Paralimpiadi, alziamo l’audience


di Franco Bomprezzi

Scattano le Paralimpiadi di Vancouver, due settimane dopo le Olimpiadi invernali. Per la prima volta nella storia dei giochi degli atleti disabili ci sarà una massiccia copertura televisiva da parte della Rai e soprattutto di Sky, che da giorni lancia i promo delle gare, con spot accattivanti, con interviste ai protagonisti, e ricordando che esistono cinque canali dedicati a raccontare l’evento. Non è poco, anzi è tantissimo, se si ha memoria del passato. Giustamente Luca Pancalli, presidente del Cip, Comitato Paralimpico Italiano, pone questo risultato come la principale vittoria di queste edizioni, sapendo che dal punto di vista agonistico sarà difficile ripetere l’exploit di Torino, quattro anni orsono.

E sarà difficile ripetersi non solo perché è cresciuto il livello qualitativo delle nazionali emergenti, Cina compresa, ma soprattutto perché l’età media dei nostri campioni è di 32 anni e mezzo, con punte che superano ampiamente i 40 anni. E i migliori, quelli che possono andare a medaglia, sono soprattutto i più vecchietti.

C’è un problema di ricambio generazionale, che nello sport si risolve solo facendo sport di base, ossia favorendo la pratica sportiva, non necessariamente agonistica, a partire dai centri di riabilitazione, dalle società di promozione sportiva, dal territorio, dai Comuni, dalle scuole. Investire sullo sport per tutti (in realtà il problema non riguarda solo gli atleti disabili, ma una scarsa propensione alla pratica sportiva dei giovani, calcio a parte) è uno dei pochi investimenti opportuni in questo momento di difficoltà. Significa, per chi ha una disabilità da incidente stradale o da infortunio sul lavoro, ma anche per una situazione fisica congenita o progressiva (penso alle distrofie e ai non vedenti), gioia di vivere, ritorno alla socialità, alla mobilità, a viaggiare, a confrontarsi con se stessi e con gli altri, alla pari, senza alibi, senza vittimismi.

E’ dunque fondamentale, è la premessa per una vita sana, per una salute migliore: chi è disabile non è malato, e questa equazione inconscia va sfatata proprio attraverso la dimostrazione che è possibile fare qualcosa di più e di meglio, ogni giorno. Le Paralimpiadi, purtroppo ancora separate dai Giochi di tutti (ma anche questo è un processo culturale e tecnico che richiede tempo per condurre al risultato logico, ossia l’unificazione delle gare), sono comunque un momento alto di promozione dello sport, perché le gare, a questo livello di qualità e di competizione, sono spettacolari, divertenti, avvincenti, esattamente come le gare degli atleti “normodotati” (che brutta terminologia discriminante, ancora in uso normale nell’ambiente dello sport per disabili!).

Ecco perché è importante alzare l’audience, sintonizzarsi sui canali che trasmettono le gare, seguirle e commentarle, rimbalzarle sul web, nei blog, nei siti internet, sui giornali, nelle chiacchiere al bar. Se queste Paralimpiadi saranno vinte dal pubblico televisivo, questo comporterà due risultati preziosi: le televisioni che hanno creduto in questo evento, Rai e Sky, saranno remunerative per gli inserzionisti pubblicitari, che saranno dunque pronti a investire in programmi nei quali la disabilità venga raccontata con normalità e qualità professionale. In secondo luogo la gente comincerà a vedere lo sport degli atleti disabili senza alcun pietismo, senza quell’atteggiamento paternalistico figlio dell’ignoranza, che ha fino ad oggi mantenuto nel ghetto questo straordinario movimento mondiale.

Forza ragazzi, dunque: a Vancouver si va per vincere. Non solo una medaglia. Molto di più

Teatro: le ‘Voci nel deserto’, 250 frammenti di libero pensiero al Brancaleone di Roma


60 attori piu’ uno deejay per il rave teatrale ”Voci nel Deserto” il primo esperimento di resistenza teatrale in programma il 19 marzo al Brancaleone di Roma. piu’ di 250 frammenti di libero pensiero ancora buoni.Pasolini, Flaiano, De Tocqueville, Levi, Bradbury, Calamandrei, Orwell, Galeano, Gaber, Einstein, Manganelli, Alfieri, Steinbeck, per non dire di Tucidide e Ovidio, tra gli altri: le loro parole, a risentirle oggi, offrono una chiave di lettura sulla realta’ sociale e politica che stiamo vivendo attualmente. Frammenti di liberta’ di pensiero, messaggi in bottiglia affidati alle correnti del tempo: il gruppo teatrale ”Voci nel Deserto” li ha recuperati e ha dato loro nuova voce, mettendoli in relazione attraverso la musica, i suoni e le immagini del presente.

