Muti va in carcere e duetta in dialetto


di EGLE SANTOLINI
Il momento clou del pomeriggio di Riccardo Muti nel carcere di Bollate si registra verso la fine, quando si scopre che uno dei detenuti in silenzio adorante è di Molfetta. Segue uno scambio di battute in molfettese stretto; segue, soprattutto, un’esecuzione imperdibile (il maestro flamboyant al piano, il detenuto, sommessamente, con quieta voce tenorile) della Santa allegrezza, il cantico di Natale che nella città pugliese tutti conoscono e sul quale, confessa Muti, «mi sono formato, perché sarò pure arrivato al podio dorato di Vienna, quattro volte a dirigere il Concerto di Capodanno, ma è dal paese che vengo, e cerco di non dimenticarmelo».

L’aveva promesso: «Oggi vedrete un Muti che non vi aspettate, perché continuano a descrivermi come tutto il contrario di quello che sono, arrogante presuntuoso e del Sud, e invece del Sud sono eccome, ma arrogante e presuntuoso proprio no». In effetti, nel suo ritorno storico a Milano (perché dopotutto è da cinque anni e cioè dal famoso strappo della Scala che non si esibiva pubblicamente in città, e andate pure a fare i sofistici sul fatto che siamo nel comune limitrofo di Bollate, ma insomma la sostanza è quella), il diabolico Muti che strapazza le orchestre e non tollera concorrenti ha sfoderato verve, calore e perfino una certa tenerezza.

L’aveva invitato un detenuto, Willy Bulandi, ora felicemente fuori perché ha pagato il suo tributo alla società, a nome del gruppo musicale del settimo reparto della seconda casa di reclusione di Milano. Un carcere modello, come si dice, diretto da Lucia Castellano, napoletana del Vomero, che prima del concerto chiacchierava col maestro delle bellezze di via Chiaia e del suo recente successo a Parigi (e lui: «Ha visto che ha scritto il Figaro? Una bella soddisfazione»). Il pubblico, un centinaio di persone tra detenuti attentissimi, guardie carcerarie ammaliate, perfino un gruppo di magistrati tedeschi che passava lì per caso e si è trovato in mezzo a un fuoriprogramma di lusso e un po’ si commuovevano a sentire il Chiaro di luna di Beethoven, lo ha seguito per quasi due ore, in quello che programmaticamente Muti non ha voluto chiamare concerto («Anzi, accendete quella luce: come diceva mia madre, amm’a stà all’oscuro pe’ tanto tiempo») ma che si è snodato fra esecuzioni al piano e aneddoti, all’insegna del potere salvifico della musica: «Che vi servirà sempre, qui dentro e poi fuori, che non richiede competenza ma solo cuore e ascolto, e mi raccomando fregatevene dei soloni che non capiscono un cacchio».

Passando dai Preludi di Chopin agli Improvvisi di Schubert, Muti spiega la dodecafonia in dodici secondi netti, consiglia di prestare attenzione anche all’armonia oltre che alla melodia «perché se guardate solo alla linea melodica fate come quelli che mangiano gli spaghetti senza ragù né pomodoro», polemizza con gli austriaci «che non riuscirono nemmeno a dare una sepoltura a Mozart e poi si son fatti ricchi con le palle di Mozart, intese come quelle di cioccolato». Svela particolari sulla sua origine geografica: «Mia madre era sposata a Molfetta ma, se doveva partorire, prendeva il treno e tornava a Napoli: quando dovrete dire dove siete nati, spiegava, se dite Napoli vi capiscono tutti, se dite Molfetta dovete star lì a spiegare per mezz’ora dov’è». Ricorda un lontano concerto di Rubinstein a Bari, «dove lui eseguì Schubert e io capii che se si riuscivano a trasmettere quelle emozioni valeva la pena che ci provassi anch’io». Racconta che, la mattina, a una riunione degli studenti lombardi più meritevoli, ha fatto cantare a tutti l’Inno di Mameli, «anche se loro forse credevano di dover fare La bela madunina». E minimizza sulle proprie doti di concertista: «Una volta ero un pianista discreto, adesso faccio schifo».

