Tè letterario ad Augusta


Domani 16 dicembre presso la libreria Letteraria dalle ore 18 “TE’ LETTERARIO”!

I nostri due librai, Viviana e Francesco, coadiuvati dalla amica-sorella Marinella, offriranno un tè caldo e pandoro e panettone a tutti coloro che vorranno trascorrere qualche piacevole momento per le strade del nostro centro storico e questo potrebbe essere l’occasione adatta per dare una sbirciatina tra le proposte letterarie del momento e magari trovare il regalo giusto per Natale!

Quindi… non prendete impegni per il pomeriggio e volate dritti dritti da Letteraria!

La prima donna a circumnavigare l’Australia in kajak


Prima donna circumnaviga Australia

SYDNEY – Dopo 332 giorni di remate, la prima donna a circumnavigare l’Australia in kayak ha raggiunto oggi Queenscliff presso Melbourne, da cui era partita il 18 gennaio, accolta da una folla di sostenitori. La tedesca Freya Hoffmeister, 45 anni, ha compiuto l’impresa in solitario, su una distanza di 15.166 km attorno alla costa australiana, pagaiando fino a 60 km al giorno, dribblando coccodrilli, serpenti di mare e meduse velenosissime.

Una volta uno squalo ha azzannato la poppa, lasciando due buchi sul fianco del kayak. Hoffmeister ha completato il periplo in 28 giorni meno del solo altro kayaker a compiere l’impresa, il neozelandese Paul Caffyn nel 1982. “Ho fame e voglio togliermi questo costume”, sono state le sue prime parole a terra. The Woman in Black, chiamata cosi per la sua muta nera, ex ginnasta e paracadutista, campionessa di maratona e di campionati di eskimo groenlandese, ha già circumnavigato l’Islanda nel tempo record di 33 giorni nel 2007.

Tre mesi dopo é diventata la prima donna ad aver percorso il periplo della Nuova Zelanda senza alcun supporto. Oltre alle sue prodezze sportive, Hoffmeister ha aperto una catena di sette gelaterie, un bistrò e un negozio di articoli natalizi.

fonte ANSA

Progetto “Il lavoro in carcere”


di Francesco dal carcere di Augusta

Oggi vorrei parlare di una questione estremamente delicata del pianeta carcere: il lavoro in carcere.

Il lavoro appartiene semplicemente all’essere dell’uomo in quanto significa, in genere, un essere attivo nel mondo. Una delle condizioni più penose e meno comprensibili della vita in carcere è indubbiamente l’ozio: uno stato di noia mortale.

Il lavoro è occasione per evidenziare e testimoniare le proprie capacità e la valenza del proprio status: un’esperienza umana insostituibile che contribuisce alla crescita personale, favorisce il raggiungimento di equilibri personali, familiari e sociali.

Il lavoro diventa “perno centrale” nella vita e può condizionare mutamenti, decisioni, soluzioni esistenziali anche determinanti. La complessa problematica connessa con il lavoro penitenziario suppone un quadro di riferimento che include considerazioni sociologiche, giuridiche ed economiche. Nell’ambito della stratificazione sociale, la categoria dei detenuti è inserita, nella corrente sociologica, tra le categorie marginali o emarginate, i cosiddetti “luoghi poveri”.

L’attenzione verso le categorie marginali come i detenuti, a parte le lentezze abituali, non si è sempre espressa in un piano di interventi organicamente e moderatamente  collocato, ma le profonde trasformazioni della società contemporanea hanno esercitato un determinante influsso anche sulla realtà carceraria. Per cui a una notevole incidenza culturale politica non si è sottratta neppure la “questione lavoro” che ha vivamente segnato la conoscenza degli stessi detenuti ai quali occorre oggigiorno assicurare non belle parole e nobili intenzioni bensì concrete opportunità di una scelta diversa a quella criminale e quindi “qualificazione professionale” e “attività produttive”. A ciò aggiungasi che gli orientamenti comuni degli studiosi, coerentemente col dettato della Costituzione che postula la finalità rieducativa e perciò riabilitativa e risocializzante della pena, concordano nell’affermare che il lavoro costituisce uno strumento fondamentale di redenzione e riadattamento alla vita sociale. Esso acquista valenza liberatoria, è realtà unificante rispetto alla separatezza della detenzione, rompe le attuali divisioni tra carcere e società. Le carceri, un tempo separate dalla società civile per necessità, tradizione e cultura, si sono aperte in questi ultimi decenni al mondo esterno, al territorio facendo emergere una nuova visione della pena indicata come “cultura del dialogo”, capace di garantire, a quanti concretamente lo vogliono, un reinserimento, aiutando chi ha sbagliato.

