Anch’io, come M.L.King, ho un sogno: la libertà e l’eresia


di Francesco Sabatino

Ho un sogno: che il Vaticano diventi un normale quartiere di Roma; che il Papa diventi un normale cittadino, senza poteri, eccetto quello spirituale sui credenti cattolici; Sogno che si ponga fine ad un concordato teocratico e fascista che non dovrebbe esistere in uno stato democratico e laico. Sogno che ciascuno possa essere libero di morire obbedendo alla propria coscienza, e non a principi assoluti di presunta natura divina.
Sogno uomini e donne liberi da assurde concezioni moralistiche,  obbedienti solo alla natura erotica di cui è costituito il nostro spirito, oltre che il nostro corpo. Sogno un mondo senza religione, ma non ateo, fatto di spiritualità, vitalità e genuinità; sogno un mondo senza ipocrisia, dove regni sovrana l’eresia.

Carceri: Marassi, detenuto tenta due volte il suicidio


Nel carcere ligure di Marassi un detenuto ha tentato due volte il suicidio, prima ingerendo del detersivo, poi cospargendosi col gas della bomboletta e d ha cercato di darsi fuoco, è stato salvato dagli agenti. Lo riferisce il segretario regionale della Uil Pa penitenziari della Liguria, Fabio Pagani. E’ accaduto ieri sera, intorno alle 20, nel carcere di Marassi. Un detenuto 32enne di origine marocchina A.W. ha per due volte, in pochi minuti, tentato il suicidio. Prim ha cercato di togliersi la vita ingerendo i detersivi che aveva nella cella. Soccorso dal personale e trasportato in infermeria, ha rifiutato la lavanda gastrica. Rientrato in cella si è cosparso col gas liquido della bomboletta e ha cercato di darsi fuoco. L’intervento degli agenti penitenziari ha impedito che riuscisse nel proposito. Due giorni fa nello stesso carcere un detenuto ha aggredito un agente. “E’ evidente che il personale è sottoposto a forti tensioni e lavora in un clima di forte preoccupazione”, sottolinea Pagani, commentando questi episodi, avvertendo: “La situazione potrebbe irrimediabilmente degenerare da un momento all’altro e l’esiguità delle risorse umane e tecnologiche impedirebbero di gestire la situazione e tenerla sotto controllo. Non possiamo affidarci alla sola fortuna, occorrono uomini e mezzi. Qui può succedere di tutto”. “Domani – informa il segretario regionale – ci sarà un incontro con la direzione per un confronto sull’organizzazione del lavoro. E’ necessario riflettere sull’impiego delle risorse umane: se il Dap non implementa l’organico bisognerà, rivedere le assegnazioni di poliziotti penitenziari negli uffici e nei servizi complementari. Benchè anch’essi siano essenziali alla vita dell’istituto in questo momento è preminente rinforzare le prime linee”. Pagani ricorda che a Marassi l’organico previsto dai decreti ministeriali prevede 401 unità di polizia penitenziaria, mentre ne sono assegnati 252 di cui circa 70 distaccati fuori sede. Un centinaio sono impiegati tra uffici, servizi complementari e nucleo traduzioni. Così per garantire i servizi operativi essenziali restano non più di ottanta unità. E nel carcere ci sono 721 detenuti, quando la struttura “potrebbe al massimo contenerne 426”. Le unità degli agenti “sono troppo poche. Assolutamente inadeguate a garantire i livelli minimi di sicurezza, ancor più in considerazione – conclude Pagani – che attualmente sono ristretti 721 detenuti in una struttura che potrebbe al massimo contenerne 426. Anche in questi numeri c’è la ragione delle violenze che registriamo quotidianamente a Marassi”.

da notizie.virgilio.it

Disabili in viaggio, le regole, i diritti


di Franco Bomprezzi

Ho atteso qualche giorno. Avevo letto subito su Repubblica.it la denuncia di Shulim Vogelmann, giovane scrittore nato a Firenze, di cultura ebraica e cittadinanza anche israeliana, testimone di un trattamento discriminatorio nei confronti di un viaggiatore disabile in treno. Un racconto a tinte forti, pieno di particolari, ma anche, per certi versi, ai limiti dell’incredibile, pur essendo io, abbastanza logicamente, pronto a prendere le parti di una persona con disabilità che venga maltrattata.