Alla fine firma un mazzo di autografi e promette di farsi rivedere da queste parti molto presto, forse già in estate. E il più felice di tutti è Willy, perché può rifiutare il pur affettuoso invito di un ex collega: «Adesso cosa fai, torni a dormire in cella da noi?».

“Il pozzo di san Patrizio”, divertissment un po’ malizioso


di Francesco Sabatino

Donna virtuosa,

alla mia seduzione non esser ritrosa.

Non considerar il mio amoroso vezzo

un vizio

Concedimi di penetrar

nel pozzo

di san Patrizio.

Due ore ‘prigioniero’ a Palazzo Venezia


di Valeria Forgnone

Una gita con la scuola alla mostra di Leonardo a Palazzo Venezia che si è trasformata in un’odissea per un ragazzo disabile di 16 anni. Prima l’impresa per prendere un autobus poi il guasto all’a scensore del museo che ha bloccato Luca (il nome è di fantasia) e le professoresse che lo hanno accompagnato per oltre 2 ore in attesa che venisse riparato il danno.

Il viaggio del terzo superiore dell’istituto professionale Sisto V, alla Bufalotta, è iniziato a via Ettore Romagnoli. Precisamente alla fermata del bus 60. Sono passati cinque mezzi pubblici, tutti con la pedalina rotta. È stato impossibile per Luca con la sua carrozzina elettrica da 140 chilogrammi riuscire a salire sull’a utobus destinato a piazza Venezia. Così un suo docente ha contattato il numero verde dell’Atac. Dopo qualche minuto di attesa, è arrivata una navetta speciale che ha portato il ragazzo e la sua classe a Palazzo Venezia. Qui un nuovo intoppo. Un ascensore è guasto, mentre l’altro si rompe dopo averlo portato al primo piano per vedere l’esposizione delle opere di Leonardo. Subito le professoresse chiedono l’intervento dei tecnici: Luca non può scendere e la carrozzina è troppo pesante per essere portata a mano. E inizia l’attesa che dura più di due ore tra l’arrivo dei tecnici e la riparazione del guasto.

“Sempre lo stesso problema, ogni uscita con la classe diventa un’odissea. È assurdo e vergognoso portare un ragazzo disabile in gita al centro di Roma e assistere ancora a scene del genere. Una persona già con dei problemi, in questo modo, la fanno sentire ancora più in difficoltà”, denuncia Patrizia Pianesi, professoressa di Lettere al Sisto V. “Dovremmo prendere un pulmino speciale ma ha un costo troppo elevato, la scuola non ha più fondi e non può permetterselo”, aggiunge Antonella D’Alessandri, docente di Storia dell’Arte. Rassegnato anche Luca che spiega: “Non è la prima volte che succede. Non riesco mai a prendere l’autobus, quasi tutte le pedaline sono rotte, i marciapiedi sono senza scivoli, i musei non sono attrezzati”.

Stranieri manifestano a Caserta. Rita Bernardini: “Lo Stato si comporta da criminale”


All’indomani della Giornata mondiale del migrante centinaia di lavoratori stranieri, in maggioranza africani, si sono radunati in manifestazione a Caserta, davanti al Palazzo Acquaviva  che ospita la Prefettura e la Questura. Rita Bernardini a CNR: “Sono gli unici, qui, a muoversi”.

All’indomani della Giornata mondiale del migrante centinaia di lavoratori stranieri, in maggioranza africani, si sono radunati in manifestazione a Caserta, davanti al Palazzo Acquaviva  che ospita la Prefettura e la Questura. A organizzare l’evento il movimento dei migranti e rifugiati, dal centro sociale ex Canapificio, dall’associazione dei senegalesi e dai padri Sacramentini. “E’ una giornata che stiamo vivendo insieme alle persone che sono immigrate in Italia e che vivono una condizione di difficoltà veramente incredibile in questo periodo. E’ una battaglia comune: qui davanti alla Prefettura di Caserta ci sono moltissimi di coloro che stavano a Rosarno e che hanno vissuto da schiavi e vivono da schiavi ormai da anni in occasione della raccolta delle arance e che sappiamo sono stati oggetto di un’azione camorristica, così solo possiamo chiamarla, alla quale hanno tentato di reagire, cosa che non fa più la popolazione locale che è vittima della camorra e della sua violenza” così a Rita Bernardini deputata radicale a CNRmedia.  Dure parole anche nei confronti delle istituzioni: “Lo Stato è incapace di dare risposte e spesso si comporta da criminale professionale e prendo spunto dalla vicenda dei permessi di soggiorno, che in base alla legge dovrebbero essere rilasciati o rinnovati entro 20 giorni, ma sappiamo tutti che invece questi tempi diventano mesi e mesi, in alcuni casi addirittura anni prima che un diritto sancito dalla Costituzione venga riconosciuto”.