 

Ne e’ nato un appuntamento con la memoria, un evento gratuito unico nel suo genere che si celebra ogni ultimo venerdi’ del mese e si alimenta dell’impegno e della generosita’ di attori e pubblico, per una volta complici nel fare in modo che le parole che sono state dette o scritte in passato non rimangano ancora una volta inascoltate. ”Voci nel deserto” e’ un’idea collettiva di fare teatro civile, alla quale tutti possono contribuire segnalando frammenti, promuovendo l’iniziativa o addirittura replicandola liberamente in altre citta’ d’Italia, come sta gia’ avvenendo a Milano.

fonte Adnkronos

Modest Mussorgski – Модест Мусоргский – Una notte sul Monte Calvo – Ночь на Лысой горе


Dal celebre, immortale film di Disney “Fantasia” vi regalo uno dei brani che amo di più: “Una notte sul Monte Calvo” del musicista russo Modest Mussorgski

http://www.youtube.com/watch?v=KyHI6HXw-LQ&feature=related

Ba.co.di.ra.me – Associazione Bambino con Disordini Rari del Metabolismo Onlus


di Anna Pavone

Quindici mesi di attività, di incontri, di partecipazione e di riflessione. Quindici mesi di BA.CO.DI.RA.ME (Associazione del Bambino con Disordini Rari del Metabolismo Onlus), a sostegno della ricerca e a supporto delle famiglie colpite.

L’incontro di stamane, svoltosi nell’Aula Magna del Policlinico universitario, è stato un’occasione per informare sugli obiettivi raggiunti, per sensibilizzare l’opinione pubblica e per lanciare nuove proposte e nuovi spunti di riflessione.

Dopo il benvenuto della dott.ssa Arianna Ragusa, Presidente dell’Associazione, il Presidente del Comitato etico del Policlinico di Catania mons. Salvatore Scrivano, ha sottolineare come un evento drammatico possa diventare spinta all’«operosità e al dinamismo del cuore, che si apre alla speranza e onora la persona che non c’è più».

A fare gli onori di casa è stato il Vicepreside della Facoltà di Medicina, prof. Riccardo Noto, che ha portato anche i saluti del Preside, prof. Francesco Basile, trattenuto da impegni istituzionali.

 Un’affollata Aula magna ha ascoltato con attenzione la relazione del Vicepresidente, dott. Bruno Andò, che ha ripercorso le tappe più importanti della giovanissima, ma attiva, Associazione (tra cui la creazione del portale internet di riferimento – www.bacodirame.it – l’avvio di collaborazioni con enti, associazioni e club di servizio, e l’organizzazione di eventi), e ne ha ricordato gli obiettivi: «fornire assistenza informativa, logistica e, ove necessario, economica ai bambini con malattie metaboliche rare e alle loro famiglie, promuovere e supportare la ricerca in questo settore puntando sulle moderne forme di comunicazione e sull’imprescindibile contatto umano»

«Il programma per l’anno 2010 è molto ambizioso – ha sottolinato la dott.ssa Arianna Ragusa – e  prevede l’ampliamento del nostro portale, l’organizzazione di eventi a scopo di beneficenza e la stesura di progetti finalizzati alla diffusione dell’informazione e al sostegno dei malati e delle loro famiglie».

 Di particolare interesse è stata la relazione del prof. Giovanni Sorge, Direttore del Centro di Riferimento Regionale per le malattie Metaboliche dell’Infanzia del Policlinico catanese, al quale è affiliata l’Associazione.

Dopo un’attenta e rigorosa analisi delle cause e della sintomatologia di alcune malattie mataboliche ereditarie, il Docente si è soffermato sulle attività del Centro, Componente primario del gruppo “Euroglycan” e Centro di riferimento nazionale per le malattie da deficit di glicosilazione delle proteine (Sindromi CDG) e, che attualmente assiste 340 pazienti, ma che prende in carico tutti i neonati siciliani positivi per la PKU, promuovendo in particolare la ricerca scientifica applicata alla clinica.

A concludere l’incontro è stata la presentazione del libro del prof. Alfio Ragusa Un cavallo che guida una macchina! illustrato da due lettori d’eccezione: il prof. Giuseppe Paxia e il dott. Antonello Scacco.

Un libro intelligente e divertente allo stesso tempo, che racconta le “avventure matematiche” di un nonno e del suo nipotino, impegnati nella soluzione di problemi matematici complessi: il problema posto da un re assiro sui chicchi di grano sulla scacchiera, quello del diciassette cammelli, la congettura di Goldbach e così via. Vere e proprie «lezioni elementari di matematica avanzata».