La storia è nota ormai quasi a tutti, perché è diventata una delle notizie più commentate e riprese da giornali, tv e radio a fine d’anno. Una storia di ordinaria maleducazione, peggio, di maltrattamento verbale da parte del personale delle Ferrovie e della Polfer, nella totale indifferenza degli altri passeggeri, tranne lo scrittore, che racconta tutto per filo e per segno. In estrema sintesi un ragazzo disabile probabilmente romeno, privo di braccia, sale in treno senza biglietto ma con i soldi giusti pronti per pagarlo. Siamo sull’eurostar Bari-Roma del 27 dicembre. Atteggiamento ostile del controllore donna, parole pesanti nei confronti dei disabili da parte degli agenti della Polfer, unico paladino del malcapitato disabile è lo scrittore che peraltro non provvede direttamente a pagare il biglietto mancante, ma si limita a intavolare una discussione con il capotreno. Alla fine, secondo Vogelmann, il giovane disabile viene fatto scendere dal treno.

Prima ancora che sia possibile avere una versione da parte delle Ferrovie, che in verità subito si scusano in attesa di verificare la vicenda, si apre sul sito di Repubblica.it una valanga incontenibile di commenti, quasi tutti di indignata solidarietà, senza alcun dubbio, nella convinzione che la storia non solo sia credibile così com’è stata raccontata, ma la sua veridicità dipende dal fatto che si inserisce in un quadro disastroso di episodi, citati dai lettori, a conferma della maleducazione dei ferrovieri, dei passeggeri, del popolo italiano, e così via lamentando.

Per la verità arrivano anche i commenti di altri passeggeri di quel treno, che non confermano affatto la versione dello scrittore fiorentino, ma anzi, raccontano di un finale diverso. Leggiamo su un altro articolo di Repubblica.it, “Secondo quanto scrive un testimone, l’atteggiamento degli altri passeggeri non è stato affatto indifferente. “Sono uno dei passeggeri che si trovava accanto al ragazzo nel ‘famigerato’ viaggio – si legge in uno dei commenti -. Mi permetto di rettificare l’articolo (…). E’ vero, la ragazza e i due agenti della Polfer saliti alla stazione di Foggia si sono rivolti al giovane romeno con toni francamente evitabili, ma parlare dell’indifferenza dell’intero vagone è assolutamente scorretto – conclude -. Su richiesta della ragazza è infatti intervenuto un altro controllore e il suo comportamento è stato ineccepibile. Ha evitato che il ragazzo disabile pagasse la tratta precedente (a suo rischio) e si è impegnato personalmente a comprargli il biglietto con la modalità self service senza ulteriori sovratasse”. Nel medesimo articolo il quotidiano on line dà conto della versione delle Fs: “Il viaggiatore non è mai stato fatto scendere dal treno, il biglietto gli è stato acquistato a Foggia dal personale di bordo. Il Gruppo Fs è da sempre attento e sensibile ai diritti dei diversamente abili”. La capotreno in servizio sull’Eurostar 9354 Bari-Roma di domenica 27 dicembre, durante le operazioni di controllo dei biglietti ha riscontrato che un viaggiatore privo del braccio sinistro ma in grado di parlare in modo corretto, era senza biglietto. L’ha quindi informato delle regole di ammissione sul convoglio. “Considerata la particolare condizione del passeggero – si legge sul comunicato ufficiale delle Fs -, risulterebbe che la Capotreno si sia ulteriormente attivata per consentire al cliente di proseguire il viaggio sullo stesso treno e senza alcuna sanzione. Per questo è scesa durante la sosta a Foggia provvedendo a recarsi in biglietteria e acquistando il biglietto per conto del passeggero”.

Questa versione coincide con le precisazioni e le rettifiche già espresse dai lettori di Repubblica.it, ma non viene inserita nel corpo del primo articolo, quello di denuncia del fatto, e così i commenti continuano a essere raccolti senza posa, contribuendo a creare il convincimento che sia avvenuta una grave e inaccettabile discriminazione.

