Caso Cucchi. Bernardini: nessun medico riferì sulle lesioni alle autorità


‘Nel corso del suo calvario dal tribunale all’ospedale Pertini Stefano Cucchi e’ stato visitato e refertato almeno sei volte. Tutti i medici hanno riscontrato ecchimosi e lesioni ma nessuno ha avvertito l’autorita’ giudiziaria. Perche’?’ E’ quanto si chiede la parlamentare Rita Bernardini che questa mattina ha visitato la struttura detentiva dell’ospedale dove il geometra di 31 anni e’ morto il 22 ottobre scorso. L’esponente dei Radicali ha annunciato che in merito sara’ presentata un’interrogazione parlamentare.
‘In genere – ha aggiunto – da parte dei medici c’e’ anzi un eccesso di scrupolo nel riportare eventuali lesioni all’ autorita’ giudiziaria. In questo caso, niente’.
Bernardini, nel corso della conferenza stampa, ha ricordato inoltre che i Radicali da otto giorni stanno praticando lo sciopero della fame per chiedere ‘la calendarizzazione di una mozione, gia’ sottoscritta da oltre 70 parlamentari anche di maggioranza, per aprire in Aula un dibattito sullo stato delle carceri e sulle possibili soluzioni. Le carceri italiane – ha concluso – con l’aumento dei detenuti e il sottorganico degli addetti, sono incostituzionali’
fonte ANSA

www.radioradicale.it/scheda/291855?format=52

a questo link potete ascoltare la egistrazione integrale della conferenza stampa tenuta dai parlamentari subito sopo la visita ispettiva al “Sandro Pertini”

Londra 2012. Alle Paralimpiadi anche le altre disabilità


di Carmen Morrone

L’International Paralympic Committee ha riamesso le discipline praticate da atleti con disabilità mentale.

«Una notizia che, personalmente, attendevo ed auspicavo da tempo», ha commentato Luca Pancalli, presidente del Comitato Italiano Paralimpico.

A partire dalle Paralimpiadi di Londra 2012, pertanto, gli sport INAS-FID torneranno a far parte del programma paralimpico, a distanza di 12 anni dall’ultima apparizione, datata Sydney 2000.

«In questi anni ho cercato di dare il mio contributo affinché la Paralimpiade fosse un evento sempre più universale – ha aggiunto Pancalli – che comprendesse tutti i tipi di disabilità. Il movimento ‘intellettivo’ lo meritava ed è stato giusto aver dato questo tipo di risposte. Entro la fine dell’anno prossimo verranno definite le discipline interessate. Nel frattempo stiamo lavorando per non farci trovare impreparati. Penso, ad esempio, alla creazione di un equipaggio di adaptive rowing formato da atleti con disabilità mentale ma soprattutto alla costituzione della Fisdir (Federazione Italiana Disabilità Intellettiva) e l’ottimo lavoro che sta svolgendo: tutti segnali senza dubbio incoraggianti per il futuro di questo movimento». «Sono consapevole, altresì, che ci sia ancora molto da lavorare – ha commentato il Presidente del Cip – innanzitutto dal punto di vista delle classificazioni, affinché non si possa più parlare di disabilità di serie A e disabilità di serie B ma anche sotto il profilo della sperimentazione e della promozione, tutti aspetti in cui il CIP deve continuare a giocare un ruolo di primo piano».
«La decisione presa dall’IPC rappresenta un importante obiettivo raggiunto dalla nostra Federazione e, più in generale, dal movimento della disabilità intellettiva e relazionale, perchè di fatto elimina un’anomalia che gravava come un macigno dall’ormai lontana Sidney 2000 – ha dichiarato il Presidente della FISDIR, Marco Borzacchini – grazie a questa decisione, inoltre, si aprono nuovi orizzonti per gli atleti della FISDIR». In questo modo è caduto – ha concluso Borzacchini – l’ultimo diaframma che teneva lontana la disabilità intellettiva e relazionale dal più importante evento paralimpico nel mondo”. da www.vita.it