Occorre quindi consolidare l’impegno attorno all’uomo in detenzione incrementando un umanesimo solidaristico capace di sfatare luoghi comuni. In sostanza si tratta di tradurre in termini di concretezza operativa il campo della solidarietà. In questo senso il lavoro intramurario non assume il significato di premio, non rappresenta una concessione, tanto meno una semplice terapia. Esso può configurarsi come “diritto”, come “diritto-dovere” la cui assenza risulta senz’altro “desocializzante”. E’ auspicabile, perciò, una più determinante e incisiva attuazione di piena solidarietà attorno all’uomo in detenzione che veda un coinvolgimento delle componenti politico-produttive sindacali e del volontariato in quanto si ritiene possano essere feconde premesse e sostegno delle iniziative fattibili nell’immediato. E’ la politica dei piccoli passi che condiziona e determina le grandi riforme spesso internazionali.

In conclusione sia consentito affermare che siffatta metodologia, se attuata e che già ha avuto sperimento pratico in varie regioni, consentirebbe, una volta emanati i decreti attuativi della legge 193/2000 “legge Smuraglia”, forme diverse di organizzazione del lavoro e quindi nuove e concrete possibilità occupazionali a quanti vivono nelle carceri. Quindi il lavoro quale strumento privilegiato per il recupero sociale. Esso, infatti, riveste un ruolo di primaria importanza nel processo di risocializzazione per un soggetto in esecuzione penale perché consente alla persona detenuta di intraprendere un cammino di “responsabilizzazione” e di conformità alle regole giuridico-sociali nonché di soddisfare esigenze personalistiche  di gratificazione emotiva e professionale. L’appagamento professionale, inteso quale effettiva possibilità per il detenuto di contribuire al sostegno economico del proprio nucleo familiare, favorisce il recupero dei valori di solidarietà e responsabilità e innalza la spinta motivazionale per la prosecuzione del percorso intrapreso prevenendo il rischio di nuove condotte criminose.

Il reinserimento sociale e lavorativo della persona detenuta in Sicilia è processo problematico date le oggettive difficoltà economiche e sociali del contesto territoriale siciliano. Il percorso riabilitativo e di reinserimento lavorativo, che si presenta già comunque con difficoltà nella maggior parte del territorio nazionale, risulta difatti assai più disagevole in Sicilia dove si aggiungono aspetti da sempre discriminatori per i soggetti che hanno pagato il loro debito con la giustizia i quali hanno già alle spalle, nella maggioranza dei casi, un vissuto di disagio e crescente marginalità senza protezioni sociali. In tale situazione estremamente problematica l’inserimento lavorativo per la persona con pregiudizi penali assume un valore ancora più forte poiché è solo attraverso l’attività lavorativa che la persona può concretamente cambiare lo stile di vita finalizzato alla “non reiterazione dei reati”.

Qui ad Augusta, casa di reclusione e, in particolare, per i detenuti del circuito “alta sorveglianza”, detenuti quindi con ergastolo e pene altissime, in atto il posto assegnato a ognuno che è chiamato a svolgere il “lavoro” non può essere modificato e perciò non possono svilupparsi ambizioni né in bene né in male oltre quella offerta dall’amministrazione: spazzino o spesino.

