Gay anche in Cosa Nostra purchè non si sappia


Mafia e omosessualità non vanno d’accordo. Non sono ammessi gay in Cosa Nostra e nella ‘ndrangheta la repressione di rapporti tra uomini e’ ferocissima. A queste conclusioni sono arrivati gli studi di Girolamo Lo Verso, ordinario di psicoterapia all’università di Palermo, e Cecilia Giordano docente della facoltà di Scienze della formazione, che sono stati presentati questa mattina al seminario di studi su “Omosessualità, omofobia e psicoterapia”, organizzato dalla cattedra di Psicoterapia della facoltà di Scienze della Formazione, in collaborazione con l’università Federico II di Napoli e “La Sapienza” di Roma. Il convegno, che indagherà su quali danni psichici può causare la convinzione, scientificamente errata che l’omosessualità sia una malattia, si occupa anche del rapporto tra criminalità organizzata e gay. “Soprattutto in Sicilia – spiega Lo Verso – rimane l’idea che nei gay ci sia qualcosa da curare, ma in realtà tutto nasce dall’omofobia, radicata anche nella cultura mafiosa. Sappiamo che una relazione omosessuale può essere perversa quanto una etero, ma consideriamo la prima in maniera molto più negativa”. Anche il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, ha parlato in un’intervista della presenza di omosessuali all’interno di Cosa Nostra: “Non si tratta di boss, ma di esponenti di medio livello”, ha spiegato confermando che la condizione di omosessuale tra i mafiosi viene vissuta con una certa paura. Negli anni passati gli studi di Lo Verso si sono focalizzati su Cosa nostra, ma ultimamente si sono estesi al mondo della ‘Ndrangheta. ”Nella criminalità organizzata calabrese – prosegue il professore – la repressione dei comportamenti gay è ancora più forte. In carcere, per esempio i malavitosi hanno l’obbligo di farsi la doccia con le mutande e di cambiarsi dietro la porta dell’armadietto. Inoltre, nelle ‘ndrine i rapporti, in molti casi, sono costituiti da legami di sangue. Sono famiglie vere e proprie, non come quelle ‘allargaté di Cosa nostra. Questo causa una maggiore attenzione perché rapporti omosessuali potrebbero essere addirittura incestuosi”. E’ ancora ignota, però, l’origine dell’omofobia in Sicilia. “La cultura mediterranea – dice Lo Verso – è sempre stata molto aperta ai rapporti omosessuali. Nell’antichità l’omofobia non esisteva. Una spiegazione potrebbe essere che tutte le culture che si sono avvicendate nell’isola, a parte i francesi, avevano tutte il culto della morte. Questi aspetti mortiferi potrebbero tendere all’oppressione, ma ovviamente questa è una pura speculazione”.

da www.livesicilia.it

Depressione, quarta causa di disabilità nel mondo


In una mozione presentata al Senato da un gruppo di senatori di opposizione e maggioranza, la richiesta al governo di impegni precisi. Per i promotori occorre individuare percorsi clinico-terapeutici distinti da quelli della restante patologia psichiatrica

una donna accucciata a terra

ROMA – La depressione è una malattia. Partendo da questa constatazione un nutrito gruppo di senatori di opposizione e maggioranza, con in testa Emanuela Baio del Pd, hanno presentato, martedì 16 in Aula al Senato, una mozione per chiedere impegni precisi al governo. Proprio in considerazione della depressione come stato patologico  – la depressione è oggi la quarta causa di disabilità nel mondo e, secondo l’Oms, sarà la seconda nel 2020 – secondo i promotori dell’iniziativa sarebbe utile individuare percorsi clinico-terapeutici distinti da quelli della restante patologia psichiatrica. La depressione – si legge nell’atto – è una patologia curabile ed esige un piano di cura personalizzato associando terapia psicologica e farmacologica.

