Spoleto: si impicca detenuto 29enne; il settimo suicidio del 2010


Settimo suicidio nelle carceri italiane dall’inizio dell’anno: Ivano Volpi, detenuto di 29 anni, si è impiccato nel reparto infermeria del carcere di Spoleto. Settimo suicidio nelle carceri italiane dall’inizio dell’anno: Ivano Volpi, detenuto italiano di 29 anni, si è impiccato nel reparto infermeria del carcere di Spoleto. L’uomo – secondo quanto si è appreso – sarebbe stato arrestato lo scorso 16 gennaio per reati di resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento. Secondo le prime informazioni, Volpi, con precedenti penali, sarebbe stato processato per direttissima e poi trasferito nel carcere di Spoleto.

Nel giro di 20 giorni, dunque, sono già sette i detenuti che hanno deciso di farla finita nelle sovraffollate carceri italiane per il quale la settimana scorsa il Consiglio dei Ministri ha dichiarato lo stato di emergenza. Proprio martedì 19 gennaio, presso il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria si è tenuta una riunione, presieduta dal capo del Dap, Franco Ionta, con all’ordine del giorno il rischio suicidi nelle carceri italiane. Nel corso della riunione si è deciso di impartire a breve delle direttive affinché si possa offrire maggiore assistenza psicologica ai detenuti che ricevono in carcere notizie negative quali, ad esempio, malattie di familiari, separazioni matrimoniali, oppure condanne definitive.

da www.ristretti.it

Emma Bonino diventa Emmatar


Emma Bonino come Jake Sully, il marine paraplegico che, nel film Avatar, viene scelto per infiltrarsi tra gli abitanti del pianeta Pandora e conquistarli. Il tutto narrato in un trailer, sulla falsa riga del film di James Cameron, in cui la vice presidente del Senato viene descritta come un organismo dal DNA politico combinato con quello della gente comune.

“Potrai impegnarti in qualcosa di imortante e decisivo. Sully è un ragazzo che ama il lavoro duro, puo’ superare ogni test”, dice la voce narrante: “Signori è la nostra ultima possibilità, qui c’è una popolazione che ci odia, sarebbe impossibile convincerla”, dice ancora la voce con riferimento alla diffidenza montante nei confronti della politica. “Dal regista de Il Divorzio, L’Aborto, Obiezione Civile”, termina il video: “Emmatar”, seguito dal simbolo della Lista Bonino-Pannella.

Ecco lo spot ideato dalla rete dei radicali

da www.affaritaliani.it

Genova: morto Vincenzo Curia, cronista da Guinness dei primati


Se esistesse il Guinness del , un primato che consacrasse il cronista che ha lavorato di più e che è arrivato al record di anni  di servizio, lui lo avrebbe vinto di sicuro. E per distacco. E’ morto a , dopo una breve malattia, , cronista giudiziario nella redazione genovese di .

I prossimi sarebbero stati 89 anni, ma “Unghia” non ci è arrivato per un soffio. E’ morto sicuramente perché si è accorto che  non avrebbe più potuto andare a caccia di notizie come aveva fatto ininterrottamente per 66 anni, tutti i giorni, dalla mattina alla sera, pochissime ferie escluse. “Unghia”, al secolo , era un giornalista calabro-genovese, premiato dal presidente Napolitano nel 2008 per la sua eccezionale carriera di cronista.

E’ morto senza sapere del suo straordinario primato di longevità,  forse, solo nascondendosi il fatto che nessuno in un giornale aveva mai lavorato quanto lui. Alla redazione genovese di   aveva un computer un po’ particolare, più semplice di quello dei colleghi, l’unica differenza preferenziale, concessa alla sua veneranda età.

Ma le altre differenze erano tutte a suo vantaggio. Il primo a andare a lavorare, a caccia di notizie appunto, il primo a chiudere l’ultimo pezzo, il cronista che in qualsiasi statistica mondiale ne ha portate al giornale più di ogni altro. Sessantasei anni senza tregua, con la stessa forza e la stessa passione e la vita intera dentro a un lavoro rispetto al quale non aveva nessun cedimento iconografico, ma solo un’austerità quasi rigida. Avrebbe potuto essere uno dei protagonisti del celebre film “Front page” (“” nella versione italiana), con Jack Lemmon primo attore, ma non aveva alcun vezzo messo in vetrina dagli interpreti di quella stupenda pellicola, ambientata nella sala stampa di un palazzo di Giustizia.

