Per un attimo…uno strappo nel tempo (Sulle note di “Moment of peace” di Gregorian )


  di Tiziana Mignosa

 Ti ho vista

nell’incrocio fulmineo

l’abisso impetuoso dei nostri occhi

si è fuso

è diventato oceano di quiete

ma è stato solo un attimo.

Leggiadra e accattivante

senza scarpe e con in mano

infiniti arcobaleni

t’insinuavi furtivamente

tra le pieghe sgualcite

di quel niente travestito di tutto

della mia misera  prigionia

chiamata terra.

Nascosta in quel tanto di nulla

che scorreva via impetuoso

e lentamente lesto

sei fuggita via

fino a scomparire all’orizzonte di fuoco

dei miei irraggiungibili sogni.

Come albore per falene avide

tra bambocci di pezza dal cuore di ghiaccio

disperatamente

t’ho cercata dove non potevi essere.

Le mani mie protese

sui tuoi languidi sogni leggeri come vele

luce accecante nella buia notte

ti hanno condotto a me.

Catturata

per un attimo appena

dal mio pensiero a te rivolto

sfidando l’infinito

nel finito sei precipitata…

sei arrivata qui.

Splendido

il dono vissuto in un istante

poi sei andata via

adesso

è tempo d’altro

Niente carcere, settimo giorno: il tam tam di radio carcere funziona!!!


di Daniela Domenici

Che bello sapere che si è diffusa la voce tra le varie sezioni che da sette giorni non siamo più volontari in quel carcere e non per nostra volontà…

come in una sorta di tam tam umano, un passaparola, che dimostra quanto affetto abbiamo “seminato” in questi due anni, quanto siamo stati apprezzati e amati, pur nel nostro piccolo, da coloro a cui il nostro volontariato era diretto…

che bello scoprire questo attraverso le parole di uno di loro che, pur non trovandosi nelle condizioni ideali per scrivermela, mi ha fatto arrivare oggi una lettera in cui mi dice, parole testuali che copio, “…poi mi sono informato se venivi al cineforum e mi dissero che non ti vogliono più far entrare qui in carcere perché mantieni troppi contatti con noi reclusi; così io ho pensato che anche la posta a te indirizzata viene bloccata…

Grazie, ragazzi, mi mancate tutti, spero vi arrivi il mio pensiero affettuoso…

Una scomunica per i politici che “votano contro la morale cattolica”


di Fabio Chiusi

Il bestiario degli orrori su Pontifex sembra non volersi arrestare. Dopo l’ennesima intervista rilasciata da Francesco Bruno (quello che considera gli omosessuali dei “deviati”, “malati”, “anormali”, “patologicamente diversi”; insomma, una “lebbra etica”), che questa volta si spinge a considerare l’esibizione del proprio amore gay come passibile del reato di atti osceni in luogo pubblico (del resto, i suoi teoremi sarebbero dimostrati dal fatto che “se qualche genitore ha un figlio gay, grida come é legittimo che sia, alla disgrazia”), tocca a Monsignor Vincenzo Franco, Vescovo emerito di Otranto, affermare:

Penso che la Chiesa dovrebbe seriamente meditare e valutare che l’istituto della scomunica non è sbagliato e va adottato anche se impopolare, specie con quei cattolici, parlo dei politici, che votano leggi contrarie alla morale cattolica, pensi alle leggi che riconoscano unioni gay o l’aborto.

Leggi che immediatamente dopo vengono definite “assurde e crudeli“. In chiusura, lo sfogo:

Verso gli omosessuali va usata misericordia, ma con altrettanta fermezza va detto che la pratica di questi atti assolutamente abominevoli è aberrante, una lebbra, e se ci cadi non ti rialzi più. Siamo in presenza di atti che vanno contro natura, violano la natura umana e rendono l’uomo un essere  sgradito a Dio. Sarebbe auspicabile maggior fermezza da parte dei vescovi che ultimamemente, non per colpa loro, ma di un sistema di pensiero unico, hanno tollerato troppo. E’ arrivato il momento di parlare chiaro e di dire le cose come stanno. Chi in casa sua fa quello che si pensa, ovvero atti aberranti, sia scomunicato e basta.