Nella mozione si indicano quindi gli impegni che i parlamentari chiedono che siano presi dall’esecutivo: dalla sensibilizzazione della popolazione sulla depressione come patologia curabile, alla promozione delle iniziative volte a sostenere la persona depressa perché superi lo stato di vergogna e di paura, aiutandola a rivolgersi al medico di medicina generale e allo specialista; dal miglioramento dell’appropriatezza della diagnosi e della cura su tutto il territorio nazionale, al potenziamento della rete, su tutto il territorio nazionale, tra i medici di medicina generale e i centri plurispecialistici per la cura della depressione, da individuare anche al di fuori dei consueti percorsi diagnostico-terapeutici della sola psichiatria. Ed inoltre, tra gli impegni chiesti, anche quello di arrivare alla promozione di corsi di aggiornamento sulla depressione per i medici di medicina generale ed il miglioramento dell’accessibilità alla cura attraverso la disponibilità del supporto psicologico come necessaria integrazione della terapia farmacologia su tutto il territorio nazionale, con la possibilità di usare farmaci innovativi, già approvati a livello europeo e con il potenziamento degli ambulatori di supporto psicologico convenzionati con il Ssn.

da www.superabile.it

“Quando la bellezza fa male”


di Tiziana Mignosa

(Sulle note di All By Myself di Richard Clayderman)

 Ogni qualvolta l’estasi

riempie gli occhi di luccichii d’incanto

si capovolgono i sogni

inquilini inappagati

dell’età del tradimento.

 

Il bello opacizza il suo fulgore

quando il tutto con l’assente

spartendosi le botte

d’acquolina e fuliggine

inciampano sulle ore.

Di velluto a gocce cala allora

il sipario della malinconia gentile

allorché alla bellezza estirpa

l’amato gusto della gioia

e più l’assaggi e più ti senti sola.

D’agrodolce profuma

l’amato giardino non vissuto

che di continuo scinde

desideri irraggiungibili

da crude realtà tangibili.

Niente carcere, seconda settimana: riflessione sul far del bene a chi non lo merita


di Daniela Domenici

“Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi” (dal Vangelo di Matteo 7,6)

Ecco come ho trasformato queste straordinarie parole evangeliche in una filastrocca di qualche tempo fa, in tempi non…sospetti:

“…le cose sante ai cani e le perle a porci non dobbiamo dare

il nostro affetto doniamolo solo a chi ci sa apprezzare

il cuore e la mente non facciamoci calpestare

da chi non merita e non capisce come si deve amare.”

E non mi riferisco naturalmente ai detenuti (a parte uno, ma l’eccezione conferma la regola) che hanno meritato e meritano, tutti, indistintamente, il nostro affetto, la nostra attenzione, la nostra disponibilità, le nostre parole, i nostri sorrisi, le nostre strette di mano…a parte quel gentilissimo ragazzo del Senegal che proprio la mattina del nostro addio, lo scorso 10 febbraio,  mi aveva appena spiegato perché non mi poteva dare la mano: non per maleducazione, ha sottolineato, ma per una sua forte fede musulmana. E mi ha salutato con la mano destra aperta e appoggiata sul suo petto, bellissimo gesto, e così ho capito perché molti altri, prima di lui, ogni volta che mi incontravano mi salutavano con quello stesso gesto: ti saluto col cuore, selèm, pace.

Tutto questo non potranno più averlo, purtroppo, mi dispiace…mi mancano…

…sciuscràn (come ho imparato da alcuni detenuti di lingua araba), grazie di cuore a tutti voi: cattolici, evangelici, musulmani, buddisti, non importa la razza, la fede, la lingua, mi avete dato tanto, ognuno di voi nel suo piccolo, mi avete fatto crescere, e spero di aver seminato, in ognuno di voi, una goccia di gioia, di sorriso, di affetto.