Curia macinava notizie e la parte del giornalista non l’ha mai recitata. Semplicemente lo era e non aveva bisogno di mostrarlo.

Era un figlio del Sud, Calabria profonda, diventato un genovese perfetto dopo avere combattuto la guerra d’Africa, essere sbarcato nel 1943 a ed avere incominciato a fare, prima il fattorino, poi il cronista nello storico “” di . Il giornale che Pertini avrebbe diretto per venti anni tra il 1948 e il 1968 e che Granzotto aveva normalizzato nella sua breve parentesi fascista: l’ultimo quotidiano ad arrendersi al Duce e al suo Minculpop.

Curia di direttori ne ha visti decine, tutti dopo la Liberazione. Lui era già là. Paolo Vittorelli, Giuliano Zincone, , Ugo Intini,  Ferruccio Borio, Franco Recanatesi, Umberto Bassi. Passavano, lo conoscevano, lui regalava torrenti di notizie, loro se ne andavano, lui restava sempre lì.

Era piccolo e elegantissimo sempre, mai una cravatta allentata, mai senza il vestito appropriato, d’estate e d’inverno con il caldo asfissiante e in certe giornate di gelo, con il suo blocco degli appunti in mano e occhi piccoli e attenti che ti perforavano. Era lo stile Curia. Si era specializzato nella cronaca nera, ma poi era diventato il re di Palazzo di Giustizia (“Il Palazzaccio”, diceva lui, con un mix di amore e di aggressività cronistica). Per cinquanta anni con il suo passo breve ma deciso entrava a un’ora impensabile per qualsiasi giornalista, largamente  primo, nel palazzo dei processi, delle inchieste degli scandali e si metteva a scavare, appunto, con la sua Unghia.

Nel frattempo il , i giornali sono cambiati mille volte, dal piombo, all’offset, ai primi computer. Sono cambiati tanto anche i giornalisti, che ai tempi dell’esordio di Curia erano come lupi affamati fuori dai giornali a caccia di notizie e poi piano piano sono diventati prevalentemente impiegati attaccati alla sedia, poi al computer, fatte le doverose eccezioni.

Curia è rimasto sempre lo stesso. La professione per lui era consumare veramente le sue scarpe e la sua unghia. Continuava a salire le scale del Palazzaccio a bussare ogni giorno a centinaia di porte, a fare domande a sedersi nelle aule dei processi, mentre intorno tutto cambiava, non solo la società, ma anche i processi, il diritto penale. Rovesciava sul tavolo dei suoi capi un fiume di notizie. «E’ cambiata la procedura? – ironizzava se lo stuzzicavi chiedendogli come facesse a capire tutte quelle rivoluzioni – Storie! c’è sempre un’accusa e una difesa. O no?».

Il suo ritmo non è cambiato mai: a sessanta, a settanta, a ottanta anni, quando gli altri pensavano alla pensione, al resto della vita o a ruoli più comodi, “Unghia” era ancora lì a scavare. E guai se qualche direttore o caporedattore gli proponeva qualcosa di diverso. Sarebbe morto in un giorno a fare dell’altro.

E’ una storia senza precedenti la sua, che ha bruciato ogni regola umana, fisiologica e perfino sindacale. Ma che ci faceva quell’ottuagenario in redazione e tutto il giorno a caccia di news? Gli istituti previdenziali, le federazioni della Stampa, i capi azienda tremavano, ma poi alla fine anche il sindacato si era arreso già qualche decennio fa. Via libera. Curia aveva una tessera professionale per l’eternità.

Generazioni di avvocati, di giudici, di uscieri, di uomini della Polizia giudiziaria sono stati per decenni la sua altra famiglia, che quella vera se la dimenticava un po’. L’unico rimpianto confessato, ma poche volte e con quella faccia da duro che non può rinunciare. Aveva rapporti di confidenza estrema con di altissimo rango che non avrebbero salutato neppure con un cenno qualsiasi altro giornalista o che alla stampa non regalavano un briciolo di notizia.