L’intero ricavato della vendita del libro sarà devoluto all’Associazione, mentre la Stamperia regionale Braille-UIC di Catania, diretta dal dott. Pino Nobile, si farà carico di stampare il volume in braille per donarlo ai bambini ipovedenti o non vedenti dell’intera provincia.

Donne:quando le vie si colorano tutte di rosa come a Bologna


Quante donne straordinarie danno il nome alle vie delle nostre città? A Bologna è partito un curioso censimento che si tradurrà a breve in una vera e propria mappa stradale con le vie colorate di rosa. Solo quelle che corrispondono a un nome di donna. Prima di poter consultare lo stradario colorato, ci si può dilettare con l’elenco on line sul portale delle Pari opportunità della Regione Emilia Romagna e scoprire nome per nome la storia e l’essenza dell’esperienza umana di tutte quelle protagoniste al femminile a cui è stata titolata a una via nel capoluogo: da Maria Gaetana Angesi a Giovanna Alvisi Zaccherini. L’esperienza della mappatura viaria tutta al femminile è stata già estesa ad altri capoluoghi di provincia per cui si aspettano segnalazioni.

da www.intrage.it

link consigliato: http://www.allapari.regione.emilia-romagna.it/news/…-per-mettere-in-luce-la-memoria-delle-donne

“Estasi”


di Angela Ragusa

…e l’ estasi
si impadronì di noi
quando sul giaciglio
della notte
rosso passione
colorò i nostri visi
e una cascata
di sensazioni ritrovate
scosse le menti
verso desideri
mai desiderati
e piaceri mai provati

Scalammo nuove vette
calpestammo nuove orme
trascinammo ,avvinti,
i nostri corpi
divenendo terra alla terra
come lombrichi notturni
attorcigliati su se stessi.

“Cosa sognano i pesci rossi” di Marco Venturino – Oscar Mondadori


di Daniela Domenici

Sono sempre stata convinta che i libri ci chiamino, che non sia quasi mai una scelta casuale, che siano loro a farsi scegliere, basta saper ascoltare il loro richiamo…lo so, forse mi prenderete per folle ma anche “Cosa sognano i pesci rossi” mi ha chiamato dallo scaffale: tra tanti altri libri mi ha attratto con una forza magnetica tale che sono stata “costretta” a prenderlo e a leggerlo subito.

Ed è stato amore a prima vista: Marco Venturino, l’autore di questo libro che si svolge in un reparto di terapia intensiva di un ospedale qualunque, è un “addetto ai lavori”, parla da esperto: è un medico, direttore della divisione di anestesia e terapia intensiva all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano.

Questa sua opera prima, che risale al 2006 ma che a me è capitata tra e mani solo in questi giorni, è un racconto “a due voci”, quella di un medico del reparto, “la faccia verde”, e quella di un ricoverato, “i pesci rossi”, che descrivono, ognuno dal proprio punto di vista, osservatorio privilegiato, la quotidianità della vita in terapia intensiva, il decorso della malattia, il mondo esterno, la classe medica.

Il protagonista malato, Pierluigi, viene definito un pesce rosso perché essendo stato tracheotomizzato non può parlare ma solo muovere le labbra senza emettere alcun suono come un pesce rosso in un acquario e diventa un’impresa ardua per chi gli sta vicino capire cosa desidera.

E ‘ un libro duro, doloroso, commovente ma anche, in alcuni momenti, divertente, strappa un sorriso, è scritto con uno stile assolutamente avvincente pur se infarcito, com’è naturale, di termini medici specifici; i dialoghi sono, se posso usare un termine preso in prestito da un altro campo, quasi cinematografici nella loro immediatezza; i momenti più emozionanti sono, per la sottoscritta, i “flussi di coscienza” specialmente quando Pierluigi ha la febbre e inizia a delirare: superlativo.

Concludo con le parole finali dell’autore: “Vorrei solo che rimanesse addosso, a chi ha avuto la pazienza di leggere questo libro fino in fondo, un odore particolare delle cose umane. Un odore che viene fuori dalle zone di confine tra la vita e la morte, ove i silenzi della vita e i rumori della morte assumono fattezze di giganti deformi. Un odore forse fastidioso che, come spesso capita per gli odori, siamo tentati di cancellare dalla nostra vita di tutti i giorni. Ma questo odore c’è e io ho cercato di farlo annusare. A chi mi legge decidere se ci sono riuscito bene o male. A tutti l’augurio di non fiutarlo più da vicino”.