Case chiuse: riapriamo il dibattito


di Luca Sepe
Il 20 febbraio del 1958 con parere contrario dei monarchici e dei missini veniva approvata dal Parlamento la legge Merlin che aboliva la regolamentazione della prostituzione in Italia e decideva la soppressione delle Case di Tolleranza.
In realtà il fenomeno della prostituzione era stato regolamentato in Italia già da tempo;senza perdersi nei tempi antichi,già nel ‘400 il Regno delle due Sicilie,sempre all’avanguardia,aveva stabilito una Reale Patente per l’apertura di pubbliche lupanare e lo stesso dicasi per la Serenissima Repubblica di Venezia.A partire dal 1860,invece, la pratica veniva estesa e legalizzata in tutto il paese.Ma proprio in quegli anni la Mafia iniziava a prosperare e a fiutare nuovi mercati.
La chiave di lettura della tanto contestata legge n.75 può essere duplice.
I puritani ritengono infatti che con tale provvedimento sia stato effettivamente fatto un passo avanti nella lotta al mestiere più antico di sempre;ma in realtà il mondo attuale è pieno di struzzi.
La seconda analisi,invece,potrebbe spiegare il motivo per il quale sia stata portata avanti con tanta caparbietà la suddetta legge;la Mafia e la Chiesa ,istituzioni da sempre influenti nella nostra scena politica,vedevano infatti di buon occhio un provvedimento del genere.E i motivi sono ovvi;infatti molti esponenti di area cattolica ritenevano che la chiusura delle lupanare fosse un dovere categorico da parte di uno stato “civile”;molto probabilmente pero’ si dimenticavano che lo Stato Pontificio era stato, negli anni addietro, all’avanguardia nel business della prostituzione.La Mafia,invece,dopo essersi distinta come promotrice dell’unità d’Italia(insieme alla massoneria inglese)e dopo aver dato una mano agli americani durante la seconda guerra mondiale(quando sbarcarono in Italia),scorsero i profitti che il business della prostituzione avrebbe potuto conferire.L’anno in cui la legge n.75 fu approvata era il 1958.L’anno in cui Lina Merlin venne eletta alla Camera dei Deputati era il 1958.Al mio paese uno piu’uno fa due.
Questo mi ricorda un po’la gioia generale che vi fu nelle carceri quando Mastella,in campagna elettorale,già parlava di indulto.E quanti voti prese in quell’annata il governo Prodi…
Attualmente si asserisce che l’esercizio della prostituzione è punibile con sanzione amministrativa(e non penale) in spazi pubblici “per oltraggio al pubblico pudore”;ma non vi è il reato di prosituzione in sé;per siffatto motivo in Italia le prostitute non vengono arrestate salvo che non siano clandestine.Ma nessuna regola sussiste per la meretrice che esercita il mestiere tra le mura domestiche; infatti se una prostituta esercita,senza essere gestita da “papponi”, in un appartamento privato non è perseguibile legalmente se non nel momento in cui viene vista accettare soldi da un cliente;in quel momento non scatterebbe un “illecito da prostituzione”ma solo un illecito fiscale.
In poche parole lo stato Italiano fa come le tre scimmiette innanzi a una tema che non si affronta o meglio,che non si vuole affrontare;non si puo’ affrontare.Oggi,come è noto,tale fenomeno è gestito dalla criminalità organizzata.In Italia battono circa 50.000 prostitute,di cui 25.000 straniere:soprattutto nigeriane, ma anche albanesi, polacche e bielorusse.,aumentate rispetto agli anni passati in virtu’dell’accrescersi dell’immigrazione clandestina;il 70 % lavora per strada e la restante parte in appartamenti;circa 10.000 sono invece le minorenni . Da 5.000 a 7.000 euro è invece la rendita mensile che ha lo sfruttatore da ogni singola prostituta;circa un miliardo e duecento milioni di euro è invece il giro d’affari annuale della prostituzione in Italia.Naturalmente:tutto in nero.Oltre a questo dato economico,vi è un’altra considerazione da fare;negli ultimi anni il numero dei soggetti affetti da malattie (tra cui l’aids)contratte da rapporti con meretrici è aumentato vertiginosamente;è questo perché,stando a delle recenti statistiche,circa il 70 % dei clienti chiede di effettuare rapporti non protetti.Visto il fallimento della legge Merlin,urge un attento punto di riflessione.Alla luce di quel che è accaduto in questi cinquanta anni è palese che il mestiere piu’ antico del mondo non possa essere eliminato,all’improvviso,con un colpo di spugna.
Quel che è certo è che,morale o immorale che sia,questo fenomeno deve essere oggetto di una regolamentazione nuova.Se si riaprissero le Case di Tolleranza(magari sotto il monopolio statale) i benefici che ne scaturirebbero sarebbero molteplici;in primo luogo si metterebbe un freno alla tratta internazionale delle prostitute,sottraendole così dal fenomeno malavitoso che le gestisce;oltre ciò,grazie a un asfissiante controllo sanitario delle ASL,si arginerebbero tutte le eventuali malattie contraibili da rapporti a rischio;inoltre l’imposizione fiscale che vi sarebbe su tale attività comporterebbe, all’Italia, benefici economici da non sottovalutare;in tal modo le prostitute si registrerebbero al fisco per pagare le tasse e avrebbero in cambio la pensione,l’assistenza sociale e quella sanitaria.Oltre ciò non ci sarebbe più il triste esercito di meretrici che,soprattutto nelle zone meno prestigiose,battono mezze nude al calar della sera per strada, tra i passanti,magari in prossimità di bambini.
Molti moralisti potrebbero non essere concordi con questo provvedimento;ma pensandoci bene,non è più degradante il vedersi in televisione vallette mezze nude che sculettano in fascia non protetta;o non è molto più squallido un programma come Miss Italia,che sino a qualche tempo fa classicava la più bella solo in base all’aspetto fisico?O vogliamo parlare dei corridoi dei Consigli Regionali o Comunali(che sembrano essere delle passerelle), che vedono sfilare vere e proprie modelle mozzafiato,piazzate ora come segretarie,ora come politici;questa non è mercificazione della donna? Ma la cosa più simpatica è sentirsi fare la morale da quei politici che sono i primi ad essere gli “utilizzatori finali”:incoerenza allo stato puro.Oggi,grazie pure alle intercettazioni, abbiamo scoperto il vizietto dei nostri politicanti,siano essi di destra quanto di sinistra.Come diceva Ronald Reagan:”la politica è stata definita la seconda più antica professione del mondo.Certe volte,però,assomiglia molto di più alla prima”.
Quel che rende la professione di prostituta degradante è il mix di sfruttamento,abuso e asservimento in cui si trovano queste donne;in alcune culture antiche,ad esempio,la meretrice era sacra.
Il fatto che si tratti del mestiere più antico del mondo,deve far riflettere.Per molti sociologi e psichiatri la prostituzione corrisponde a una vera e propria necessità sociale,imprescindibile per gli equilibri nazionali.
Negli ultimi anni spesso si è accennato a una ipotetica revisione della legge n.75 ,e a parlarne sono stati esponenti di destra(tra cui lo stesso Berlusconi), come di sinistra.Il motivo per cui nulla si è fatto e nulla si farà è semplice;porre in essere un monopolio statale in tal settore,significherebbe sfidare le Mafie,che all’improvviso si vedrebbero sfilare dalle mani un business miliardario;si aggiunga poi il gran peso che la Chiesa ha in Italia,anche grazie ai numerosi mezzi di informazione in suo possesso;indi riaprire le Case di Tolleranza significherebbe mettersi contro questi due grandi serbatoi di voti.E la cosa certamente non conviene…
In fondo,come asseriva Indro Montanelli “…era nelle Case di Tolleranza che la Fede Cattolica,la Patria e la Famiglia trovavano la più sicura garanzia…”.
Ma l’ipocrisia dilagante smentirà prontamente il mio articolo.