A lui raccontavano tutto e di più, come se si confessassero in chiesa. Un magistrato come Nicola , primo presidente della Corte di Cassazione, che lui aveva conosciuto quando era il giovane Pm del caso , il famoso biondino della spider rossa, faceva fare anticamera a chiunque se don era con lui. E gli avvocati non cominciavano l’arringa se Curia non era appostato con il suo taccuino in aula. Sapevano che Unghia avrebbe lasciato il segno.

Confidenti? Fonti segrete? Informatori speciali? Curia usava un altro termine per far capire che aveva soffiate importanti, notizie esplosive che bollivano. «Ho una cosca che mi deve regalare qualcosa…», ti soffiava sottovoce, prendendo il cappotto e uscendo dalla redazione a caccia dell’ultimo colpo. Aveva nel sangue la nobiltà della notizia, anche la più piccola. Ogni notizia, doverosamente trattata, aveva il suo valore, il suo peso e non c’era affronto maggiore che non capirla. Aveva anche capito che non tutti avevano quella nobiltà di comprensione  e accettava anche il giudizio diverso, ma ti faceva capire il suo dissenso e insisteva. «Guarda che questo omicidio non è un banale regolamento di conti. Dietro c’è…» . Non si arrendeva avrebbe insistito a lungo, magari per giorni, fino a quando il pezzo non usciva.

Curia aveva un fiuto inesauribile e tali e tante fonti che era diventato una specie di monumento dentro alle aule di giustizia. Chi non gli avrebbe dato una notizia? Lui sapeva tutto e non tradiva mai,  la fonte o la cosca segreta, perché sapeva quando era il momento giusto per pubblicare e riusciva a stare nell’equilibrio giusto tra la sua fonte e le impellenze del giornale. Tanto le notizie, quelle vere, vincono sempre.

da www.blitzquotidiano.it

L’evoluzione diacronica della lingua italiana, dalla crusca alla escort


Diamo nobiltà alla caniglia

La caniglia è il corrispondente italiano della crusca. Un tempo veniva, anche nelle nostre campagne, ritenuta la parte meno nobile del macinato di frumento. Oggi, è arrivata la sua rivalutazione ed è diventata una delle componenti essenziali per le diete e aiuta alle evacuazioni.

Le origini di nobiltà della caniglia (crusca) risalgono al Cinquecento, quando fu fondata l’Accademia della Crusca. I soci dell’accademia scelsero il nome crusca “quasi per dire che l’Accademia doveva procedere a una scelta fra i buoni e i cattivi vocaboli”.
Insomma, si doveva scegliere quali parole erano degne di far parte del lessico della nascente lingua italiana. La crusca (a caniglia) aiuta a fare la cacca, ma le sue origini sono comunque nobili…

Cosa direbbe oggi il prof. Umberto Panozzo.

Ho ancora conservata una vecchia Grammatica Italiana redatta dal professore Umberto Panozzo, edita nel 1967, e andando a pagina 252 del bellissimo volume, trovo dei consigli su come usare correttamente i vocaboli italiani.
Seguitemi.

Non si deve dire: terrò al corrente ma terrò informato; numero di giornale arretrato ma numero passato; è un uomo fenomenale ma è un uomo straordinario; si è verificato ma è avvenuto; declini le sue generalità ma mi dica il suo nome e cognome; fece il suo nome ma disse il suo nome; le acque vengono convogliate verso il lago ma vengono incanalate verso il lago.

Non dite Baby ma bambino. Bebé ma bimbo. Bitter ma amaro. Bluff ma imbroglio. Camion ma autocarro. Chalet ma padiglione. Chàssis ma telaio. Box ma recinto. Chic ma elegante. Notes ma taccuino. Premier ma primo ministro.
Eppure, oggi, siamo costretti a sentire gli orrendi attenzionare, candalerizzare, scannerizzare, microciffare, paparazzare. E poi, tronista, fare una esterna e il fantastico, poco più di una spaecherina. (Rosanna Cancellieri).