Altro che Tartaglia. Eppure non un mezzo di informazione che ne parli, né un politico di area cattolica che prenda le distanze. Forse dovremmo creare un gruppo su Facebook: “l’omosessualità è una lebbra”, oppure “i gay sono malati”. Solo allora ci sarebbe la speranza che Corriere, Repubblica, Tg1 e Porta a Porta si destino dal “sonno dogmatico”.

da www.ilnichilista.wordpress.com

Solo Flavia Pennetta va avanti nel torneo WTA di tennis di Dubai


di Daniela Domenici

Si è appena concluso il terzo dei match odierni al torneo WTA di tennis a Dubai in cui hanno giocato le nostre atlete la Schiavone e la Garbin sono state sconfitte dalle rispettive avversarie poco fa mentre Flavia Pennetta ce l’ha fatta a superare abbastanza agevolmente, la tedesca Andrea Petkovic in due soli set col punteggio finale 6-3 6-3 in 1h 13’ di gioco.

Niente di rilevante da segnalare in questo match  parte l’elevato numero di double fault della nostra tennista, 5 contro i 2 della Petkovic, che però non hanno inficiato l’ottima prestazione della Pennetta, n°11 in classifica, che rimane l’unica azzurra in gara a Dubai e affronterà la polacca Agnieszka Radwanska, n°9 del ranking mondiale: sarà un bel match!!!

Niente da fare per la Schiavone e la Garbin al torneo WTA di tennis a Dubai


di Daniela Domenici

Si è appena concluso il match tra l’azzurra Francesca Schiavone e la bulgara Olga Govortskova vinto da quest’ultima in soli due set col punteggio finale di 6-4, 6-4 in 1h 29’ di gioco.

Sia il primo che il secondo set sono stati caratterizzati da molti break points e contro break, in un susseguirsi di servizi “rubati” ma purtroppo per la nostra 29enne atleta non c’è stato niente da fare, ha dovuto cedere la vittoria del match alla più giovane collega bulgara.

E da pochi minuti si è concluso anche quello tra l’azzurra Tathiana Garbin e la russa Anastasia Pavlyuchenkova che dopo tre set molto combattuti ha avuto la meglio sulla Garbin col punteggio finale di 4-6, 6-1, 6-2 nel tempo complessivo di quasi due re per l’esattezza 1h 55’ 47”.

Speriamo che almeno la Pennetta ce la faccia a proseguire il turno, aspettiamo l’esito del suo match in corso con la tedesca Petkovic.

Carnevale a Regalbuto (EN)


di Daniela Domenici

Oggi è l’ultimo giorno di Carnevale, il “martedi grasso” che conclude questo periodo, e ho sentito l’esigenza, direttamente dal cuore, di dirvi qualche parola su come festeggia il Carnevale una cittadina dell’interno della Sicilia che, quando arrivi da Catenanuova, dopo l’ultima curva, ti appare come un presepe incastonato nella montagna: è Regalbuto in provincia di Enna al confine con quella di Catania.

A Regalbuto ho vissuto dal novembre ’84 al luglio ’88, quindi molti anni fa, eppure è come se fosse successo ieri tanto è stato l’affetto, l’accoglienza calorosa e spontanea che mi hanno tributato, sin dal primo istante, tutti i regalbutesi indistintamente e che porto ancora dentro il cuore come un regalo prezioso.

Regalbuto, per chi non lo sapesse, ha un Carnevale stupendo, inimmaginabile per una cittadina così piccola eppure così formidabile nel creare, ogni anno, una sfilata di Carnevale che non ha nulla da invidiare a quelli di città più grandi sia in Sicilia che nel resto dell’Italia.

La sfilata carnevalesca percorre il corso “d’o chianu ‘a chiazza”, dalla piazza delle Palme alla piazza del Duomo, con enormi e stupendi carri mascherati che sfiorano i balconi delle case antiche, con formidabili e numerosi gruppi mascherati a tema, con quadriglie e balli che durano tutto il pomeriggio fino alla sera quando, riuniti tutti nella piazza davanti ai balconi del Municipio, attendono con ansia il verdetto sul vincitore di ogni categoria.

Viaggio all’interno di una struttura penitenziaria siciliana: l’OPG di Barcellona Pozzo di Gotto


di Daniela Domenici

Non finirò mai di ringraziare l’on. Rita Bernardini, nuovamente in sciopero della fame da due settimane per sensibilizzare il mondo politico sui problemi del pianeta carcere, che mi ha dato l’onore, in qualità di sua collaboratrice, di visitare, all’inizio di dicembre del 2009, tre diversi istituti penitenziari siciliani fornendomi così gli elementi di prima mano, e non “relata refero”, per valutare la situazione in queste strutture detentive e potervene parlare.