Niente più carcere, seconda settimana: riflessione personale su un aspetto del pianeta carcere, l’agorafobia.


di Daniela Domenici

L’agorafobia è la paura degli spazi aperti, grandi, senza confini.

Provate a immaginare cosa possa provare una persona che per circa vent’anni (e ci dovrà stare ancora per molti anni) della propria vita è stata sempre “ristretta”, chiusa in una cella di pochi metri quadri, spesso da condividere con uno o più compagni, o all’interno di un furgone della polizia penitenziaria (che è peggio di una cella), per gli spostamenti da un carcere all’altro, e poi si trova a sperimentare, per un permesso, quei piccoli gesti che a noi “liberi” sembrano normali come fare una semplice e innocente passeggiata nelle strade cittadine: il timore dell’improvviso spazio aperto senza muri di confine, del contatto con la gente alzando gli occhi da terra senza la paura di essere ancora una volta maltrattato ma solo per un sorriso e un saluto, come un uomo e non come un semplice numero dell’elenco; il poter parlare il proprio dialetto liberamente sapendo che quando c’è l’affetto, la disponibilità e l’attenzione dell’amico “libero” anche quello viene compreso; l’abbraccio fraterno come piccolo gesto di contatto fisico a lungo desiderato con quell’amico che ti porta anche a vedere il mare, un’altra distesa sconfinata che può dare agorafobia e di cui si era dimenticata la bellezza…