A ciò aggiungasi che in questi anni di vita della Casa di Reclusione di Augusta non è stato assunto, da chi istituzionalmente preposto, un comportamento coerente con quanto contenuto nella normativa . Infatti nulla si è fatto per reperire le risorse necessarie al fine di predisporre adeguarti piani di riconversione e riqualificazione delle esistenti manifatture penitenziarie né è stata prevista dall’amministrazione, nel suo budget, alcuna voce di spesa per formare almeno quei quadri che avrebbero dovuto assicurare le condizioni minime indispensabili per sviluppare il lavoro qui ad Augusta. C’è bisogno di una sinergia di tutti gli enti, pubblici e privati. C’è bisogno di una progettualità regionale del provveditorato finalizzata al rilancio e al rinnovamento dell’amministrazione penitenziaria avendo, tra le priorità, proprio quella di una progettazione di interventi tesa a incentivare le opportunità di lavoro sia all’interno degli istituti che all’esterno e capace, soprattutto, di creare continuità tra “dentro” e “fuori” per costruire così concrete occasioni di recupero sociale. Una nuova politica penitenziaria regionale che agisca contestualmente su più fronti per incrementare i posti di lavoro disponibili per i detenuti sia all’interno che all’esterno degli istituti penitenziari ponendo particolare attenzione all’instaurazione e al consolidamento di una stabile rete di rapporti e intese con gli enti istituzionali territoriali (regioni, province, comuni) e con le associazioni e il terzo settore per la qualificazione del lavoro penitenziario e la creazione di nuove opportunità d’impiego per i detenuti. E’ necessario, quindi, sperare per la definizione di un protocollo d’intesa con l’unione regionale delle camere di commercio e le associazioni di categoria regionali. La creazione di una rete stabile di rapporti e collaborazioni tra i diversi attori istituzionali e dell’imprenditoria darà impulso alle attività produttive che si concretizzeranno all’interno dell’istituto con obiettivi e finalità posti dal progetto “Lavoro in carcere”. Inoltre sarà fondamentale far acquisire ai detenuti una preparazione professionale adeguata alle condizioni lavorative per agevolarne il reinserimento sociale. L’amministrazione penitenziaria dovrà avere la capacità di progettare e predisporre una serie di esperienze formative e professionali realmente utili che devono essere in grado di far acquisire ai detenuti un bagaglio di conoscenze e di abilità tecniche spendibili nell’avviamento di un’attività autonoma oppure nell’offerta di manodopera sul libero mercato. E’ ovvio, pertanto, che il lavoro intramurario, nel suo complesso, appare in grado di raggiungere soltanto una parte degli obiettivi per i quali esso è previsto rimanendo relegata in secondo piano quella che dovrebbe essere la finalità di gran lunga assorbente: il reinserimento attraverso la qualificazione professionale.

In particolare tutte le parti chiamate in causa devono concordare sull’opportunità di ricercare e attuare misure volte al sostegno e al reinserimento sociale e lavorativo di detenuti, ex detenuti e sottoposti a esecuzione penale esterna affinché vengano applicati i benefici previsti dalla legislazione nazionale e regionale. Si impegnano a valorizzare le lavorazioni interne agli istituti penitenziari, a promuovere intese operative, anche a livello locale, per incentivare le ipotesi previste dalla vigente normativa per la gestione, da parte di terzi, delle lavorazioni penitenziarie come pure per favorire progetti di cooperative sociali, formate anche da detenuti, internati, ex detenuti o ex internati che abbiano lo scopo di creare posti di lavoro interni ed esterni agli istituti penitenziari  e che offrano garanzia di fattibilità e di continuità basate anche su commesse pubbliche.

E ancora, concordare sull’opportunità di promuovere congiuntamente, attività finalizzate alla produzione di beni e servizi per il mercato realizzati all’interno e all’esterno degli istituti di pena in base alle effettive possibilità occupazionali esistenti sul territorio nel confronto con gli organismi competenti a livello regionale. In tale ambito le parti si dovranno impegnare a promuovere e stimolare commesse di lavoro per i detenuti da parte di enti pubblici, cooperative sociali e imprese.

La presente idea non rappresenta, ed è ben chiaro per chi ha esperienza in merito, la “soluzione” della complessa tematica affrontata sia perché il sistema economico nazionale è in continua evoluzione sia perché, in ultima istanza, appare necessario il riscontro in un costante impegno politico e amministrativo a livello nazionale, regionale e locale, ma sicuramente tutte queste azioni eliminerebbero l’incertezza della posizione dei detenuti e attenuerebbero quella tensione palpabile oggigiorno nelle carceri.

Per quanto detto finora, amico/a lettore, concludo con un monito pr la direzione di questo carcere rivolgendo l’invito che se è vero che il nostro paese attribuisce al lavoro dei detenuti un alto valore per il loro riscatto sociale deve dimostrare, nelle sedi proprie, un comportamento coerente con quanto contenuto nelle stesse leggi. Deve cioè saper reperire le risorse necessarie per rendere economico questo tipo di lavoro. All’amministrazione penitenziaria spetterà il non facile compito e di formulare un piano di intervento realistico programmato nel tempo, e di mobilitare le forze capaci di indirizzarlo e sostenerlo e nell’affiancare la difficile azione del Ministero della Giustizia finalizzata al raggiungimento degli obiettivi complessi e delicati indicati dal legislatore.