Contaminazioni anglo-sicule-italiane.
In un ufficio di Palermo.

Mi ma da scimunita non si può proprio farla scuffari dal nostro staff”
Non si preoccupi, signor direttore, ci penso io. Ora mi ci attacco ri supra e comincio a fare un po’ di corte e, se non cala i mutanni subito, la minaccio che non la mando allo stage che sta organizzato la presidenza. Si un ci basta, l’attacca le, signor direttore, cu mobbing e viri ca cala i cuorna. E di poi c’è Ciccio, l’amicu nostru, che ha sempre a mania dello stalting e lo usa a minchia chiina.

L’attaccamu e se poi non lo capisce mancu accusssì, che se ne deve andare, diremo in giro che s’arrangiulìa facendo fa la escort. Virissi, carissimu (ri subitu) signor direttore, ca quannu sannu ca fa la squillo, i colleghi si ci ettanu a pisci e raccussì vedrà che come un nenti, presenterà le voluntary resignantion e si ni va a casa cu i sui piedi e di leva davanti ai testi…moni con rispetto parlando”.

da www.ragusa.blogsicilia.it

Il latino, l’etrusco e il dizionario


Siccome è molto probabile e verosimile che siano stati numerosi i vocaboli latini entrati nella lingua etrusca e viceversa, ai fini dell’interpretazione dei singoli vocaboli etruschi è del tutto lecito, funzionale e utile fare riferimento ad altrettanti vocaboli latini. Il risultato è che il valore semantico o il “significato” dei vocaboli latini è molto probabilmente anche il valore semantico o “significato” dei corrispondenti vocaboli etruschi.

 

Nello studio di questo rapporto “direttamente proporzionale” si è tuffato Massimo Pittau con il Dizionario Comparativo Latino-Etrusco (Sassari 2009, EDES – Euro 25,00 presso Libreria Koinè, Sassari). Professore ordinario nella Facoltà di Lettere e già Preside di quella di Magistero dell’Università di Sassari, Pittau è autore di una cinquantina libri e di più di 400 studi relativi a questioni di linguistica, filologia, filosofia del linguaggio.

 Per le sue pubblicazioni ha ottenuto nel 1972 un “Premio della Cultura” dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, e nel 1995 il premio del Gruppo Internazionale di Pisa per la sezione “Letterati del nostro tempo” per la sua opera Poesia e letteratura – Breviario di poetica (Brescia 1993). Ha inoltre ottenuto due segnalazioni in altrettanti premi nazionali per opere di filosofia del linguaggio ed altre due nel “Premio Grazia Deledda” per la saggistica.

 Nell’ambito del “Premio Ozieri” per la letteratura in lingua sarda gli è stato assegnato il premio per la Cultura per l’anno 1995. Inoltre gli è stato assegnato il “Premio Sardegna 1997” di Sassari per la sezione Linguistica e un diploma di benemerenza nel “1° Festival della letteratura sarda”. Infine gli è stato assegnato il “Premio Città di Sassari – Lingue Minoritarie, Culture delle Minoranze” per il 2009.

 fonte tgcom

Australian Open: per la terza volta in carriera Yanina Wickmayer batte la “nostra” Flavia Pennetta. Sara Errani è al terzo turno


Flavia Pennetta classe 1982, n.12 del mondo
Flavia Pennetta classe 1982, n.12 del mondo

Flavia Pennetta perde nuovamente da Yanina Wickmayer ed esce di scena al secondo turno dell’Australian Open (Aus$ 21.400.000, cemento).
La giocatrice pugliese, testa di serie n.12, è stata battuta dalla belga, n.16 del mondo, con il risultato finale di 76 (2) 61 in 1 ora e 26 minuti di partita.

Nel primo parziale Flavia, dopo aver recuperato per ben tre volte un break di svantaggio, cedeva la frazione al tiebreak per 7 punti a 2, con la Wickmayer che ha impressionato per le sue accelerazioni di rovescio.

Nel secondo set dominio assoluto di Yanina che brekkava l’azzurra al terzo, nel quinto e al settimo gioco chiudendo agevolmente la frazione ed il match per 6 a 1.