“Com’è profondo il mar” di Lucio Dalla

Firenze: per i disabili una città piena di ostacoli


 

divieto

FIRENZE – I disabili bocciano Firenze, una città, dicono, «non a nostra misura». Il parere, unanime, emerge dalle parole dei responsabili delle associazioni di disabili, paraplegici, non vedenti e non udenti del territorio comunale. Le difficoltà maggiori si riscontrano nel trasporto pubblico (mezzi Ataf in primis), nell’assenza di servizi igienici per disabili, nell’impraticabilità delle strade del centro e nell’inaccessibilità di molte strutture pubbliche piene di barriere architettoniche. Senza problemi, invece, i luoghi di grande utenza come stadio, palazzetti, teatri e cinema. Eccezion fatta per le piscine, dove in molte di esse mancano i seggioloni mobili per trasportare il disabili nell’acqua.Intanto, dopo che il Tar ha respinto il ricorso dei disabili contro l’inaccessibilità all’area pedonale di Piazza del Duomo, continua la battaglia tra le associazioni di disabilità e il comune. Ma i problemi, sottolineano le associazioni, non riguardano soltanto Piazza Duomo. Ecco i vari settori critici per i disabili nel capoluogo toscano.

Trasporto pubblico. L’inadeguatezza degli autobus fiorentini rimane l’ostacolo più massiccio che i disabili si trovano di fronte quotidianamente. Marco Becattini, 37enne in carrozzina che da anni si batte per tutelare i diritti dei disabili, utilizza l’autobus tutti i giorni per andare al lavoro. Ma la sua è una vera e propria epopea. «Sono pochissimi – spiega Marco – gli autobus dotati di una pedana funzionante per facilitare l’accesso alle persone in carrozzina. Quasi tutti i mezzi ne sono dotati ma gran parte di essi non funziona». Ecco perché Marco è spesso costretto a saltare la corsa ed attendere per decine di minuti («a volte anche un’ora e mezzo») il primo autobus dotato di pedana funzionante. «Se devo spostarmi in autobus, esco da casa tre ore prima» dice Marco.

«Probabilmente – spiegano i responsabili della Consulta – qualcosa potrebbe cambiare con l’impiego degli autobus entrati nella nuova flotta Ataf, ma solo a particolari condizioni. Abbiamo avuto modo di visionare le nuove pedane, che saranno a ribaltamento manuale. Esse potranno offrire pendenze accettabili solo a condizione che alle fermate siano presenti aree di calpestio che abbiano altezze almeno pari a quelle di un normale marciapiede di 15 cm su cui le rampe possano poggiare. In caso contrario, nel caso di appoggio sul piano stradale le pendenze sviluppate dalle pedane sono sicuramente fuori dalla possibilità di uso in autonomia e sicurezza».

Non vedenti. Anche i  non vedenti lamentano gravi difficoltà nel trasporto pubblico. «Sugli autobus e alle fermate – denuncia Antonio Quatraro, presidente della sezione di Firenze dell’Unione Italiana Ciechi – mancano gli annunci vocali. E’ una richiesta che abbiamo fatto all’Ataf quindici anni fa, ma i risultati, nonostante qualche tentativo provvisorio, non sono ancora arrivati». Si tratta di un servizio essenziale per i non vedenti, spesso costretti ad interpellare il vicino per sapere in che punto della città si trova l’autobus. Problemi ancora più seri per raggiungere le zone dell’hinterland fiorentino, dove nelle stazioni la stragrande maggioranza dei binari e dei sottoattraversamenti non sono abilitati.