Ne traggo ora alcune riflessioni, che offro al vostro pensiero perché magari tutti insieme possiamo trarre qualche piccolo insegnamento dalla vicenda.

Secondo me la verità è à meta strada. Ovvero: la persona disabile è salita sul treno senza conoscere le procedure che consentono di essere registrati (carta Blu delle Ferrovie per i viaggiatori disabili)   e quindi assistiti secondo regole note da tempo. Il personale delle Ferrovie sicuramente non brilla per preparazione nel trattare con viaggiatori in difficoltà e l’atteggiamento peggiora quando si ha a che fare con cittadini stranieri. Ma alla fine il buon senso e le regole prevalgono, e infatti il viaggiatore non ha pagato sovrapprezzo, e ha potuto completare il suo percorso, sia pure dopo una disavventura non piacevole.

Seconda considerazione: la disabilità fa notizia solo quando è clamorosa, altrimenti niente. In questo caso ha fatto presa il racconto ricco di particolari emotivi, compresa una discutibile descrizione delle condizioni fisiche del viaggiatore disabile: “Sì, senza braccia, con due moncherini fatti di tre dita che spuntano dalle spalle – scrive Vogelmann – È salito sul treno con le sue forze. Posa la borsa a tracolla per terra con enorme sforzo del collo e la spinge con i piedi sotto al sedile. Crolla sulla poltrona. Dietro agli spessi occhiali da miope tutta la sua sofferenza fisica e psichica per un gesto così semplice per gli altri: salire sul treno”.  E più avanti: “articolando le parole con grande difficoltà, riesce a mormorare una frase sconnessa: “No biglietto, no fatto in tempo, handicap, handicap”. Con la bocca (il collo si piega innaturalmente, le vene si gonfiano, il volto gli diventa paonazzo) tira fuori dal taschino un mazzetto di soldi”… e infine: “Il ragazzo farfugliando le dice di non avere altri soldi, di non poter pagare nessun sovrapprezzo, e con la voce incrinata dal pianto per l’umiliazione ripete “Handicap, handicap”. Insomma una descrizione alquanto indelicata ma strappacuore. Giusto quello che serve per guadagnarsi l’home page del quotidiano on line e il link in centinaia di profili di facebook e note di commento sdegnato, da parte di lettori in buona fede ma del tutto privi, secondo me, di un minimo spirito critico, oserei dire di un minimo spirito giornalistico.

Da quando sono giornalista, gennaio 1984, ho sempre pensato che le notizie vanno verificate con cura. A maggior ragione se si tratta di fatti che suscitano emozioni forti e condivisione, pathos. In questo caso sin dall’inizio ho nutrito qualche dubbio. Prima di tutto perché ho viaggiato molto in treno, e non ho mai incontrato episodi di così evidente inciviltà. Casomai, e qui sta il punto, ho sempre potuto constatare una certa difficoltà a garantire al meglio i servizi promessi. L’assistenza è efficiente solo sulle tratte principali, le stazioni non servite sono la maggioranza, chi vuole viaggiare in treno e vive in provincia non può proprio farlo, ancora adesso, in moltissime regioni italiane. L’incarrozzamento delle sedie a rotelle spesso è garantito da mezzi obsoleti o non funzionanti. Ora bisogna prenotare con due giorni di anticipo, il che oggettivamente discrimina rispetto agli altri viaggiatori. Voglio dire: i disservizi esistono ma sono altri, e rientrano in un giudizio complessivo scadente sulla qualità e sulla omogeneità del trattamento da parte delle Ferrovie. Un problema dunque che riguarda tutti, non solo le persone con disabilità.

Altra riflessione: si sta consolidando sul web la tendenza allo sfogo collettivo, una “class action” dei sentimenti repressi. Tutti concordano nel protestare, nel denunciare, nell’indignarsi. Chi esprime dubbi viene isolato e bollato come “buonista”. Difficile in questa situazione svolgere quotidianamente un corretto servizio di informazione sui diritti delle persone con disabilità, diritti che si traducono in norme, in regolamenti, in procedure verificabili, in accordi con le associazioni, in corsi di formazione, in buone prassi, in testi da consultare, insomma in strumenti maturi di democrazia partecipata.

