Tinge i capelli rossi del figlio per nascondere adulterio


Per quattro anni una giovane donna russa ha tinto i di suo figlio per nascondere al marito la vera paternità del piccolo, avuto con un amante anche lui con i . La storia, dai risvolti imprevisti, é raccontata dal tabloid Komsomolskaia Pravda.

Masha, questo il nome di fantasia di una donna della , ai confini con gli , non aveva perso tempo quando il suo fidanzato era partito verso il Nord per motivi di lavoro ed era rimasta incinta nella relazione avuta con un nuovo partner “pel di carota”. L’amante avrebbe voluto sposarla, ma lei preferì restare accanto al fidanzato, con il quale poi partì per il Nord, dove si sposò e nacque il bimbo.

Non trovando di meglio, in ospedale la donna usò del mascara per scurire i pochi ciuffi rossi del neonato e non insospettire il marito, un uomo dai capelli castani. Poi, per quattro anni, usò della tinta ma con il tempo cominciò a tradirsi. Dapprima trascurando l’operazione di tintura, che lasciò trapelare qualche capello rosso, poi dimenticando una confezione di colore, subito scoperta dal marito.

“E’ di una mia amica”, tentò di giustificarsi. Ma ormai l’uomo aveva capito e chiese il divorzio. Masha decise allora di tornare in Baschiria e di chiedere aiuto finanziario al vecchio amante. “Vedi, è tuo figlio, mi devi aiutare”, disse. L’uomo si intenerì di fronte alla vista di quel figlio che gli assomigliava anche nel colore dei capelli e decise di fargli da papà a tutti gli effetti. Lei, però, ha nascosto le foto nelle quali il bimbo appare con i capelli tinti.

da www.blitzquotidiano.it

se volete leggere la notizia originale da cui ho tratto la foto ecco il link

http://www.kp.ru/online/news/579196/

Lettere: il Comitato educatori penitenziari con Rita Bernardini


Il Comitato vincitori/idonei del concorso per educatori penitenziari sta diffondendo e sollecitando adesioni e sostegno all’iniziativa intrapresa dall’Onorevole Rita Bernardini giunta al dodicesimo giorno di sciopero della fame per chiedere la calendarizzazione della mozione n° 250, presentata alla Camera lo scorso 19 novembre, sulla situazione di degrado, affollamento ed estrema sofferenza in cui versano le carceri italiane.

L’obiettivo dell’Onorevole Bernardini e dei Deputati che hanno sottoscritto la mozione, è di avviare celermente un’indagine intorno al pianeta carcere, individuando strategie e percorsi che possano restituire all’esperienza carceraria quella sua natura rieducativa, di riflessione e di riprogettazione di se stessi che coloro i quali si trovano a vivere tale esperienza dovrebbero avere occasione di fare all’interno delle strutture carcerarie, come espressamente previsto dall’art. 27 della nostra Costituzione.

Invitiamo, dunque, tutti gli operatori penitenziari ad aderire a tale iniziativa non violenta, poiché in un paese democratico e civile non è possibile che si giunga ad un livello tale di intollerabilità di presenze nelle carceri senza che lo Stato si interroghi immediatamente e concretamente sulle motivazioni che hanno generato una simile situazione che palesa l’evidente involuzione del compito affidato all’istituto di pena.

Ci troviamo, dunque, di fronte ad una vera e propria emergenza sociale rispetto alla quale nessuno può esimersi, bensì questa battaglia di civiltà deve permeare trasversalmente ogni azione politica, in quanto l’uomo ne è il suo fulcro. Pertanto, ci uniamo all’Onorevole Bernardini e chiediamo l’immediata calendarizzazione della mozione ed altresì l’apertura di un dibattito che tenga conto della complessità di equilibri, di processi e dinamiche che si celano dietro quelle sbarre, acquisendo quale assioma di partenza la funzione rieducativa e risocializzativa che il carcere deve essere in grado di fornire a chi lo vive, poiché chi varca il suo cancello è sì detenuto, ma continua ad essere persona dotata delle sue apicalità, dei suoi diritti e dei suoi doveri.

da www.ristretti.it

Le carceri secondo Fleres


di Rosamaria Gunnella

Gli episodi accaduti negli ultimi tempi negli istituti di pena italiani, decessi, sommosse, tentate evasioni, hanno riportato prepotentemente alla ribalta la difficile situazione in cui versa il “pianeta carcere”del nostro Paese. Le circa 200 strutture penitenziarie italiane attualmente utilizzate, alla data del 18 novembre 2009, hanno una capienza di 43.074 detenuti, estendibile ad una capacità massima consentita pari a circa 64.111 unità. Se si pensa che alla stessa data il numero dei detenuti è superiore al massimo consentito, allora si capisce come grande e urgente sia la soluzione del problema, che riguarda anche molti altri aspetti. A tal proposito abbiamo ascoltato il senatore del Pdl, Salvo Fleres, garante dei diritti dei detenuti in Sicilia e coordinatore nazionale dei garanti regionali.