 da www.cnrmedia.com

Cura del tumore al seno, a Catania la I Festa dell’Andos


Si terrà a Catania il 2 febbraio prossimo, nella prestigiosa sede universitaria del Monastero dei Benedettini, la prima festa nazionale dell’Andos, l’associazione nazionale delle donne operate al seno, che dal 1976 offre supporto psicologico e riabilitativo alle pazienti affette da carcinoma mammario, lanciando specifiche campagne di prevenzione ed educazione alla salute.

L’occasione è data dall’avvio delle celebrazioni in onore della martire catanese Sant’Agata, scelta come patrona dell’associazione, che per opera del suo persecutore, il proconsole romano Quinziano, subì – tra le altre torture – anche l’amputazione di una mammella.

Il carcinoma al seno, il tumore maligno più comune nelle donne, è la quinta causa di morte più comune per cancro nel mondo, dopo il tumore del polmone, quello dello stomaco, quello del fegato e quello del colon-retto. Nel 2005, il carcinoma mammario ha provocato in tutto il mondo 502.000 morti (il 7% delle morti per cancro e circa l’1% delle morti totali).

In Italia si registrano circa 40.000 nuovi casi l’anno con una maggiore incidenza al nord rispetto al sud della penisola. Una donna su nove ogni anno riceve una diagnosi di tumore al seno, con un’incidenza in aumento ma un tasso di mortalità in progressiva diminuzione grazie alla diagnosi precoce e a terapie mirate. E la strategia attuale per l’ulteriore miglioramento della prognosi si basa su progetti volti a diagnosticare il tumore sempre più precocemente.

Su questo terreno si misura ogni giorno l’attività dell’Andos e dei suoi volontari: “L’associazione – spiegano – è nata in tempi in cui il cancro era una malattia da vivere nella solitudine del proprio dolore, un evento di cui vergognarsi. Essa ha tratto la sua ragione dalle esperienze e dalle sofferenze di molte donne che, con forza e determinazione, hanno trovato il coraggio di raccontare e condividere la propria malattia per diffondere con maggiore incisività il messaggio della prevenzione, pretendendo al tempo stesso dalla società tutti gli strumenti utili per difendersi dal cancro”.

Il simbolo dell’Andos è una rondine che si staglia nel sole, a significare la riscoperta della vita e degli affetti – come una nuova “primavera di vita” – da parte delle donne colpite dal tumore, dopo “l’inverno” della malattia.

A sostegno delle donne sono stati creati, in tutte le sedi italiane, servizi di consulenza, sostegno psicologico, musicoterapia, arteterapia, laboratorio teatrale, danza e attività in acqua. Intensa e capillare anche l’attività di screening e di educazione alla salute. In questo senso, i medici volontari della sezione catanese, presieduta dalla dottoressa Francesca Catalano e attiva dal 2004, prestano un importante servizio di consulenza a favore delle donne residenti nel popoloso quartiere di Librino.

Ma il ‘fiore all’occhiello’ del comitato etneo è l’istituzione, grazie al contributo della Fondazione Banco di Sicilia, di un ambulatorio di genetica che ha permesso a numerose famiglie di sottoporsi ad uno studio dell’albero genealogico e, successivamente, in casi selezionati, a test genetico ai fini preventivi.