Quel viaggiatore senza mani e senza braccia è ora scomparso nel nulla, e nessuno lo ha davvero aiutato a essere consapevole della sua cittadinanza. Ma tutti sono convinti di aver solidarizzato con lui, e si mettono il cuore in pace. Fino alla prossima indignazione.

“La tempesta mediatica mi ha lasciato turbata e in un certo senso ferita”: così scrive in una lettera al direttore di Repubblica la caposervizio del treno Eurostar del 27 dicembre scorso, ossia la persona descritta dallo scrittore Shulim Vogelmann nella ormai nota lettera pubblicata da Repubblica, in questo modo: “la ragazza diventa più dura e si rivolge al ragazzo con un tono sprezzante, come se si trattasse di un criminale; negli occhi ha uno sguardo accusatorio che sbatte in faccia a quel povero disgraziato. Per difendersi il giovane cerca di scrivere qualcosa per comunicare ciò che non riesce a dire; con la bocca prende la penna dal taschino e cerca di scrivere sul tavolino qualcosa. La ragazza gli prende la penna e lo rimprovera severamente dicendogli che non si scrive sui tavolini del treno. Nel vagone è calato un silenzio gelato. Vorrei intervenire, eppure sono bloccato. La ragazza decide di risolvere la questione in altro modo e in ossequio alla procedura appresa al corso per controllori provetti si dirige a passi decisi in cerca del capotreno”.

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Torno sulla vicenda, già commentata su questo blog nel mio post precedente “Disabili in viaggio”, proprio perché le altre testimonianze dei viaggiatori, e adesso questa lettera della dipendente delle Ferrovie, confermano i miei dubbi circa lo stile, il linguaggio, il tono di un racconto che ha suscitato grande emozione, solidarietà popolare nei confronti della persona disabile che non aveva fatto il biglietto prima di salire in treno.

Leggo ancora le riflessioni della ragazza: “La prego di credermi, non è stato facile trovare un equilibrio tra il dovere che il lavoro m’imponeva e la delicatezza che richiedeva l’evidente condizione di difficoltà in cui versava il viaggiatore diversamente abile”. In sostanza il controllore dice: io dovevo applicare una regola, ossia far pagare il biglietto a un viaggiatore che ne era sprovvisto, per equità nei confronti degli altri passeggeri. Se non lo avessi fatto sarei venuta meno al mio dovere. Nello stesso tempo mi sono trovata ad affrontare una situazione complessa, che ho risolto con umanità, scendendo io dal treno a Foggia, e facendo il biglietto al passeggero, con i suoi soldi, senza applicare il sovrapprezzo previsto. Dunque una soluzione di buon senso, venuta sicuramente al termine di un difficile e forse scortese dialogo. Infatti la giovane dipendente scrive: “In quel momento dovevo applicare una regola non per me o per ottenere qualcosa di cui io avrei potuto beneficiare, ma per rispetto agli altri viaggiatori e alla dignità del viaggiatore disabile”.

E qui sta il punto più rilevante: la dignità del viaggiatore disabile passa attraverso il rispetto dei diritti di tutti. Le persone disabili non devono farsi temere dal personale dei servizi pubblici, come se si trattasse di privilegiati, o di una casta intoccabile, pena la pubblica esecrazione. Occorre arrivare a una sana coscienza collettiva, che parta dai principi della Convenzione Onu, a cominciare dal principio di non discriminazione, che significa in concreto mettere tutti sul piano di parità e in condizione di vivere in piena autonomia le proprie scelte personali, comprese le scelte di viaggio.