La stessa Corte Costituzionale ha avuto modo di esprimersi sul lavoro carcerario evidenziando che “Ben lungi dall’essere in contrasto con la morale esigenza di tutela e rispetto della persona esso (il lavoro) è gloria umana, precetto per molti, dovere e diritto sociale per tutti”.

L’impegno ultimo di   questo progetto è mirato a creare le condizioni idonee per la realizzazione di una nuova mentalità e cultura nella prospettiva di un nuovo rapporto tra il cittadino e la società che ha origine nel riconoscimento del diritto morale e sociale dei detenuti di essere sostenuti e reinseriti nella società allontanando lo spettro della stigmatizzazione etichettante.

Il lavoro diventa quindi una sfida sia per la società che per il detenuto. In tal senso si è ipotizzato di vedere il lavoro come metodica di relazione del soggetto detenuto con la società. Un nuovo strumento di “co-municare”, di mettere insieme qualcosa, di condividere le regole della vita quotidiana per un identico fine. Un linguaggio comune è uno strumento molto forte di partecipazione e confronto. La responsabilità della società nei confronti dei soggetti detenuti è di tipo etico e l’obiettivo è un bene socialmente condivisibile. L’etica diventa uno strumento di comunicazione fra la società, il mondo del lavoro, le regole del lavoro e il soggetto detenuto che, non dimentichiamo, è parte integrante della società stessa.

A tal proposito Hegel diceva: “Il lavoro è il modo fondamentale con cui l’uomo produce la sua vita dando inoltre una forma al mondo”. Io aggiungerei :”diventando la fonte di ogni valentia terrena, di ogni virtù e di ogni gioia”.

Vi lascio riflettere…

vostro Francesco

Over 60 alla riscossa


di Giuseppe Tringali

OVER 60 ALLA RISCOSSA

Rosalba e Filippo Musumeci, una coppia marito e moglie di Augusta che tornano a far parlare di loro, questa volta alla gara nazionale di ballo tenutasi ad Acireale lo scorso 5 dicembre in occasione del “10° Trofeo Archimede”, classificandosi al primo posto nella categoria “over 60”.

Non sono bastati gli ultimi successi ottenuti quest’anno ai campionati di Rimini, tra l’altro unica coppia siciliana a classificarsi come finalista e neppure quelli ricevuti gli anni addietro perchè Rosalba e Filippo Musumeci, insegnante lei e verniciatore pensionato lui, presentati dalla Scuola “C.A.B.S. Emilstef Dance” di Viagrande, anche questa volta ci hanno riprovato, superando se stessi e ricevendo larghi consensi sia dalla giuria che dal pubblico presente in sala che ha assistito ammaliato alla strepitosa esibizione di balli latino-americani offerti dai nostri graziosi, seppur attempati personaggi.

Filippo e Rosalba dunque, un esempio di originalità per cancellare l’immagine tradizionale del sessantenne impegnato nella corsetta della stradina di campagna, per sconfinare nella professionalità, nella passione, nella competitività, nell’ambizione che non teme il tempo e lo spazio, come quello offerto da una grande pista da ballo costernata da una parte di pubblico che punta gli occhi col pregiudizio che potreste non potercela fare.

E invece eccoli a saltare, a scattare, a girarsi e rigirarsi, a volteggiare come farfalle inseguite dal vento, fino ad adagiarsi ad un infinito scroscio di applausi.

Siamo certi che sentiremo riparlare presto della promettente, giovanile e spirituale coppia Rosalba e Filippo Musumeci.

da http:///augustanews.tk

Depressione: combattila con un abbraccio


di Matteo Clerici

Depressione: combattila con un abbraccio
» Coccole carezze e gentilezze varie contro i disturbi dell’umore, come la depressione.

E’ il consiglio di una ricerca, opera di studiosi canadesi e pubblicata dal quotidiano “The Globe and Mail”.

Gli scienziati hanno revisionato i dati raccolti dal Canadian Community Health Survey, indagine sulla salute dei cittadini condotta nel 2007. Essi hanno così scoperto come i soggetti che ricevevano con più frequenza manifestazioni fisiche d’affetto avevano, con più probabilità, una salute mentale migliore dei “trascurati”.