Firenze: ragazzini sparano pallini di gomma ad un conducente di autobus


Pubblico questo articolo di cronaca solo perchè …mi riguarda da vicino: l’autobus della linea 9 è quello su cui ho viaggiato per ben 16 anni,  è quello che passa sotto casa mia e che porta alla stazione, complimenti alla professionalità e al sangue freddo di questo autista dell’ATAF 🙂

Un gruppo di ragazzini di dodici anni hanno preso di mira a Firenze l’autista impegnato nella guida dell’autobus numero nove. I minorenni lo hanno bersagliato sparandogli contro alcuni pallini di plastica dura.

È successo questa mattina alle undici; la bravata è stata interrotta da alcuni agenti della polizia municipale di Firenze.

L’autista ha fermato il mezzo e ha fatto salire a bordo gli agenti per consentire l’identificazione dei responsabili: la ‘punizione’ è stata il sequestro della pistola giocattolo.

Duro il commento del presidente di Ataf, Filippo Bonaccorsi: «Una vicenda incredibile. L’autista ha avuto un comportamento impeccabile: non ha interrotto il servizio, ha mantenuto la calma continuando a guidare fin quando ha incrociato la pattuglia dei vigili. Ancora una volta ha dimostrato la grande professionalità del personale Ataf che spesso si trova a lavorare in situazioni delicate. Spero di non dover mai modificare la targhetta ‘vietato parlare al conducente’ in ‘non sparate al conducente’ ».

da www.blitzquotidiano.it

Cassazione: diffamazione criticare donne in quanto tali


Le donne non possono esser criticate solo per la loro appartenenza al genere femminile e non si puo’ dire che, ad esempio, in un determinato posto di lavoro, sarebbe meglio sostituirle ”comunque, con un uomo”. Le critiche nei confronti delle donne, sganciate da qualunque riferimento a fatti specifici e riferite solo al ”dato biologico”, sono lesive della dignita’ della persona e si pagano con la condanna penale ed il risarcimento dei danni. Lo sottolinea la Cassazione confermando la condanna per diffamazione nei confronti di un giornalista e di un sindacalista per le critiche di genere che avevano rivolto alla direttrice del carcere di Arienzo (Caserta).

La Suprema Corte ha ritenuto diffamatorio un’intervista pubblicata su un quotidiano locale di Caserta nel giugno 2002, intitolata ”Carcere: per dirigerlo serve un uomo”. Gia’ di per se’ il titolo e’ stato ritenuto, sicuramente, offensivo e offensivo e’ stato ritenuto un passaggio dell’intervista fatta dal giornalista Antonio C. ad un sindacalista della Cisl, Luciano D.M. che, parlando della
situazione del Carcere di Arienzo diceva che per la struttura, diretta da Carmela C., ”sarebbe meglio una gestione al maschile”, senza ancorare questa affermazione a nessun elemento oggettivo. Senza successo il giornalista ed il sindacalista hanno invocato il diritto di cronaca e quello di critica sindacale. Chiedendo di essere assolti e di annullare il verdetto emesso dalla Corte d’Appello di Salerno nel febbraio 2009. 

”Correttamente – scrive la Cassazione nella sentenza 10164 – i giudici di merito hanno ritenuto che la frase ‘sarebbe meglio una gestione al maschile’, attribuita al sindacalista, e’ oggettivamente diffamatoria ed e’, da sola, idonea ad affermare la responsabilita’ sia dell’intervistato che dell’intervistatore”. La Cassazione aggiunge che ”si tratta di una dichiarazione certamente lesiva della reputazione della direttrice del carcere trattandosi di un riferimento assolutamente gratuito, sganciato dai fatti, e che costituisce una mera valutazione, ripresa a caratteri cubitali nel titolo, nel quale si puntualizza proprio la  necessita’ (sottolineata dal verbo servire) di affidare la direzione del carcere, comunque,ad un uomo”. ”In sostanza, la critica che viene mossa alla direttrice – continua la Cassazione – e’ sganciata da ogni dato gestionale ed e’ riferita al solo fatto di essere una donna, gratuito apprezzamento contrario alla dignita’ della persona perche’ ancorato al profilo, ritenuto decisivo, che deriva dal dato biologico dell’appartenenza all’uno o all’altro sesso”. 