Il racconto di Vogelmann contiene un errore molto grave, che ha condizionato tutto il dibattito sull’episodio, ossia l’affermazione che il ragazzo disabile era stato “fatto scendere” dal treno. Fatto che non si è verificato. Strano per un testimone oculare ricco di particolari e di “colore”. Ma tanto è bastato a molti per riconoscersi in analoghe situazioni, viste o vissute sui treni italiani. Il ragionamento collettivo è stato quello del “vero in quanto verosimile”, che è uno dei meccanismi che stanno portando nel nostro Paese alle maggiori difficoltà di ragionamento pacato e serio sui temi sociali che emergono dai fatti di cronaca.

Dai commenti, dalle riflessioni più pacate e argomentate, emerge invece con forza che la questione non è il comportamento di un singolo dipendente delle Ferrovie, quanto la scarsa informazione, le regole complicate e comunque non rispettose delle differenze fra situazioni diverse di disabilità (una persona senza braccia non può obiettivamente provvedere in modo autonomo all’acquisto di un biglietto, e non è prevista nessuna vera agevolazione per tutti coloro che non sono invalidi al cento per cento). Di più: il meccanismo della prenotazione dell’assistenza non funziona se non in poche grandi stazioni, viaggiare in treno è quasi impossibile al di fuori di queste tratte privilegiate. E la situazione, lungi dal migliorare, sta peggiorando.

Ma questi argomenti non fanno presa sul grande pubblico, che preferisce emozionarsi e indignarsi di fronte a una storia raccontata bene, perfino troppo bene.

da www.vita.it

Coppia gay in sciopero della fame


 Appello dell?Associazione Radicale Certi Diritti al Presidente della Camera e alla Presidente della Commissione giustizia: Date un cenno di speranza
Per la prima volta in Italia una coppia gay ha avviato una iniziativa nonviolenta per vedere riconosciuti i propri diritti, nel rispetto dell’eguaglianza e per l’affermazione della propria dignità.
Oggi, sabato 9 gennaio 2010, Francesco Zanardi e Manuel Incorvaia di Savona, sono giunti al sesto giorno di sciopero della fame nella quasi totale indifferenza mediatica. La loro iniziativa di dialogo è rivolta ai massimi rappresentanti delle istituzioni. Chiedono che vengano calendarizzate le varie proposte per il riconoscimento delle unioni civili e/o per il matrimonio gay.
Facciamo un appello al Presidente della Camera dei deputati, on. Gianfranco Fini e alla Presidente della Commissione Giustizia, on. Giulia Bongiorno, affinchè prendano contatti con Francesco e Manuel. Forse basterebbe questo per farli desistere da questa iniziativa.
Finora, a parte alcune rare eccezioni, la classe politica non ha manifestato alcuna attenzione a questa iniziativa nonviolenta. Sarebbe ora forse che qualcuno si muova per loro. E dia loro una qualche speranza. 

“La folle danza delle menadi”, poesia erotica


di Francesco Sabatino

“Gloria a Dioniso sull’Olimpo celeste

e piacere in terra alle donne

di buona voluttà”.

Così cantava

una delle menadi

e s’aprirono le danze.

 Danzan lascive

le figlie del dio gioioso.

Danzan seducenti

contorcendosi come mille

serpenti.

Danzano

al ritmo ossessivo

dei cembali,

al gemito godurioso

del flauto peccaminoso.

Immerse nella natura

selvaggia,

d’edera e tirso

adorne,

vestite di pelli

furenti,

si dimenan

le baccanti

in una folle

danza.

Ebbre del sacro nettare,

la cui coppa levan

al cielo,

dimentiche del bene

e del male,

si uniscono ai satiri danzanti

in un’orgia

infernale

celebrando il peccato

e la gioia di vivere.

11 e 12 gennaio 2010


Numero speciale di “Ristretti News”, in occasione della discussione alla Camera della mozione sulle carceri presentata da Rita Bernardini e sottoscritta da parlamentari di ambedue gli schieramenti 