Servizi igienici. Guai ad uscire di casa senza prima passare dal bagno. Un disabile in carrozzina che si trovasse ad avere bisogno del bagno al di fuori delle mura domestiche, avrebbe di che tribolare. «I servizi igienici comunali per disabili – spiega Michele Cirrincione, presidente della Consulta comunale Handicap – praticamente non esistono». Ma quel che risulta ancora più grave, secondo Cirrincione è il fatto che «nella maggior parte dei luoghi pubblici (dai bar ai ristoranti alle banche) i bagni non sono abilitati all’utilizzo da parte dei disabili». Secondo il presidente della Consulta Handicap «l’amministrazione comunale dovrebbe vigilare su queste carenze, visto che quasi tutti i locali pubblici hanno i regolari permessi per adeguare la loro struttura. Cosa ancor più grave – conclude Cirrincione – è l’assenza di servizi igienici alla stazione ferroviaria di Santa Maria Novella e nei dintorni di essa, dove quotidianamente transitano decine di disabili». «Una volta – racconta ancora Marco Becattini – dopo vari tentativi a vuoto in alcuni bar, sono stato costretto ad entrare in un albergo per cercare un bagno accessibile».

Centro storico. Buche, biciclette e motorini parcheggiati sui marciapiedi, macchine sulle strisce pedonali. Per i disabili le vie del centro, ma non solo quelle, assomigliano ad un percorso a ostacoli. Uno dei problemi è costituito dall’eccessiva altezza di alcuni scalini tra il marciapiede e la strada. «Non pretendiamo che ogni scalino sia dotato di una pedana per la discesa – dice Cirrincione – ma desideriamo che almeno quelli in prossimità di luoghi pubblici di grande utenza ne fossero provvisti». Nota dolosa la stazione Smn, dove, spiega Becattini, «la scalinata che dà su via Alamanni non ha facilitazioni per disabili e gli ascensori puzzano costantemente di piscio». C’è anche l’alternativa della pedana mobile nella scala mobile che conduce alla galleria commerciale ma «per azionarla sono necessari 25 minuti». Firenze è una città molto antica e gran parte dei suoi palazzi non sono riusciti a stare al passo coi tempi e ad adeguarsi alle nuove normative per i disabili. Ecco perché – dicono le associazioni interpellate – ci sono tantissimi edifici pubblici del centro inaccessibili, o perché hanno troppi scalini o perché hanno spazi troppo stretti. Nota positiva del centro sono i semafori dotati di segnaletica sonora per i non vedenti. In questo – spiegano all’Unione Italiana Ciechi – Firenze è una delle città italiane più virtuose.

da www.superabile.it

“Giù le mani da Giorgio”


di Roberto Puglisi

Raffaele Sabato era l’altro frate.
Ha un cellulare antico. Chiami, sicuro che il numero sia stato polverizzato dal cambio della scheda. Lui, Raffaele, risponde con la sua voce cavernosa. Appuntamento in via Dante. Il tavolino di un bar. L’uomo che ha diviso a metà vita e carriera con Giorgio Li Bassi, a un certo punto, piange. Gocce grosse che inzuppano la camicia.
Raffaele ha un viso bello e segnato da attore palermitano. Parla, come se Ollio parlasse di Stanlio che non c’è più. O viceversa. Parla di “Giorgio”, come se non fosse mai morto. Come se recitasse da morto. Non è morto, finge. Abbiate pazienza, aspettate la fine dello spettacolo.
“Vuoi chiacchierare di Giorgio Li Bassi, mio amico e compagno di un’esistenza?”.

Sì, Raffaele.
“Va bene. Sai, non ho fatto mente locale, come si dice. Prima o poi, ne sono sicuro, mi mancherà”.

Mancherà a tutti.
“Ho detto a mia figlia: andiamo al funerale. E lei: ma Giorgio viene? Lo immaginiamo vivo, non c’è niente da fare”.

Che tipo era Giorgio Li Bassi?
“Miiiii, camurriusu…. Un rompicoglioni”.

E che altro?
“Una persona buonissima, un poeta. Aveva un cuore immenso. Schifio!”.

Che è successo?
“Penso a uno che voleva fare un discorso al suo funerale (ieri, ndr), uno importante. Stavo per andarmene. Ora Giorgio Li Bassi sarà di tutti, mentre non era di nessuno”.