La prima Festa nazionale dell’Andos si aprirà alle 16,30 di martedì 2 febbraio, con gli indirizzi di saluto della presidente Andos di Catania, Francesca Catalano, del sindaco di Catania Raffaele Stancanelli, del presidente della Provincia regionale Giuseppe Castiglione, del rettore Antonino Recca, del preside della facoltà di Lettere e filosofia Enrico Iachello, e del presidente nazionale Andos Francesco Maria Fazio.

Parteciperanno, inoltre, lo scrittore Pietrangelo Buttafuoco, e le stiliste Marella Ferrera e Regina Schrecker. La storia e la festa di Sant’Agata saranno illustrate, da un punto di vista culturale e storico, ai numerosissimi ospiti attesi da mons. Gaetano Zito, ordinario di Storia della Chiesa nello Studio Teologico San Paolo di Catania e dalla prof.ssa Silvana Raffaele, ordinario di Storia moderna nell’Ateneo catanese.

da www.catania.blogsicilia.it

“La tua essenza”


di Francesco Sabatino

La tua essenza

è un abisso

dalla cui profondità volo

verso l’estasi.

Un fiore di loto

che nasconde una rosa rossa

selvaggia e peccaminosa.

Luce nelle tenebre.

Divinità e sacralità

in un mondo profano

e materiale.

La tua essenza

è un profondo abisso

nel quale voglio morire

per rinascere

nell’amore.

Disabili: intesa tra F.i.s.h e pediatri


Obiettivo: sensibilizzare i pediatri alla non discriminazione

 È stato firmato il 15 gennaio a Roma un protocollo d’intesa tra l’ACP (Associazione Culturale Pediatri) e la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), per la tutela del diritto al benessere e allo sviluppo psicofisico dei bambini e degli adolescenti, in particolare di quelli con disabilità.
Le stime infatti parlano di un 2% della fascia tra gli zero e i diciotto anni interessata da disabilità croniche, ma si può affermare che la presa in carico di queste persone sia una finalità ancora da perseguire. Uno dei problemi principali è dato dal fatto che continua a prevalere un modello medico-assistenziale, centrato quasi esclusivamente sull’offerta sanitaria, modello che non risparmia nemmeno l’età pediatrica.

Sono tre le istanze principali dell’intesa:
– sensibilizzare le istituzioni locali e nazionali, i pediatri e gli operatori sanitari sulla non discriminazione e l’uguaglianza delle opportunità, e sul dovere di garantire alle persone con disabilità il godimento dei diritti e delle liberà fondamentali;
– progettare e attuare attività e iniziative locali, provinciali e regionali;
– formare i pediatri sulle patologie croniche  e sull’importanza della comunicazione-relazione con il piccolo paziente e la sua famiglia sia attraverso il counselling che la cosiddetta “medicina narrativa”.

 da www.vita.it

“Perchè”, seconda opera narrativa di Tiziana Mignosa


E’ da pochi giorni nelle librerie la seconda opera narrativa di Tiziana Mignosa, “Perchè”, ne parlo perchè è un’opera a cui tengo particolarmente essendone la correttrice di bozze nonchè editor e (per chi non conoscesse bene l’inglese l’editor non è l’editore ma è colui o colei che non si limita a correggere gli errori di ortografia ma va oltre correggendo l’uso improprio della punteggiatura la concordanza temporale, le ripetizioni e quindi i sinonimi, ecc)) non solo di questo ma anche del primo romanzo, “la storia senza fine”.

Eccone un estratto dalla “quarta” di copertina:

“…l’Amore vero non segue le strade consuete dell’esistenza, segue tutte le vie che trova e si intrufola riempiendo ogni fessura vuota colmandola del suo bene…la gioia difficilmente è pura, assoluta, molto spesso è contaminata da un sottile dolore che l’accompagna come a ricordarci che qui, sulla terra,  tutto ciò che inizia è destinato a finire e che comunque ogni evento si manifesta entro un tempo ben efinito che noi non siamo in grado di modificare. Gli incontri che si fanno, infatti, variano nella durata ma ciò che conta non è il tempo riservato a ognuno di loro ma l’apprendimento che da essi ne scaturisce, spesso però si corre il rischio di perdere i sogni per strada, la quotidianità, i doveri, i dolori sono come tasche bucate per i nostri gioielli ma noi  dobbiamo essere più forti e non pemettere mai a nessuno e a niente ddi far sì che ciò accada…” (da “Perché” di Tiziana Mignosa)