Un altro caso Cucchi? Torinese muore in carcere a Cuneo. La famiglia: «Non è un malore»


Voglio sapere come è morto mio nipote. Se è stato picchiato, se è stato ucciso da qualcuno». A parlare è Graziella Marchese, 71 anni, nonna di Alessio Scarano, 24 anni, torinese, deceduto nella serata di martedì nel carcere di Cuneo dove, sabato scorso, proveniente dalle Vallette, era stato trasferito.
«Da quello che ci hanno comunicato dalla prigione – spiegano la nonna e lo zio del ragazzo, Roberto Fusaro – Alessio si era coricato sulla branda della sua cella dopo aver partecipato ad una partita di calcio nel campetto del carcere. Poi, quando gli agenti si sono avvicinati, lo hanno trovato cadavere. Ci hanno detto che è morto per cause naturali ma lui stava bene, non aveva alcun problema fisico. Per noi questa morte è un mistero e vogliamo vederci chiaro».
La famiglia si è rivolta all’avvocato Roberto Brizio che ha nominato un perito di parte che questa mattina parteciperà all’autopsia, disposta dal magistrato, sul corpo del povero giovane. Dal carcere di Cuneo confermano la morte sospetta: «Secondo un primo referto, il decesso sarebbe sopraggiunto per cause naturali. In ogni caso è stata avviata un’inchiesta interna al penitenziario e si attendono i risultati dell’autopsia».
Ma, sempre secondo la versione ufficiale, il giovane non sarebbe stato trovato cadavere: «Quando il personale di servizio si è avvicinato per somministrargli una terapia, il ragazzo era ancora vivo, ansimava e si è tentato di rianimarlo, anche se inutilmente».
Alessio Scarano era finito dietro le sbarre nel giugno scorso e avrebbe dovuto scontare una pena di 11 mesi per alcune sentenze passate in giudicato, le ultime si riferivano al furto di autoradio perpetrato nel 2004 in alcuni parcheggi del centro città.
Il ragazzo aveva trascorsi da tossicodipendente ma, come sostengono la madre, Maria Teresa Fusaro e la nonna, «Da almeno un anno era uscito dal tunnel della droga, specie dopo il ricovero presso la comunità Arcobaleno all’interno del carcere torinese». Dunque, il giovane non sarebbe dovuto rimanere in prigione ancora per molto: «A maggio sarebbe uscito – dice lo zio – e, a questo punto, io mi chiedo perché sia stato trasferito a Cuneo».
Portato in quel penitenziario senza avvisare i parenti: «I perché su questa morte sono tanti – aggiunge Claudia, un’amica di famiglia – a cominciare proprio dal trasferimento in un carcere di massima sicurezza che era stato costruito per rinchiudere i brigatisti e che, invece, viene utilizzato anche per i poveracci. Senza contare, poi, che Alessio era ormai a fine pena».
Nessuno sapeva, tant’è che lunedì scorso la madre del giovane si è presentata alle Vallette per incontrare il figlio e solo quando è arrivata lì ha saputo che Alessio era a Cuneo. «Noi, per ora, non accusiamo nessuno – dice la nonna – ma abbiamo dei sospetti e non riusciamo ad accettare una morte così, senza un perché».
L’ultima notizia di Alessio vivo, la famiglia l’ha ricevuta poche ore prima della comunicazione della sua morte, nel pomeriggio di martedì, quando alla nonna è stato recapitato un telegramma proveniente dalla casa circondariale cuneese e spedito lunedì: «Ciao nonna, per favore telefona a mamma e dille che mi hanno portato a Cuneo. Baci nonna, ti voglio bene. Alessio».