Questo incipit mi è stato necessario per dirvi due parole sull’OPG di Barcellona Pozzo di Gotto in provincia di Messina che ho definito, nel titolo, un esempio non perfetto di gestione di un penitenziario ma certo ma che si avvicina molto alle parole dell’art. 27 della Costituzione che parlano di rieducazione, reinserimento, attenzione al detenuto , a maggior ragione se è anche malato psichicamente.

OPG vuol dire “Ospedale Psichiatrico Giudiziario”, termini che, anche a chi non è avvezzo ai termini giuridici, richiamano alla mente persone che non solo hanno commesso reati ma che sono anche disturbate psicologicamente, quindi due elementi di patologia nello stesso individuo e, di conseguenza, ancora più difficoltà nel gestirlo.

Ecco cosa ho scritto “a caldo”, appena rientrata da quella visita, e che confermo oggi, a distanza di due mesi, soprattutto dopo aver dovuto sperimentare, pochi giorni fa, sulla mia pelle un esempio di direzione…trinitaria “non illuminata” (sottolineo il dato che quando siamo entrati all’OPG era una domenica sera di giorno di festa, 8 dicembre,  e i due dirigenti erano, naturalmente, a casa loro):

Siamo poi entrati, non attesi e quindi contando sull’effetto sorpresa, nel Ospedale Giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto. Sin dall’inizio, nonostante appunto non fossimo attesi, siamo stati accolti dagli agenti di polizia penitenziaria con molta cortesia e calore; hanno subito chiamato sia la loro dirigente che il direttore della struttura che hanno risposto con dovizia di particolari e infinita ed estrema gentilezza a tutte le domande poste dall’on. Bernardini per poi farci visitare i vari settori di questa struttura. Entrambi i dirigenti hanno lamentato la forte carenza di personale e, per contrasto, l’aumento del numero dei ricoverati passato da 190 a 320 perché molti vengono mandati a Barcellona dagli altri OPG italiani. Il direttore di questa struttura è uno psichiatra, l’unico tra tutti i direttori, come ci ha dichiarato, con questa laurea specifica e consona al tipo di detenzione di persone con problemi mentali. Abbiamo positivamente notato con quanta attenzione e ascolto sia i due dirigenti che gli agenti di polizia penitenziari si pongono verso queste persone; all’interno della struttura ci sono spazi di socialità “sotto i portici”, come ci ha detto il direttore, e sono stati creati anche luoghi “verdi” in mezzo agli alberi di agrumi per dare la possibilità di colloqui privati con i familiari. Una buona parte degli edifici è in ristrutturazione, si sta creando anche un reparto femminile perché è previsto l’arrivo di una decina di detenute malate.

Concludo con una frase che il direttore mi ha detto, all’esterno dell’OPG, quando gli ho fatto i miei complimenti per come lui e i suoi collaboratori gestiscono questo ospedale :”Grazie ma è dura, davvero dura

“SAGHE E SEGHE col senno e con la mano” al Teatro del TRE a Catania


Gaetano Lembo, autore, attore  e regista,  porta in scena “Saghe e senne col senno e con la mano” in prima assoluta dal 18 al 22 febbraio al Teatro del Tre con il patrocinio della Facoltà di Lettere di Catania: è una sua riduzione teatrale dell’omonimo testo ideato come scherzo letterario da quattro amici, Luigi Capuana, Federico De Roberto, l’avvocato Francesco Ferlito e l’editore Michele Galatola, uno spettacolo nato anche grazie al lavoro di ricerca della prof.ssa Sarah Muscarà, curatrice della riedizione per l’Istituto di Storia dello Spettacolo Siciliano, e all’avv. Enzo Zappulla, suo marito.

Questo “libello” scherzoso fu edito in soli quattro esemplari, uno per ciascun autore e uno per l’editore, con la decisione da parte dei quattro di bruciarlo dopo la sua pubblicazione ma, grazie al mancato rispetto dell’accordo da parte di Ferlito, il testo è giunto fortunatamente fino ai nostri giorni.

Infarcite di eleganti oscenità, irriverenze e doppi sensi sono le odi, le epistole e i sonetti che  danno vita a questo testo e che ci danno un’immagine del privato, del personale, dei viaggi a Roma e degli incontri all’Hotel Musumeci di Catania, dei pranzi e delle ‘sbirciatine alle servotte’, della passione per l’Oriente di De Roberto, dela propensione alla burla di Capuana, dela divertita partecipazione al progetto di Ferlito e della passione e goliardica accondiscendenza di Galatola, insomma, della vita di quattro uomini. Si respira un’aria di quotidianità e di sincero spirito di vicendevole ammirazione, attraverso la penna dei quattro amici riusciamo a intravedere la Catania fine Ottocento.