http://www.narrativaepoesia.com/perche.html

Una candelina per Paolo e la preghiera di sua moglie


di Roberto Puglisi

Oggi Paolo Borsellino compirebbe settant’anni. Respirerebbe quest’aria di pioggia. Fumerebbe le sue sigarette. Accarezzerebbe i suoi nipoti. Ma via D’Amelio, dal 19 luglio del 1992,  non è più soltanto una via di Palermo, dove portare i cani a passeggiare. Una via come le altre. Ha assunto le forme di una tomba, il colorito del dolore, per questo Paolo Borsellino non è qui. Eppure noi non ci rassegniamo, vogliamo festeggiare il compleanno di Paolo Borsellino, come se fosse qui. Per questo, Livesicilia ha chiesto al figlio Manfredi  di commemorare con noi il giorno della nascita di suo padre. E Manfredi gli ha fatto e ci ha fatto un regalo che non dimenticheremo. Ci ha inviato una preghiera, scritta dalla signora Agnese, sua madre, la moglie del giudice. Sarà letta oggi durante la messa di ricordo in Cattedrale. Eccola: “Ricordare la nascita di Paolo è un inno alla vita, una vita diventata eterna perché avendo impersonato gli ideali ed i sentimenti più nobili continua a vivere nei nostri cuori  e nella memoria di ciascuno di noi . Oggi in questa liturgia solenne chiediamo con la Grazia del Signore che Paolo ci aiuti a superare, con lo stesso coraggio e determinazione da lui posseduti in solitudine, tutte le difficoltà che si presentano sul nostro cammino. Che ci trasmetta una parte dell’immenso amore donato alle persone ed alle cose più semplici che lo circondavano. Per questo noi preghiamo”.
Spesso ci siamo interrogati sulla qualità civile della nostra memoria. Ci siamo chiesti se abbiamo imparato la tremenda lezione di via D’Amelio e di Capaci. Se siamo riusciti a costruire un Paese migliore, sul sangue di quel sacrificio. E la risposta è stata sovente sconfortata, talvolta incoraggiante. Ma qui c’è molto di più della memoria civile, per quanto importante. C’è l’amore che un padre e un marito ha saputo seminare e coltivare nel campo di una esistenza non semplice. Ed oggi questo amore sboccia, nelle parole dei suoi cari, nonostante via D’Amelio, e ricade sul suo ricordo e su di noi, come una benedizione. Che magnifico dono. Che indimenticabile compleanno.

da www.livesicilia.it

Il piede è la chiave dell’evoluzione della mano


Come ha fatto l’uomo  a imparare a manipolare gli utensili di pietra? Il mistero potrebbe essere stato svelato da un gruppo di scienziati britannici che hanno scoperto le relazioni tra l’evoluzione dell’uso della mano e la capacità di camminare in .

Secondo la ricerca, pubblicata sulla rivista “” i cambiamenti nelle nostre mani sono un effetto collaterale dei cambiamenti nella forma dei nostri piedi. Questo, dicono, dimostra che la capacità di alzarsi e camminare su due piedi è intrinsecamente legata alla comparsa degli utensili in pietra.

, che ha guidato lo studio dell’Università di in , ha dichiarato: «Questo risale a : è stato tra i primi a considerare il rapporto tra tecnologia e bipedismo. La sua idea era che fossero eventi separati e poi fra loro consequenziali. Quello che abbiamo dimostrato è che i cambiamenti in mani e piedi hanno un processo di sviluppo analogo: ciò che cambia da una parte muta anche dall’altra».

«Quindi, se si dispone di un dito del piede lungo, si tende ad avere un pollice lungo», ha spiegato il dottor Rolian. Studiando gli scimpanzè gli scienziati si sono avvalsi di tecniche speciali e calcoli matematici per simulare l’evoluzione di mani e piedi.

da www.blitzquotidiano.it