In questi giorni si è parlato molto del sistema penitenziario del nostro Paese. Qual è la situazione attuale?

E’ sicuramente una situazione molto difficile e complessa. Attualmente in Italia ci sono oltre 65.702 detenuti dei quali 24.326 sono immigrati e più di 19.000 risultano tossicodipendenti e condannati per reati legati allo loro condizione sanitaria.  Questi numeri sono sufficienti per comprendere come le condizioni di vivibilità intracarceraria diventano insopportabili e disumane per i detenuti e assolutamente difficili e stressanti per gli agenti di polizia.

Quali sono le condizioni di lavoro della polizia penitenziaria?
Gli agenti di polizia hanno turni massacranti e al limite dei diritti dei lavoratori, e non solo a causa di un numero maggiore di detenuti sui quali occorre vigilare. Su un numero complessivo di 35.287 agenti, gli effettivi sono circa 34.000 con una riduzione di quasi 5000 unità negli ultimi cinque anni rispetto all’organico. Per questo ho proposto il rientro immediato del personale di custodia adibito ad altre funzioni e una redistribuzione dello stesso per una migliore efficienza della loro attività.

Come pensa di risolvere il problema dei tanti extracomunitari che affollano le nostre carceri?

Con accordi internazionali che consentano di far scontare la pena ai condannati stranieri nei loro paesi di origine, con il limite però per quei paesi dove è consentito l’uso della tortura e la pena di morte o dove non vi sono garanzie circa il rispetto delle convenzioni internazionali sui diritti umani.

E per quanto riguarda i tossicodipendenti?

Credo che delle convenzioni con comunità e strutture adibite per il loro recupero, anche per quei soggetti che sono sottoposti a cure psichiatriche, possano ovviare alla loro detenzione in carcere.

Un grande problema della situazione penitenziaria sono le stesse carceri, spesso situate in edifici inadeguati. Quale soluzione ritiene possibile?

Sicuramente la chiusura immediata delle strutture eccessivamente fatiscenti che determinano un trattamento inumano per i detenuti e anche per l’attività degli stessi operatori dell’amministrazione penitenziaria e, contemporaneamente, l’apertura di carceri già realizzate ma mai aperte a causa della lentezza burocratica. Ritengo inoltre che occorre recuperare le strutture penitenziarie con interventi infrastrutturali che rendano civile la detenzione e meno stressante l’attività dei vigilanti. Per fare un esempio, la mancanza di docce nelle celle, oltre a rendere difficile la permanenza per i detenuti, soprattutto nei mesi caldi, obbliga un’attività supplementare degli agenti che li devono seguire nel percorso e poi restare presenti durante l’utilizzo.

Quindi ci vogliono nuovi penitenziari?

Sono convinto che si debba ricorrere immediatamente al project financing per la dismissione di quelle carceri che sono ubicate nei centri storici, in vecchi edifici prebellici che non offrono alcuna garanzia dal punto di vista igienico, e per la realizzazione di nuove e moderne strutture che possono favorire, con la presenza di centri di socializzazione ,impianti sportivi, laboratori e aule scolastiche, il percorso rieducativo dei detenuti.

Una situazione difficile è anche quella dei bambini che sono “detenuti”con le loro madri…

A riguardo la mia proposta è quella di recuperare le strutture penitenziarie piccole non più in uso e destinarle a figure particolari del panorama carcerario, come appunto le donne in presenza di prole, utilizzate quindi come una casa famiglia.

Crede che, per quanto riguarda i detenuti per reati minori, sia possibile un diverso atteggiamento detentivo?

Fermo restando che bisogna garantire comunque la certezza della pena, sia quella alternativa che quella intramuraria, credo sia possibile l’applicazione di pene alternative per i reati minori. Per questo ho suggerito la realizzazione di strutture carcerarie a custodia attenuata per questi reati e anche per alcune tipologie di rei: incensurati, superiori ad una certa età, malati.