Che vuoi dire?
“Quello che voglio dire lo devi scrivere chiaro. Raffaele grida: giù le mani da Giorgio Li Bassi. Ora scatterà la gara dell’appartenenza. Era nostro, no  era nostro. La solita retorica che sappiamo”.

Giorgio Li Bassi a chi apparteneva?
“Giorgio sarà sempre del suo popolo, della gente dei rioni poveri e disgraziati. Giorgio sarà sempre del popolo palermitano. E di nessun altro”.

Non ci provate…
“Ecco, non ci devono provare. Calatevi le mani”.

Strana sorte quella degli attori palermitani. In vita, hanno successo solo oltre i confini del loro mondo. Da morti tutti diventano loro amici.
“E’ uno schifo. Noi della vecchia guardia,  io, Lollo (Franco), Paride (Benassai) Angelo (Butera) e altri, non ne possiamo più”.

E che farete?
“Qualcosa faremo. I milioni volano sopra le nostre teste. Se li spartiscono alla grande, mentre i palermitani veraci stanno a guardare. Le istituzioni se ne fottono.   E noi siamo gli storici, i veri protagonisti dello spettacolo palermitano. Ci sono progetti. Volevo coinvolgere pure Giorgio”.

Lo chiedo di nuovo: chi era Giorgio Li Bassi?
“Un poeta. Era Giuseppe Schiera, il poeta dei poveri. Con lui si era reincarnato”.

Quando vi siete parlati l’ultima volta?
“Sabato scorso l’ho cercato. E lui ha cercato me. Sono entrato in un panificio. Il titolare m’ha detto: vinni Giorgio, circava a tia. Siccome non ti ha trovato, si è catafottuto mezza teglia di sfincione”.

Era fatto così.
“Entrava nei bar, pigliava un cucchiaino e cominciava a gustare tutti i gelati. E il barista non sapeva se ridere o arrabbiarsi. Ma come potevi arrabbiarti?”.

Come si poteva?
“Quando abbiamo messo su il nostro locale (il Convento, ndr) volevamo sistemare tutto. Lui è andato da un amico: me lo regali un po’ di ducotone per una stanzetta? Al secondo camion l’amico fa: Giorgio, ma quant’è ’sta stanzetta?”.

Non ti annoiavi mai con lui.
“Mai. La sai quella del cane?”.

Non ancora.
“Giorgio prese un cane. Bianco, peloso, grande e bruttissimo. Lo curava, lo portava in giro. Ne era orgoglioso. Poi il cane sparì”.

Sparì?
“Sì, lo cercammo per due settimane. Un giorno vedo Giorgio sconsolato, con la guancia sulla mano. Gli dico: che c’è?”.

E lui?
“E lui mi guarda e fa: sono triste per il cane. Pi mmia u’  scanciaru pi pecora. E su manciaru”.

E Raffaele spalanca il suo viso. Gocce di risata cadono sulla camicia e sul caffè. Sibilano e scoppiano, dove c’erano le lacrime.

da www.livesicilia.it

In transiberiana con un click, ascoltando Tolstoi


MOSCA  – Un viaggio virtuale completo sulla leggendaria transiberiana ammirando dal finestrino gli strepitosi paesaggi russi e ascoltando, a scelta, il magico sferragliare del treno, canzoni tradizionali con la balalaika ma anche la lettura in russo di Guerra e pace di Tolstoi o le Anime morte di Gogol. La nuova, ambiziosa iniziativa è stata lanciata da Google, in collaborazione con le Ferrovie russe, per trasformare l’epico viaggio in una avventura a portata di mouse, con la speranza ovviamente di aumentare anche il numero dei viaggiatori veri. Se il numero di passeggeri andrà a traino dei cibernauti, le Ferrovie russe dovranno aumentare sicuramente il numero dei convogli: in soli quattro giorni oltre 73 mila persone hanno cliccato sul sito, un capolavoro di innovazione tecnologica.