http://www.ristretti.it/commenti/appello/mozioni/speciale_mozione.pdf

Sofferenze utili, inutili e nocive


“Nessun essere umano sulla terra è al riparo dalla sofferenza.
Occorre soltanto sapere che ci sono sofferenze utili, benefiche,
e altre inutili e persino nocive. Le sofferenze inutili sono
quelle che ci si crea da sé trasgredendo le leggi dell’onestà,
della giustizia, della bontà, della saggezza, dell’amore, e non
meritano compassione.
Le sofferenze utili sono quelle dell’uomo che ama gli altri e
vuole sinceramente aiutarli: egli è obbligato a strappare ogni
giorno qualche cosa dal suo cuore, a spogliarsi del suo egoismo,
dei suoi pregiudizi. Per aiutare gli altri, non basta infatti
presentarsi con buone intenzioni e buoni sentimenti:
interiormente c’è tutto un lavoro di aggiustamento da fare.
Questo lavoro richiede dei sacrifici; è difficile, doloroso, ma
quanto è benefico!”

Omraam Mikhaël Aïvanhov

“Viaggio immaginario”


di Angela Ragusa

…notte da non dormire
se ad occhi aperti
ti vedrò danzare
tra stelle come luci
di un firmamento
mai scoperto
nel viaggio immaginario
di un errabondo navigare
che conduce
lontano a perdersi
tra infiniti spazi
del mio continuo ricercarti…

“PETER PAN” al Piccolo Teatro di Catania


di Daniela Domenici

Quando il teatro è voglia di trasmettere messaggi positivi anche attraverso  una delle più celebri fiabe di tutti i tempi, quando il teatro è voglia di stupire, di emozionare, di coinvolgere, di divertire: questo è stato “Peter Pan” sul palcoscenico dal Piccolo teatro di Catania per tre repliche, più una seconda pomeridiana ieri, aggiunta all’ultimo momento per la troppa affluenza di pubblico.  

Iniziamo i nostri complimenti  dalla drammaturgia “ad hoc” di L.M. Ugolini alla perfetta regia del “patron” di questo teatro, Gianni Salvo e alle musiche pertinenti di Pietro Cavalieri.

Una “standing ovation” a parte meritano le scene e i costumi che Oriana Sessa ha saputo immaginare e creare per questa celebre fiaba; per le scene l’idea di utilizzare, per esempio, un baule decoratissimo sia come “cassetto dei sogni” che come tolda della nave di Capitan Uncino o i letti dei tre fratellini, Wendi, Gianni e Michele, come luoghi di passaggio, strade o l’idea di un velo di tulle per le nuvole-cuscino, tanto per citarne alcune, sono state, secondo noi, assolutamente perfette. E un “bravissima” se lo merita anche per gli splendidi, coloratissimi   costumi, su tutti l’incredibile corvo Salomone ma anche il coccodrillo-sveglia, il cane Nana e la Fata dei cassetti.

E ora passiamo a tributare i nostri complimenti più calorosi e meritati ai protagonisti di questa fiaba, ognuno di loro ha interpretato più di un ruolo, cambiando quindi abito e make up (tutti molto complicati) in velocissimo tempo reale. “In primis” a Egle Doria che interpreta, oltre ad altri ruoli, quello del protagonista, Peter Pan, con una grazia, un’agilità e una simpatia davvero travolgenti; e con lei vogliamo applaudire Ezio Garfì e Nicola Alberto Orofino che, oltre a impersonare i due fratellini, sono divertentissimi nei ruoli, rispettivamente, di Spugna e Capitan Uncino ma anche in altri. Brava anche Tiziana Bellassai, magica nella parte della Fata dei Cassetti, una specie di “narratrice” dell’intera vicenda, e anche Alessandra Lombardo nel ruolo di Wendi che diventerà l’amica del cuore di Peter ma che, alla fine della fiaba, vorrà tornare, con i suoi fratellini, a casa. E un bravo anche a Giuseppe Carbone che ha saputo caratterizzare ironicamente uno dei bambini dell’Isola Che Non C’è, Fischietto.

Vogliamo concludere con una notazione di carattere, per noi, assolutamente positivo: il vedere così tanti bambini con i loro genitori assiepare ogni posto e ogni scalino di questo teatro in una domenica pomeriggio ci è sembrato un ottimo indice di voglia di trasmettere cultura ai propri figli non lasciandoli, come spesso succede, soli davanti al televisore ma facendo conoscere loro e apprezzare la magia del teatro sin da piccoli.