Flavia Pennetta quindi per la terza volta in carriera (su tre incontri disputati) è stata superata dalla giovane giocatrice belga.

Ricordiamo che la Wickmayer aveva dato forfait per il main draw dopo essere stata squalificata per i mancati controlli Antidoping (poi squalifica sospesa), per questo motivo aveva dovuto disputare le qualificazioni per entrare nel tabellone principale dello Slam australiano.

Vola al terzo turno, invece, Sara Errani che ha sconfitto al secondo ostacolo per 62 63 la russa Ekaterina Makarova, classe 1988, n.59 WTA.
Sara nel secondo parziale ha anche recuperato un break di svantaggio prima di conquistare la frazione ed il match per 6 a 3.

Al prossimo ostacolo Sara se la vedrà proprio con la belga Yanina Wickmayer.

da www.livetennis.it

“Ti lascio una canzone”


di Gino Paoli

Finito il tempo di cantare insieme
si chiude qui la pagina in comune
il mondo si è fermato io ora scendo qui
prosegui tu, ma non ti mando sola…

RIT.: Ti lascio una canzone
per coprirti se avrai freddo
ti lascio una canzone da mangiare se avrai fame
ti lascio una canzone da bere se avrai sete
ti lascio una canzone da cantare…
una canzone che tu potrai cantare a chi…
a chi tu amerai dopo di me….

Ti lascio una canzone da indossare sopra il cuore
ti lascio una canzone da sognare quando hai sonno
ti lascio una canzone per farti compagnia
ti lascio una canzone da cantare…
una canzone che tu potrai cantare a chi…
a chi tu amerai dopo di me…
a chi non amerai senza di me…

http://www.youtube.com/watch?v=NBJ9ifbhi7Y

Amsterdam: stretta sulla prostituzione, protestano le lucciole


Nuova stretta della città di contro la . Il vice sindaco ha proposto nuove misure restrittive, che includono orari ridotti per i “brothels”, gli hotel dove le lucciole possono portare i loro clienti, e un innalzamento del limite d’età per esercitare la professione che passa dai 18 ai 23 anni.

Per Asscher, dalle 4 alle 8 della mattina, la dovrà essere completamente bandita nella città olandese, nell’ambito della battaglia intrapresa dalla città più importante d’Olanda per combattere lo sfruttamento e il traffico di esseri umani.

La proposta non piace al sindacato locale delle prostitute per la quale le prime ore della mattina sono quelle più redditizie. «Non è una buona idea, questo è il momento in cui si fanno più soldi», ha detto Metje Blaak, una portavoce dell’unione delle prostitute Rode Draad.

L’organizzazione è anche contraria all’innalzamento dell’età da 18 a 23 anni, perché così le colleghe più giovani sarebbero costrette ad esercitare nella clandestinità.

da www.blitzquotidiano.it

Gela, un piano per uccidere l’ex sindaco Crocetta


La aveva preparato un piano per uccidere l’ex sindaco di , in provincia di , , oggi europarlamentare del Pd e la cugina del Gip del tribunale di , Giovanbattista Tona, scambiata in realtà per sua sorella per la forte somiglianza con il magistrato.

È quanto emerge da un’indagine condotta dalla Squadra mobile di , coordinata dalla Dda nissena avviata dopo l’arrivo dal carcere di una lettera, fatta pervenire da un detenuto agli inquirenti.

Così, nella notte è scattata l’operazione ””, con la notifica in carcere di cinque ordinanze di custodia cautelare ad altrettanti esponenti di spicco della di , già in stato di detenzione per altri reati. I cinque provvedimenti restrittivi e la denuncia di correità nei confronti di altri quattro imputati (tutti detenuti), sono stati emessi dal Gip, Marcello Testaquadra, su richiesta della Dda di , con l’accusa di associazione mafiosa.