L’utente, partendo dalla stazione moscovita di Kazan, può seguire dal finestrino l’intero viaggio di sei giorni sino a Vladivostok, sulla ferrovia più lunga del mondo: 150 ore di filmato lungo 9.259 km attraverso sette fusi orari, 12 regioni e 87 tra città e villaggi, contemplando in alta definizione su un supporto Youtube montagne, steppe, grandi fiumi come il Volga, insediamenti siberiani e dell’Estremo Oriente. Ma è possibile anche selezionare le tappe preferite e scendere lungo il percorso per esplorare i dintorni, visualizzando sempre il tragitto del treno in rilievo o dal satellite.

Cuore del viaggio il lago siberiano Baikal, la più grande riserva d’acqua dolce del mondo: quando il convoglio supera una curva e improvvisamente si apre l’immensa e scintillante distesa azzurra delle sue acque cristalline, tradizionalmente si brinda con vodka e aringhe affumicate ai passeggeri che seguiranno. Certo, il viaggio su internet toglie l’irripetibile esperienza degli incontri con i passeggeri più stravaganti, ma può essere un buono stimolo. Google ne ha sicuramente anche un altro: scalare posizioni nel redditizio mercato russo dei motori di ricerca, dominato da Yandex.

fonte ANSA

Arte: New York scopre l’arte sottovalutata di Viola Frey


Viola Frey è un’artista che merita maggiore attenzione, di critica e di pubblico, di quanto finora le sia stata attribuita, sostiene, il New York Times. Le ragioni della sua relativa anonimità oscurità dipendono forse dalla sua «insularità». Frey, che è morta nel 2004 all’età di 70 anni, ha passato la gran parte della sua vita tra le mura, quanto meno  ideali e psicologiche, di San Francisco.

In questi giorni il Museo di Arte e Design di Manhattan espone una retrospettiva dell’artista dal titolo «Bigger, Better, More: The Art of Viola Frey » («Più grande, migliore, di più: l’arte di Viola Frey»). L’esibizione è stata organizzata congiuntamente del Racine Art Museum del Winsconsin e dal Gardiner Museum di Toronto. Per i non iniziati, questa mostra è senz’altro la migliore occasione per fare il proprio ingresso nell’universo artistico di Viola Frey.

Frey appartiene ad una generazione di artisti americani che hanno reso la scultura in ceramica una componente riconosciuta dell’arte contemporanea degli anni 60 e 70. Nei tardi anni 50 fu Peter Voulkos a iniziare il cambiamento. Con i suoi lavori dalle forme crude e non figurative, influenzati dallo spirito dell’espressionismo astratto, ispirò la produzione successiva di artisti come Robert Arneson, Ken Price e, più tardi, Viola Frey.

Una delle cifra caratteristica dell’arte della californiana è la monumentalità. Nei corridori del museo si allineano gigantesche sculture in ceramica di donne e uomini alte 3 metri e più. Portano completi da lavoro, cravatte, vestiti qualunque. In un alchimia misteriosa coniugano una sinistra e imponente presenza e una goffaggine da cartone animato.

Lo smalto che li ricopre giustappone violentemente colori stridenti. I colossi di Gray sembrano così formati da un crudo accoppiamento di blocchi di pietra. A causa delle loro espressioni di irritazione e disappunto, per il visitatore che si aggira in mezzo a questi moderni ciclopi nasce la sensazione infantile di un bambino circondato da adulti risentiti da misteriosi e incomprensibili problemi.

Attraverso questo realismo magico, kitsch e colossale, la Grey riesce ancora oggi a imporre la sua personalità artistica. La californiana ha anche lasciato una traccia personale e ironica in due sculture qui esposte. « Double Self » (1978) è una coppia di due ritratti gemelli dell’artista rappresentati con i capelloni anni 70, sandali, e le mani in aria. In « Baby in Bay Carriage» (1975-1999) si immagina come un enorme e comico poppante che sonnecchia in un passeggino.

L’unica nota negativa di questo evento importante per la riscoperta di un’artista poco conosciuta è l’allestimento della mostra. Le sculture sono infatti disposte in maniera poco valorizzante, a volte accostate ai muri, impedendo così ai visitatori di ammirarle a 360 gradi, a volte allineate come una fila di sospetti, facendone perdere così la primitiva potenza evocatrice.

da www.blitzquotidiano.it