A proposito di detenuti malati…

Ritengo che per risolvere questo problema sia necessario un accordo nazionale con il Ministero della Salute che preveda la presenza in ogni ospedale situato in città sede di un Istituto penitenziario, o almeno in ogni provincia, di un reparto “blindato” per il ricovero di detenuti, migliorando così l’aspetto medico-sanitario riducendo i costi di sorveglianza.

 da www.opinione.it

Argentina: sospeso il primo matrimonio gay


gay-freyre-dibelloL’autorità giudiziaria dell’ ha ordinato la sospensione del primo matrimonio gay nel Paese, previsto per domani.

A sposarsi dovevano essere e , che avevano scelto come data delle nozze il primo giorno di dicembre, giornata mondiale per la lotta contro l’Aids.

La sospensione dell’evento è stata ordinata dalla giudice Marta Alsina, a seguito della presentazione di un ricorso presentato da un privato cittadino.

da www.blitzquotidiano.it

Disabili “scartati” su un’isola deserta…


di Franco Bomprezzi

Prima o poi doveva succedere. E’ successo. Un reality stile Isola dei famosi dedicato interamente alle persone disabili. Ci ha pensato in Inghilterra Channel 4, il programma si chiama “Cast offs”, ovvero gli scartati. Niente male per definire sei persone “toccate” dalla disabilità. Un cieco con la passione delle armi (?), una sorda incinta (mah…), un paraplegico in sedia a rotelle, una donna nana (ma, dicono quelli della tv, dal carattere forte… e perché non dovrebbe avere un carattere forte?), e poi un uomo con i segni del talidomide (ossia senza braccia, con le mani direttamente attaccate alle spalle), per finire con una donna affetta da cherubismo (deformazione del viso, della mascella…). Questi sei personaggi per tre mesi sotto le telecamere per dimostrare le loro abilità, per raccontare la loro vita, per mettersi a nudo proprio rispetto a ciò che la curiosità morbosa della gente si aspetta, ovvero il comportamento in conseguenza della diversità, dell’anomalia, della stranezza.

Sul sito di Channel Four una pagina con interviste, trailers, e per chi vive nel Regno Unito la possibilità di vedere le puntate del programma, che va in onda il martedì alle 23.05. Reazioni positive, a quanto pare, ascolti buoni, soddisfazione dei protagonisti.

Nel mondo anglosassone la disabilità non è un tabù, ci sono da anni programmi che vedono protagonisti anche persone con disabilità fisica, sensoriale e anche mentale. Perciò non c’è da stupirsi se si arriva a ideare un reality di questo genere. Personalmente però trovo questa scelta la conferma che non siamo ancora arrivati a concepire la disabilità come condizione normale, come una delle possibili situazioni di vita delle persone. Il sistema televisivo, i nuovi format, la necessità di stupire e di agganciare segmenti di pubblico nuovo, si sposano perfettamente con l’ambizione sfrenata al protagonismo che anima molti disabili, e non solo loro (basti pensare al nostro Grande fratello).

Temo fortemente l’importazione in Italia di questo format, perché da noi, specializzati nel trash, un programma di questo genere butterebbe a mare i tentativi di corretta inclusione sociale e di buona comunicazione rispetto ai diritti e alla qualità della vita delle persone disabili.

Mi domando ad esempio perché sia ancora impossibile intervistare una persona in sedia a rotelle, o non vedente, o sorda, non “sulla” sua specifica esperienza di disabile, ma “a prescindere” da questa specifica situazione, come persona esperta o competente di “altro dalla disabilità”. Eppure ci sono scrittori, docenti universitari, ingegneri, architetti, avvocati, sportivi, giornalisti, che sono “anche” disabili, ma che potrebbero essere valorizzati per la loro professionalità “normale” in un contesto di pari dignità con tutti gli altri.

Le persone disabili, e spesso anche i familiari, scelgono invece quasi sempre il protagonismo, la storia personale, l’esposizione mediatica con tutto lo stigma possibile, e gli autori dei programmi non fanno niente per evitarlo. Un programma come “Cast offs” (gli scartati, ma vi rendete conto?) potrebbe dunque trovare anche in Italia materiale umano pronto a tutto. Scrivo queste note a futura memoria, mentre a casa mi ingegno a mantenere buoni livelli di mobilità personale anche se ho una gamba protetta da un tutore ortopedico e l’altra ingessata per una frattura. Ma vi assicuro che non voglio le telecamere. Sono bravo e basta…

da www.vita.it

“Scacco Matto…al Re” a Catania


di Daniela Domenici

Una partita a scacchi come metafora della vita e del suo scorrere?