In scena, oltre a Gaetano Lembo nei panni di Capuana, il collega, attore, autore e regista, Nicola Costa,  (prossimamente in scena, sempre al Teatro del Tre, con il suo Ritratto di un’isola) interpreta De Roberto mentre nelle vesti dell’avvocato Ferlito si cala Giuseppe Balsamo, giovane talento cresciuto alla Scuola di recitazione dello Stabile di Catania.

Le brave Simona e Brunella Manuli, allieve dell’Accademia di recitazione dello stesso Teatro del Tre di cui Lembo e Costa sono docenti, completano il cast ricoprendo i ruoli delle due narratrici-cameriere.

La programmazione del Td3 continuerà con lo spettacolo ‘La neve era sporca’, ospite da Roma, scritto e diretto da Daniele Scattina con Sarah Polito il 27 e 28 febbraio.

Niente carcere, settimo giorno: “Il brigante e le api”, breve fiaba di Carmine dal carcere di Augusta


In attesa che mi arrivino altre lettere con fiabe, poesie, riflessioni e sfoghi dal carcere di Augusta ma anche da quello di Spoleto, pubblico nuovamente questa fiaba deliziosa di Carmine, originario della provincia di Salerno.

C’era una volta un brigante cattivissimo, faceva paura a tutti. Scorazzava per i monti e la campagne ed era solito aspettare i viandanti su un ponte che attraversava un fiume.

Derubava chiunque gi capitasse a tiro e se quei poveri sventurati si opponevano lui faceva loro del male.

Durante una delle sue scorrerie capitò in un campo dove una povera vedova aveva un’arnia da cui prendeva del miele per fare i dolcetti ai suoi bambini.

Il brigante da lontano vide che, quando la donna prelevava il miele dalle arnie, le api non le facevano nulla e pensò che anche lui potesse farlo.

Il brigante già si leccava i grandi baffi che aveva al pensiero del miele saporito che avrebbe rubato. Si fece avanti con aria minacciosa ed urlò tanto che la povera vedova ed i suoi bambini scapparono di corsa.

Allora il cattivone si avventò sull’arnia cercando di distruggerla per impadronirsi del miele saporito, ma le api inferocite lo attaccarono in gruppo e cominciarono a pungerlo dappertutto e mentre lui correva loro lo pungevano sempre di più finché raggiunse il fiume e vi si buttò dentro.

Solo l’acqua lo salvò dall’ira dello sciame d’api!

Passò del tempo ed il brigante ripensava spesso a quanto gli era accaduto, cercando di capire il perché le api lo avessero aggredito con tanta forza, mentre alla donna non facevano nulla.

Così si recò di nuovo verso il campo della vedova per chiederlo direttamente a lei. La poverina, quando lo vide, terrorizzata, cercò di scappare via, ma stavolta il brigante fu più lesto di lei, la raggiunse e la bloccò.

Con tono minaccioso le chiese: “Adesso devi dirmi perché tu prendi il miele e le api non ti fanno nulla, mentre a me, per aver cercato di prenderne un po’, mi hanno inseguito e punto dappertutto; mi sono salvato solo perché ho raggiunto il fiume”.

La povera donna era tremante di paura, temeva che dicendo la verità il brigante si arrabbiasse e le facesse del male ma, soprattutto, temeva che ne facesse ai suoi bambini.

Spaventata dalle minacce si decise a parlare e con tono calmo e gentile disse :”Dunque, brigante, devi sapere che le api mi permettono di prendere un po’ del loro miele perché io le curo, poi, quando vado a prelevarlo lo faccio con delicatezza e capiscono che non voglio far loro del male. Tu, invece, hai buttato l’arnia per terra e loro si sono arrabbiate”.

Il brigante, non abituato a dare né a ricevere gentilezze, non riusciva a capire e no le credeva, così lei gli mostrò come fare.

Il rude brigante, con gentilezza, si avvicinò all’arnia e prelevò del miele, le api si allontanarono e poi ritornarono senza fargli alcun male.

Ripensò a tutta la sua vita scoprendo che non esisteva solo il suo modo cattivo di vivere.

Pensò che :”se le api capiscono che anch’io posso essere buono, allora anche gli uomini possono capirlo”. Queste considerazioni fecero sì che cambiasse, comportandosi in modo gentile.

Da quel giorno del cattivo brigante non si sentì più parlare.

Egli divenne buono e decise di rimanere con la vedova ed i suoi bambini per aiutarli nel loro duro lavoro nei campi.