltre, una notevole socializzazione tra gli allievi e alcuni di essi hanno imparato a conoscersi meglio e a rispettarsi. Fanno gruppo anche all’esterno, si stimano, si proteggono, insomma sono diventati amici.”
Rosario i suoi compagni di corso li chiama addirittura “fratelli”, perché sostiene che sono tutti figli della stessa madre: la musica. “Per me partecipare a l laboratorio significa la realizzazione di un sogno. Non credevo di poter riuscire a suonare, a esprimere ciò che era ed è dentro di me- sottolinea-. Per me la musica è vita, è un’occasione per riuscire a dimostrare agli altri chi sono e cosa sono in grado di fare”. E così, quella che sembrava una missione quasi impossibile, è diventata realtà. E i ragazzi di Sergio Quarta ora sono in grado di esibirsi anche davanti a un vasto pubblico, proprio come è successo a piazza Vittorio in occasione della premiazione del progetto “Global junior challenge” 2009. E il pubblico divertito ringrazia, senza applausi, però, ma nel linguaggio dei segni, ovvero facendo vibrare in alto le mani.
A cultural event from USA: America’s Greatest Humanitarian Deed: Responding to the Messina Earthquake of 1908
A lecture by Salvatore J. LaGumina – Wednesday, April 21, 2010 – 6:30pm
“Messina, Reggio, and Surrounding Towns Wiped Out – 90 Killed in Messina,” “Italy Shaken; Thousands Die,” “Four Battleships Ordered to Naples.” These were only a few of the American newspaper headlines reporting on Europe’s worst natural disaster.
At 5:20 AM on December 28, 1908 the earthquake that erupted in the Messina straits and which was followed by a vicious tsunami, struck with punishing and lethal fury at Sicily’s eastern coastline and the Calabria region of southern Italy. Respective neither of class nor social position, the disaster cut a swath of horrifying death to a cross section of society along with incredible destruction. It was estimated that more than 90% of Messina’s buildings were destroyed leaving thousands homeless. Stupefied and stunned survivors faced a grim, hopeless winter.
Aid was to come from many nations most particularly the United States. Coincidentally the Great White Fleet – the largest and most powerful naval armada that was sent on a world cruise to showcase American naval power by President Theodore Roosevelt – was approaching the Suez Canal from the east when the earthquake struck. A number of ships were diverted from the flotilla to bring assistance in the form of efforts to extricate victims buried in rubble along with desperately needed medical aid and food.
The United States Congress speedily passed the largest appropriation in history up to that time to bring additional supplies and building materials to construct emergency shelter for the tens of thousands of homeless victims. Navy personnel were then assigned to supervise the construction of housing, hospitals and churches for the destitute people. They completed their task in a few months winning the hearts and appreciation of the Italian government and its people. It is considered one of America’s greatest humanitarian efforts – America at its best.
United States response to the Messina Earthquake provides the basis for comparison to its response to other more recent natural disasters like Hurricane Katrina.
This power point presentation is based on Dr. Salvatore J. LaGumina’s recently published book “The Great Earthquake: America Comes to Messina’s Rescue”.
Musica: 10000 volte i Watussi, Edoardo Vianello canta il suo ‘inno’ in concerto a Napoli
10mila volte i Watussi. Sabato 8 maggio i Watussi di tutto il mondo, oltre naturalmente agli appassionati degli anni Sessanta, si potranno riunire per cantare insieme a Edoardo Vianello per la decimillesima volta il loro inno internazionale. Il concerto che celebra lo storico evento si terra’ al Palapartenope di Napoli, citta’ nella quale fu composta la musica ben 47 anni fa, mentre il cantante era impegnato, nello storico night club «Shaker», con la sua orchestra da ballo. Ad anticipare l’esecuzione sara’ la sua performance televisiva domenica prossima, l’11 aprile, nell’ambito di ”Domenica In” su Rai 1, spazio in cui Edoardo sara’ ospite di Pippo Baudo per interpretare in diretta la cantata watussiana n. 9.999.
Perche’ questa fissazione con i numeri? ”Fin dagli esordi -risponde Vianello- ho battezzato la mia musica «matemusica», perche’ nel comporla ho sempre cercato di darle una struttura che traducesse musicalmente quello che, per la mia sensibilita’, era lo spirito matematico. La matematica mi affascina, ma a scuola non sono mai stato un fenomeno. Sara’ per questo che ho tentato di esprimerne il rigore logico non gia’ con equazioni, logaritmi e formule algebriche, ma con cio’ che mi riusciva piu’ congeniale, la musica appunto. Apparentemente la matematica parrebbe avere poche affinita’ con la musica, che richiama alla mente dei piu’ la poesia e non le scienze esatte. Io invece sospetto che il motivo per cui ancora oggi, a distanza di cinquant’anni dalla loro composizione, alcuni brani restano impressi nella mente del pubblico sta proprio in questa loro caratteristica: contengono punti di riferimento musicali scanditi sistematicamente, quasi con simmetria, che ne facilitano la memorizzazione”.
fonte Adnkronos
Cervello: ci specchiamo negli altri
Riconoscere in un sorriso anche solo accennato la felicità di un nostro caro oppure sentirsi un nodo in gola dal dolore di fronte al pianto dirotto di una persona o guardando scene raccapriccianti: vuol dire provare ‘empatia’, capire gli altri ‘specchiandocisi’ dentro con una risorsa del nostro cervello, i neuroni specchio: a oltre 20 anni dalla loro scoperta nelle scimmie, arriva ora la prova definitiva che questi neuroni esistono anche negli esseri umani. Grazie a uno studio pubblicato sulla rivista Current Biology per la prima volta si ha la prova diretta, la registrazione della loro attività, nel cervello di pazienti cui, per motivi clinici, erano stati impiantati elettrodi.