da www.blitzquotidiano.it

Medici, suore e infermiere: il bello dell’Italia


Arrivare sul posto e scoprire che quell’ammasso di lamiere e di vetri infranti era la vettura sulla quale viaggiava mio figlio rende evidenza che l’imperfetto potrebbe essere il tempo più adatto alla circostanza. La strada è bloccata, in lontananza le luci dell’ambulanza, ferma, e mentre mi avvicino, vaste chiazze di sangue sull’asfalto, mia moglie davanti a me sviene, sorretta da alcune persone, i soccorritori m’invitano a essere forte mentre mi rassicurano e mi accompagnano definiscono il contesto nel quale, mai come allora, ho avvertito la vita allontanarsi da me, un rapidissimo esaurirsi di tutti i significati contemporaneamente. Tutti tranne Uno. Steso sulla barella mio figlio è vigile, lucido, risponde, anche se trema dal freddo e dalla paura. Qui si chiude la parte di storia che non appartiene agli uomini. Riconducibile al nome che ciascuno di noi porta nel cuore come il più prezioso dei doni. Al più presto un’icona del Divino Amore, sul luogo, ricorderà l’accaduto.
E qui comincia una bellissima storia di uomini. La solidarietà delle persone accorse per prime sul luogo dell’incidente mi conforta mentre l’ambulanza si allontana sollecitamente verso il Sant’Eugenio, seguita da mia moglie. Sull’ambulanza 631 del presidio di Spinaceto presta servizio Santina Carchidi. È madre di due figli, dell’età del mio e possiede, insieme con una sicura professionalità, quella sensibilità e quell’attenzione verso le realtà superiori che rendono completa la vita di un essere umano. Si è resa conto che, escluse conseguenze più gravi, la possibilità di Rodolfo, così si chiama mio figlio, di conservare la mano sinistra, spappolata nell’incidente, può essere affidata solo ad un immediato intervento presso il Cto. Santina Carchidi sa, come madre prima ancora che come addetta ai lavori, quanto sia importante per un ragazzo affrontare la vita con entrambe le mani e come ogni istante sia prezioso. Il suo compito si sarebbe concluso consegnando il ferito al più vicino pronto soccorso. Il resto non la riguarderebbe. Firmato un foglio, tutto finito. Ma non ci sta. Combatte per mio figlio come se fosse il proprio e lo trasferisce immediatamente all’ospedale della Garbatella dove è già pronta la sala operatoria. Così veniamo catapultati in una realtà la cui efficienza associavamo solo alle rappresentazioni patinate dei film d’oltre oceano: Il Reparto di Chirurgia della Mano dell’ospedale Alesini nel quale opera il Dr. Dante Palombi. È qui che l’impossibile diventa possibile. Anzi certo. Mi ha promesso di farmi vedere una foto della mano prima dell’intervento ed io spero che se ne dimentichi. So che in tre ore d’intervento il Dr. Palombi ha trasformato carne, ossa e tendini in mano e dita. Detta così sembra una descrizione che concede troppo all’effetto ma so di non essere troppo distante dalla realtà. Non tutto sarà a posto e nulla sarà più come prima. Occorrerà tempo. E altri interventi. Siamo consapevoli, oggi, di essere capitati in una divisione chirurgica che il mondo c’invidia. Una delle pochissime in grado di ricostruire la mano a una persona. C’è la volontà umana che indirizza gli eventi ma non solo. La lunga degenza nel reparto dove tutto parla di efficienza e di cortesia a partire dalla Caposala suor Jancy è l’attuale percorso per il recupero. C’è anche Francesco Vero, in questa storia. È un medico di base che svolge la sua professione come la svolgerebbe un medico condotto della prima metà del ‘900. Cioè con l’assoluta dedizione ai suoi pazienti. Ha seguito e continua a seguire, l’evolversi della situazione da presso. Gli siamo grati. Ecco la mia storia di Natale. Ho voluto raccontarla per testimoniare che nell’Italia degli amorazzi e delle risse continue vivono e operano persone come queste e per ringraziarle. La storia non è ancora finita. Ma la vicenda ritorna là dove era iniziata. Il primo gennaio attorno a un tavolo d’ospedale con Rodolfo che inizia, tenendo il foglietto con l’unica mano abile: Noi ti lodiamo, Dio, ti proclamiamo Signore.

da www.iltempo.ilsole24ore.com