Giornalista e sindacalista sono stati, dunque, condannati per diffamazione e a risarcire alla direttrice 3500 euro come riparazione pecuniaria oltre ad un risarcimento danni di 7000 euro. Nell’articolo il cronista aveva fatto un generico riferimento ad una protesta, dell’agosto 2000, dei detenuti del carcere di Arienzo e alla lettera che essi avevano scritto denunciando le cattive condizioni di detenzione ricollegando il permanere di questo stato di cose alla presenza della direttrice dell’istituto penitenziario senza verificare alcunche’.

fonte ANSA

Basterebbe poco per sistemare tutto, democraticamente


  di Simone Mariotti

Se non fosse un dramma della democrazia la cosa sarebbe pure divertente.

Riepiloghiamo. La prima cosa da fare è stabilire, solo per dovere di cronaca, il numero di ore che ha impiegato la settimana scorsa il ministro Maroni per rimangiarsi la parola. A casino elettorale scoppiato, prima di sapere che qualche problemino ci sarebbe stato anche in Lombardia, e quindi anche alla Lega, Robertino bello baldanzoso faceva il saputello della legalità: “Escludo l’intervento del governo”, e già si fregava le mani a vedere il Pdl lì a scannarsi, mentre nell’empireo nord leghista tutto splendeva. Sul calare del sole si scopre ahimè che compare Formigoni, formichin formicando, qualche pasticcino l’aveva fatto pure lui. Non solo, ma oltre a parlare in politiches-geroglifico attaccando pure lui i radicali, questa volta di “vandalismo” (dopo le accuse poveriniane di squadrismo, dal ridicolo passiamo al grottesco), non si lascia sfuggire un’accusa ai leghisti inetti, rei di avergli fatto avere solo 300 firme, che poi si son trovati nelle pesche perché se ne aspettavano almeno 500. Timbro qua, timbro là, scatta in quel di Roma il più classico dei “Contrordine compagni”.

 Roby è crucciato: “Accidenti, peccato, potevamo far quelli tosti e puri e invece ci tocca a fare una figura da cioccolatai alla romana, pazienza”. Squallegia qua, squalleggia là, ecco che il decreto è bello che sfornato per un vero bel week end da leoni.

 Tuttavia il Formigoni la spunta da solo senza il decreto.

“Accidenti!”, pensa Roby, “ci siamo fregati con le nostre mani”. Ma il nostro ministro ne sa una più del diavolo e si ricorda che lui è della Lega, quella del federalismo, e che il Lazio ha, proprio grazie al federalismo, una legge propria, inattaccabile da un decreto del governo. Scatta allora il piano B. Nel pomeriggio di lunedì prima che il tribunale si esprimesse, Maroni mette già le mani avanti per ristabilire l’ordine originale: “in caso di bocciatura del ricorso nulla si potrà fare, neanche con decreto”. E bocciatura fu.

 Tutto torna.

Resta lo squallore profondo di questo paese, di un povero presidente della Repubblica che, e non lo biasimo, deve firmare frettolosamente un decreto inutile e oltretutto mal scritto per paura addirittura di problemi di ordine pubblico. E la cosa a mio avviso più deprimente è stata la minaccia di quel campione democratico di La Russa: “siamo pronti a tutto”.

 E adesso al governo che faranno? Con il loro tatto e la loro capacità politica certamente la cosa peggiore. E dire che la cosa migliore sarebbe stata la più semplice, onesta, democratica, e dannosa solo per il loro orgoglio.

 Bastava ammettere una semplice verità: “Questo sistema di regole elettorali è antidemocratico e anche noi “grandi” ci siamo cascati. Ammettiamo i nostri errori e perdoniamo quelli degli altri. Tutti coloro che hanno tentato di partecipare a queste elezioni saranno ammessi, e subito snelliremo le procedure per far sì che in futuro non sia la burocrazia o la mancanza di autenticatori a bloccare il processo democratico. Chiediamo scusa, ricominciamo tutto, slittando di un mese la competizione per ristabilire un po’ di democrazia (anche televisiva) e la prossima volta i partiti già rappresentati nei consigli regionali o in parlamento non dovranno raccogliere le firme, e per gli altri né servirà un numero adeguato, ma non assurdo come quello di oggi, e i cittadini potranno autocertificare la propria firma, come accade per tanti atti pubblici senza la pratica feudale degli autenticatori”.

 Lo so, sarebbe comunque una immonda violazione delle regole, e quella che stiamo vivendo è una pagina oscura della democrazia italiana, ma se non altro da un provvedimento così avremmo ottenuto qualcosa di buono per il futuro.

 C’è solo un problema: se così fosse, perlomeno la fase della presentazione delle liste diventerebbe democratica. E da troppo tempo quest’ultima è una parola fastidiosa, tanto che se cerchi di diffonderla, c’è pure qualche infelice che ti dà del questurino

da www.radicali.it