Come spiega il dottor Jack Jedwad, direttore direttore della sede di Montreal dell’Association of Canadians Studies: “Tra le persone che ricevono attenzioni e dimostrazioni di affetto e coloro che invece non ne ricevono, ci sono differenze sostanziali ed evidenti. Ecco perché raccomando di ricevere molti abbracci”.

Gli scienziati canadesi, infatti, mostrano come il 60% dei soggetti che si dichiaravano felici e sereni erano quelli che godevano di maggior affetto da parte di altre persone e che ricevevano molti abbracci.

da www.newsfood.com

Minori: se la bambola è down


di Sara De Carli

Arriva in Italia il bambolotto spagnolo con i tratti tipici di chi ha la trisomia 21 

«Basta sia chiaro che non è una bambola per bambine down». Commenta così Anna Contardi, presidente dell’Associazione italiana persone down, la notizia dello sbarco in Italia di Baby Down, la bambola con i tratti somatici di una bimba con trisomia 21. Occhi allungati, lingua un po’ all’infuori, dita dei piedi leggermente separate, Baby Down è nata in Spagna due anni fa, da una collaborazione tra la casa produttrice Super Juguete e la Fundacion Down Espana. 

In Italia è in vendita on line, al prezzo di 34,90 euro. L’importazione è della Cangillo Interni, la distrubuzione della cooperativa sociale bolognese Il Martin Pescatore, che dà lavoro a persone con disturbi psichici gravi. Saranno loro ad imballare le bambole e a spedirle a destinazione. Il ricavato delle vendite sosterrà le attività della stessa cooperativa ma anche quelle di due associazioni locali: l’associazione Retinite Pigmentosa dell’Emilia Romagna (che non si capisce bene cosa c’entri) e il Ceps-Centro emiliano problemi sociali per la trisomia 21. Dal punto di vista dell’impresa, dentro la cooperativa Il Martin Pescatore con gli introiti nascerà un laboratorio di sartoria per creare i vetsitini per la bambola. «Più i bambini conoscono la trisomia 21, meglio è», riflette Anna Contardi, «per questo è una cosa buona che i bambini abbiano un bambolotto down accanto alla brabie e alla bambola nera: cominciano a familiarizzare con i loro futuri compagni di classe. L’importante è considerarla una cosa fra le tante, non pensare che l’integrazione sia risolta così. Per questo deve essere considerata una bambola per tutti, non per bambini down: non c’è alcuna ragione per cui per un bambino down sia meglio giocare con una bambola che ripete i suoi tratti somatici: deve giocare con tutte le bambole, come gli altri».

 Anche nella versione italiana, come già in quella spagnola, ad accompagnare la bambola c’è un piccolo opuscolo con indicazioni sulle attività più indicate per stimolare le capacità intellettive e sensoriali deibambini down. Ma diversamente da quel che è successo in Spagna, l’Aipd – che è la mggiore associazione italiana sulla sindrome di down – non è stata interpellata: più che indicazioni sulle attività da far fare alla bambola, in quel foglietto, per la Contardi «sarebbe utile spiegare ai piccoli chi è un bambino down».

 da www.vita.it

Le carceri lombarde aprono i cancelli alla cittadinanza


Le carceri lombarde aprono i cancelli alla cittadinanza. Si chiama “Carcere aperto” l’iniziativa di apertura al cittadino degli istituti di pena lombardi che si apre oggi e si svolgerà lungo tutta la settimana: un’occasione per conoscere il sistema penitenziario regionale, chi ci lavora, chi fa progetti sociali e culturali, chi è a fianco, quotidianamente, alle persone sottoposte a provvedimenti dell’autorità giudiziaria e chi ha colto la possibilità di un cambiamento. L’iniziativa è promossa da Regione Lombardia d’intesa con il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria e il Centro giustizia minorile. Gli istituti coinvolti sono Milano-San Vittore (14 dicembre), Milano-Opera (18 dicembre), Cremona (15 dicembre) e l’Istituto penale minorile Beccaria di Milano, promotore della seminario in programma il 16 dicembre presso la Sala Pirelli di Regione Lombardia.

