“Breve storia della mia vita” dal carcere di Augusta


Mi è arrivata questa lettera da un giovane trentenne attualmente detenuto nel carcere di Augusta che conosco personalmente, mi ha dato il permesso di copiarla e pubblicarla quasi integralmente senza, naturalmente, il suo nome e cognome, ho voluto condividerla con voi.

…Sono nato in un quartiere di Torino denominato Bronx, un ammasso di case popolari sovraffollate da famiglie meridionali, di tutto il sud Italia. Ultimo di 5 figli, entrambi i miei genitori sono calabresi, sono cresciuto nell’ignoranza più profonda e conoscevo un solo linguaggio, la violenza, più lo eri più eri qualcuno in quel ceto sociale. Il falso senso del rispetto e dell’onore ci accompagnava quotidianamente e così crescemmo devastando noi e tutto ciò che ci circondava; io mi sono sempre sentito diverso, ero molto astuto e stratega, un leader fin da bambino; tutto compravamo con la “banconota del timore” e convinti che fosse tutto normale, crescevamo, io ed i miei coetanei, oggi sono tutti morti per overdose, per malattie…e chi è vivo, chi è sopravvissuto è in carcere come me.

Quando avevo 13 anni mia madre si ammalò, aveva 44 anni, l’amavo ed era davvero buona, brava e unica. Lei si ammalò ed io trascorsi con lei, al suo capezzale, 2 anni d’ospedale, abbiamo girato tutti gli ospedali principali d’Italia (centri tumore), quando io compivo 15 anni d’età lei morì, io la vidi (senza poter far nulla per salvarla) morire lentamente per due anni, giorno dopo giorno, il suo ultimo abbraccio è stato il mio, con lei morivo anche io e non mi diedi più pace.

Me ne andai di casa il giorno stesso che lei se ne andò e con i miei 15 anni d’età, un paio di jeans e una magliettina, niente altro, senza meta, senza soldi e vuoto nel cuore. Ce l’avevo con il mondo intero e con Dio che non ascoltò la mia unica preghiera, di lasciare mia madre in vita. La ferocia e la crudeltà torturarono me e la mia giovane vita, superai i confini del delirio ed altre realtà indefinibili; passai due anni, fino ai 17 anni, in totale auto-distruzione; poi Dio ebbe pietà di me e mi fece ritornare un essere umano: conobbi una ragazza di 10 anni più grande di me che mi amava, convivemmo per un anno fin quando non fui chiamato al servizio militare. Il 10.08.94 dovevo presentarmi alla caserma dei parà di Pisa, lasciai la ragazza e partii per questa nuova esperienza ma io ero già un uomo sofferto e cresciuto troppo in fretta; lì se ne accorsero e per un mese fui super sorvegliato perché ritenuto troppo impavido e severo. Così mi chiamarono e mi congedarono in quanto a loro dire ero “inassociabile alla vita militare”, avevano ragione. Io ero lì, in realtà solo per rimodellare, addestrandomi ad essere più potente e sofisticato: avevo troppa rabbia dentro.

All’età di 20 anni fui arrestato dietro le accuse di un altro delinquente, per omicidio, rapine, porto abusivo di armi e munizioni, ricettazione e lesioni gravi. Fui sbattuto in una cella d’isolamento nel supercarcere Le Vallette a Torino, picchiato e trattato malissimo dalle “giubbe blu” (così chiamavo io le guardie) per circa 6 mesi in un sotterraneo angusto; poi mi portarono nella sezione “comuni” insieme ad altri reclusi; lì mi accorsi subito che avevo terreno fertile per dare sfogo alla mia rabbia interiore. Le Vallette è un carcere che contiene circa 2000 reclusi d’ogni nazionalità e d’ogni specie; io ero uno dei più giovani ma sempre in assoluto un super rispettato, anche i più grandi mi temevano, non so bene ancora oggi il perché ma questo fu di certo un bene. Una continua guerra tra me e le giubbe blu, il motivo era perché mi ritenevano un indisciplinato, rispondevo sempre, non abbassavo mai la testa e se mi accerchiavano per minacciarmi, reagivo (della mia vita non mi importava più niente). Continuai così per i primi 6 anni di carcere, poi si decisero a trasferirmi in Toscana, a Volterra, perché potessi essere inserito nel contesto scolastico; lì vi passai 5 anni e studiavo come geometra ma nonostante mi trovassi bene e cercai di evitare ogni “disguido” restandomene per i fatti miei ancora una “giubba blu” di origine sarda, alcolizzato, mi prese in antipatia, così mi perseguitò per circa un anno, io evitavo e non lo pensavo minimamente ma si impuntò; così un giorno mi scagliò contro un altro detenuto arabo che era il suo zerbino, questa magrebino pensava di potercela fare con le mani ma io ebbi la meglio. Così fui immediatamente trasferito per punizione al carcere dell’Ucciardone con l’applicazione del regime di sorveglianza speciale, il cosiddetto 41bis, che consiste in un isolamento totale da tutto e tutti e viene applicato a chi è ritenuto pericoloso in carcere. In sostanza mi fecero scontare 2 anni di isolamento e poi nel 2007 mi trasferirono dall’Ucciardone al carcere di Augusta.

Ora sono 3 anni che sono qui, mi fanno frequentare da 2 anni il corso di ceramica e nient’altro. Forse questo 2010 dovrebbe portarmi un po’ di luce…

Ecco, cara Daniela…ci tenevo che tu sapessi il mio difficile percorso di vita…

Sono cresciuto solo, senza affetti e senza amore; ora sono stanco da diversi anni e voglio uscire perché del carcere ne ho la nausea…vedremo, sono ottimista e realista per carattere…

…Riconoscere il proprio passato, riaffrontarlo più volte è senz’altro il primo passo per cominciare in maniera più sana un nuovo cammino, io l’ho fatto, lo faccio e se sarà necessario lo rifarò. Ritengo inoltre che nessuno di deve far vincere dalla paura o dalla vergogna perché siamo (tutti gli esseri umani) organicamente precisi ma mentalmente imperfetti. Io ne sono l’esempio! Ciò non mi scoraggia ma bensì mi dà la forza maggiore per dire che siamo grandi per quanto grandi siano le nostre sofferenze e umili per quanto più siamo disposti a riconoscere i nostri errori. Un giorno, spero non molto lontano, avrò anche io l’occasione di mettere in atto ciò che sono e forse guardando negli occhi dei miei amici futuri e della gente in genere potrò riscoprirmi un uomo nuovo, il mio riscatto sta in essi e negli occhi di un bambino…magari il mio !…

Una risposta a ““Breve storia della mia vita” dal carcere di Augusta

  1. Lettera toccante cara Daniela…Certo se solo un pochino ci sforzassimo di capire quale realtà particolare regna nelle carceri forse saremo tutti un pò meno severi….Saluta questo denetuto da parte mia…e se avesse voglia di scrivere poesie…un bacio …

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