A fornirla il team dell’italiano Marco Iacoboni dell’Università di Los Angeles in uno studio tanto atteso perché finora la loro esistenza nell’uomo era solo teorizzata o provata in modo indiretto. E non è tutto: il team ha anche scoperto nuove popolazioni di neuroni specchio in varie aree neurali. Scoperti nelle scimmie dal team di Giacomo Rizzolatti dell’Università di Parma in una serie di lavori compiuti tra gli anni ’80 e ’90, i neuroni specchio sono nella corteccia cerebrale a livello frontale e parietale e sono alla base della capacità di comprendere e riprodurre le azioni altrui. Funzionano proprio come uno specchio riproducendo nel nostro cervello azioni o stati d’animo osservati in alre persone. In pratica, cioé, si attivano sia quando compiamo un’azione, sia quando la vediamo compiuta da altri. Il sorriso di qualcuno che arrivi ai nostri occhi, quindi, li eccita come si ecciterebbero se fossimo noi stessi a sorridere.
Malgrado l’esistenza di un sistema di neuroni specchio nelle scimmie, tuttavia, finora l’evidenza diretta di un tale sistema di neuroni negli umani mancava, anzi di recente era stata anche messa in discussione da uno studio dell’Università di Trento pubblicato sulla rivista ‘PNAS’. Mancava (anche se vi erano prove indirette con la risonanza magnetica), per ovvi motivi, infatti non è etico impiantare elettrodi nel cervello di persone solo a scopo di ricerca. Il problema è stato superato, spiega Iacoboni, in Usa da oltre 10 anni dopo la laurea in medicina all’Università di Roma La Sapienza, coinvolgendo 21 pazienti in cura per epilessia cui erano stati impiantati elettrodi a scopo clinico.
Ebbene, durante il loro ricovero, il team di Iacoboni ha detto loro di osservare o eseguire certe azioni (come aggrappare oggetti), oppure espressioni facciali. In accordo con la teoria, sia all’osservazione sia all’azione, i neuroni specchio si sono accesi e la loro eccitazione è stata registrata in diretta dagli elettrodi: in tutto è stata registrata l’attività di 1177 neuroni specchio e ne sono stati trovati alcuni anche in aree neurali dove finora non si supponeva la loro presenza. “Poiché queste nuove aree della corteccia svolgono diverse funzioni (visione, movimenti, memoria)- conclude Iacoboni – la scoperta suggerisce che i neuroni specchio forniscono un ricco e complesso sistema di ‘riproduzione’ di azioni e emozioni altrui”.
fonte ANSA
“Cose di Sicilia” al teatro Canovaccio di Catania
di Daniela Domenici
Un piccolo teatro-bomboniera di appena 54 posti nel cuore di Catania, il Canovaccio, per accogliere un recital di brani e canti tratti dalla cultura popolare siciliana che Cinzia Caminiti, attrice e cantante, è riuscita a creare, grazie al suo attento e prolungato (quasi 25 anni) lavoro di ricerca in ambito etno-antropologico, basandosi sulle parità e le storie morali di Serafino Amabile Guastella e Salomone Marino, per divulgare e tramandare le tradizioni del popolo siciliano e non perderne la memoria storica; e per questo tutto lo spettacolo è in lingua siciliana, idioma che conserva nella sua struttura e nel suo vocabolario complesso e affascinante tracce delle varie dominazioni che si sono susseguite nell’Isola.
Cinzia Caminiti ha voluto la collaborazione, sul palcoscenico, di un’altra attrice e cantante etnea, Alice Ferlito, per raccontare insieme l’ineluttabilità, l’inesorabilità del destino voluto da Dio e l’atteggiamento del popolo siciliano verso agli eventi che gli accadono alternando testi sacri alle leggende legate alla tradizione del Venerdì Santo in Sicilia e alle poesie di produzione anonima e d’autore.
Un applauso particolare vogliamo tributarlo, tra i tanti “momenti” della serata, a un dialogo divertentissimo del grande Nino Martoglio, intitolato “Il rosario”, in cui la Caminiti e la Ferlito alternano, con una bravura da esperte attrici, la recita del rosario con frasi di puro “cuttigghio” fino all’imprevista ironica conclusione.
Le musiche e i canti popolari e colti, scelti tra i più emblematici e apprezzati dal pubblico, sono stati eseguiti dal vivo da tre musicisti: Stefano La Rosa e Michele Gagliano alle chitarre e altri strumenti a corda e Anna Spoto al flauto e sono anch’essi il risultato di una fruttuosa ricerca svolta in questi anni dall’associazione “Schizzi d’Arte: molto delicato il loro lavoro di arrangiamento che ha fatto da contrappunto all’asprezza del narrato regalandoci momenti di pura poesia.
Cinzia Caminiti, con Alice Ferlito e i tre musicisti, ha voluto concludere il suo recital con l’interpretazione di un classico della tradizione siciliana, “E vui durmite ancora”, intriso di un pathos davvero struggente, senza tempo, una conclusione poetica per una serata magica.