“Il carcere potrebbe essere accusato di essere arroccato e di non dare trasparenza all’esecuzione penale, ma conoscere ed entrare in carcere dovrebbe essere anche un anelito della società -dice Luigi Pagano, provveditore regionale alle carceri: dovrebbe essere l’anelito della società-. Se nessuno guarda dentro al carcere, gli sforzi di trasparenza rischiano di essere invisibili. Speriamo che l’occasione del carcere aperto non sia episodica perché è nel quotidiano che si gioca la partita: bisogna evitare che si parli di carcere solo quando succede un dramma o quando si fa un’attività, magari molto bella, ma sopra le righe”.

Questo il programma in sintesi: oggi, 14 dicembre 2009, giornata di apertura dell’Istituto Penitenziario di San Vittore, con accoglienza delle scuole che hanno aderito all’iniziativa, la presentazione del documentario “Sicut erat non tarrat mai” di Bebo Storti (finalizzato a diffondere la conoscenza della situazione carceraria lombarda) e un confronto sul tema della legalità a cui pateciperanno rappresentanti del terzo settore, dell’associazionismo e della cooperazione attivi nel carcere di San Vittore. Nel pomeriggio, esibizione del gruppo musicale Vlp Sound. Domani, 15 dicembre, porte aperte al carcere di Cremona, dove nel pomeriggio (ore 15) la cooperativa Estia/Teatro in-stabile sarà di scena con una replica del nuovo spettacolo “Il rovescio e il diritto” diretto da Michelina Capato Sartore e, alle 17, alcuni musicisti detenuti si esibiranno in un concerto per pianoforte. L’iniziativa si chiuderà il 18 dicembre con gli appuntamenti in programma nel carcere di Milano-Opera. Stesso schema per il mattino: porte aperte alle scuole, con proiezione del documentario di Bebo Storti e confronto sul tema della legalità. Nel pomeriggio, alle 16, lo spettacolo teatrale  “I luoghi dell’altro – ninna nanna anestetica per materiali organici organizzati”, messo in scena dalla compagnia Opera Liquida con attori reclusi della sezione comuni.

Per poter accedere alle Case di Reclusione e agli spettacoli in programma è indispensabile che ciascun partecipante faccia pervenire i propri dati personali (nome e cognome, data e luogo di nascita, residenza completa, estremi del documento di indentità in corso di validità e un recapito telefonico) via mail a: prenotazioni@cooperativaestia.it. Per facilitare l’invio dei dati è disponibile un form apposito. Il pubblico interessato può farne richiesta alla mail di Cooperativa e.s.t.i.a. o telefonando al numero  331.5672144. Gli spettatori autorizzati all’ingresso riceveranno dai responsabili delle giornate di apertura di ciascun istituto di pena una mail di conferma con indicazione delle procedure a cui attenersi per l’accesso. L’ingresso agli spettacoli è gratuito fino ad esaurimento dei posti disponibili. I dati personali devono essere inviati entro 3 giorni dalla data per cui si richiede l’accreditamento. Info: www.cooperativaestia.it. (ar)
fonte redattoresociale

da www.dirittiglobali.it

“Vestirsi per scendere e spogliarsi per risalire”


Senza saperlo, ogni giorno voi ripetete i due grandi processi
cosmici della discesa nella materia e della risalita verso lo
spirito, dell’incarnazione e della disincarnazione, della
nascita e della morte. Vestendovi al mattino, cominciate con
l’infilarvi i vestiti più leggeri: maglietta, camicia… e
continuate con vestiti sempre più pesanti, sino ad arrivare al
cappotto se dovete uscire al freddo. Così pure, per incarnarvi
sulla Terra, siete entrati in corpi sempre più densi: il corpo
mentale, astrale, eterico, sino al corpo fisico.* Quando la sera
vi spogliate per coricarvi, avviene il processo inverso: vi
togliete ad uno ad uno tutti quegli involucri. Allo stesso modo,
un giorno vi libererete dei vostri vari corpi per ritornare
nell’altro mondo.
Tutto ciò che richiama il vestito o l’involucro, simbolizza
l’incarnazione nella materia. Ci si veste per scendere, e ci si
spoglia per salire e raggiungere nuovamente la regione dello
spirito. Togliersi i vestiti significa attraversare il mondo
opaco delle apparenze per scoprire la realtà dello spirito. ”

Omraam Mikhaël Aïvanhov