“Scacco matto…al Re”, scritto e diretto da Nicola Costa, primo spettacolo della nuova stagione del Teatro del TRE a Catania che ieri ha concluso le sue repliche, trae spunto da questo per raccontarci la storia dell’amicizia che nasce tra un detenuto, condannato a una pena molto lunga per un reato di mafia, e un agente di polizia penitenziaria nell’immaginario carcere di Poggio Moscato, amicizia scandita dai tempi di una lunga partita a scacchi.

Per Goethe gli scacchi sono il paradigma dell’intelletto; la comune passione per questo gioco eliminerà il divario tra i loro rispettivi ruoli, gli scacchi diventeranno il terreno per un confronto umano e il rapporto di stima, e in fondo anche di affetto, che nascerà tra i due uomini non sarà discriminato né inquinato dalla lunga condanna per associazione mafiosa che il detenuto deve scontare a testimonianza che i valori, quando sono veri, trionfano su qualsiasi preconcetto.

La scenografia voluta dal regista è semplice ed essenziale per rendere visivamente l’idea di come sia esattamente una cella: domina su tutto il nero del tavolino, dei panchetti e della branda; unici sprazzi di colore le lenzuola e l’armadietto bianchi.

Nel ruolo del detenuto Domenico Cannata, detto “’u Re”, un formidabile Franco Colajemma (che abbiamo avuto il piacere di applaudire ieri sera per la prima volta ma che speriamo che si possa ripetere in altre occasioni) che ha saputo rendere tutte le sfaccettature di questa persona sia nella perfetta mimica facciale che nel calore e nella varietà dei toni recitativi che nella gestualità: davvero i nostri più calorosi complimenti.

L’altro protagonista, un bravissimo Gaetano Lembo, direttore artistico dello stesso teatro del Tre, nella parte dell’agente Roccella il quale, convinto che dentro ogni detenuto ci sia comunque un essere umano che può essere reso migliore per quando tornerà a una vita non più “ristretta”, per questo creerà un rapporto con Cannata che diventerà poi di amicizia e affetto.

Nella parte di due agenti, colleghi di Roccella, che non ne condividono il comportamento, secondo loro, troppo permissivo, e che si comportano quindi da “duri” verso il detenuto due allievi dell’Accademia del TRE, Daniele Sapio e Melania Puglisi,; davvero bravo Sapio nella scena della tentata aggressione a Roccella. Un’altra allieva dell’Accademia, Anna Patanè, ben interpreta il breve ruolo della moglie del detenuto; la voce narrante fuori campo, molto importante ai fini di una migliore comprensione della vicenda, è di Riccardo Maria Tarci, attore e regista nonché docente dell’Accademia con Costa e Lembo.

Lo spettacolo si inserisce nell’ambito del progetto “Teatro e Legalità” nato lo scorso anno con la richiesta dell’ on. Salvo Fleres, Garante per i Diritti del Detenuto della Regione Siciliana,  di uno spettacolo scritto ad hoc che narrasse uno spaccato di vita all’interno del carcere e che fosse rappresentato in vari istituti penitenziari con un intento didascalico ma allo stesso di intrattenimento. Nicola Costa, per la stesura del testo, si è avvalso anche del libro “L’ora d’aria” scritto da Salvo Fleres e Paolo Galofaro che, partendo da citazioni di Cesare Beccaria, riporta sentenze, leggi, usi e costumi delle persone che vivono vite ristrette.

Nicola Costa non è nuovo all’approccio col teatro come strumento sociale, ha scritto vari spettacoli che hanno ricevuto premi nazionali quali “La Porta”, “Ritratto di un’isola” e “Terra mia”, quest’ultimo messo in scena lo scorso anno nel carcere di piazza Lanza a Catania e negli istituti scolastici catanesi con più alta dispersione scolastica.

Lo spettacolo, dopo le repliche concluse ieri sera al teatro del TRE, verrà portato domani e dopodomani nel carcere di massima sicurezza di Bicocca a Catania e sarà poi ripreso alla Sala Lomax, sempre a Catania, il 9 e il 10 dicembre.