da www.innocentievasioni.net

Assegnati all’Italia i Mondiali di volley femminile del 2014 e sorteggiati i gironi per i Mondiali del 2010 in Giappone


di Fabio Casu

La Federazione Internazionale di pallavolo (FIVB) ha assegnato all’Italia l’organizzazione dei campionati del mondo di volley femminile del 2014. Per il nostro Paese si tratta di un ulteriore importante riconiscimento ottenuto in campo pallavolistico, visto che il prossimo anno si giocheranno in Italia i Mondiali maschili. La decisione è stata comunicata al Presedente della Fipav Magri a Tokyo, dove si sono svolti i sorteggi dei prossimi Mondiali. Oltre alle due edizioni della competizione iridata l’Italia organizzerà i prossimi europei del 2011 insieme alla Serbia mentre anche per gli appassionati di beach volley non mancheranno gli appuntamenti: nell’estate del 2011 infatti a Roma si disputeranno i Mondiali sia maschili che femminili.

E sono stati sorteggiati a Tokyo i gironi dei prossimi campionati del mondo di pallavolo femminile, che il prossimo anno si terranno in Giappone. Per l’Italia l’urna non è stata troppo benevola visto che ci sarà subito il big-match contro il Brasile, quasi una finale anticipata, più l’ostica Olanda, finalista agli ultimi europei proprio contro le ragazze di Barbolini. A completare la Pool B ci saranno il Kenya, tra le milgiori squadre africane, la Repubblica Ceca e Portorico. L’Italia, tra le grandi favorite, avrà quindi un inizio complicato, ma anche il girone D, con Russia, Cina e Corea del sud tutte insieme, appare una pool abbastanza incerta. Ecco il quadro completo dei gironi del Mondiale giapponese.

Pool A
Giappone, Serbia, Polonia, Peru’, Algeria, Costarica.

Pool B
Brasile, Italia, Olanda, Kenya, Portorico, Repubblica Ceca.

Pool C
Usa, Cuba, Germania, Kazakhstan, Thailandia, Croazia

Pool D
Cina, Russia, Corea del sud, Turchia, Repubblica Dominicana, Canada.

Lettere: nel nostro sistema carcerario doppia “pena di morte”


di Don Enzo Mazzi, fondatore di Exodus

Quest’anno 63 detenuti si sono uccisi e poco meno di 150 sono morti per altre cause, che vanno dall’assistenza sanitaria disastrata ad altre situazioni poco chiare. Circa 500 i tentativi di suicidio la maggior parte dei quali sventato dai compagni di cella. Come si fa a dire che da noi non c’è la pena di morte? Direi che invece la pena di morte è doppia: c’è la morte fisica prodotta dalle condizioni della carcerazione e la morte sociale dovuta al quasi totale silenzio che grava sul carcere e sui suoi ospiti. Salvo poche eccezioni come quella di Stefano Cucchi.

La morte di Yassine, il ragazzo marocchino morto pochi giorni fa per suicidio nel carcere minorile di Firenze è già archiviato per l’opinione pubblica. La volontà suicida del ragazzo e la constatazione impropria che il carcere era più un luogo di accoglienza che di detenzione dal momento che l’alternativa per lui era la strada e la solitudine sono elementi che attenuano la responsabilità ma non assolvono le istituzioni e la città intera. E soprattutto non ci devono impedire di riflettere sulla situazione dei ragazzi e giovani tuttora reclusi nei carceri minorili dei quale pochi sanno perfino l’esistenza.

Oggi nel carcere fiorentino sono rimasti altri 21 ragazzi. Essi portano dentro di sé un dolore immenso per la morte del loro compagno, del quale hanno raccolto l’ultimo respiro e che hanno vegliato pregando Per alcuni di loro il suicidio di Yassine si somma ad altri già vissuti nonostante la giovane età. “Chi è entrato costantemente nel carcere minorile in questi mesi, non può dimenticare il suo volto. Vogliamo però non limitarci a una espressione di cordoglio, perché siamo consapevoli del fatto che la storia di Yassine non rappresenta un’eccezione”: lo dicono le volontarie di volontari dell’Altro diritto onlus, che frequentano da dieci anni il carcere minorile, in un documento/riflessione.

Le stesse cose denuncia un importante coordinamento di associazioni che a Firenze, come accade in altre città, segue con passione e cura la situazione dei carcerati. L’art. 37 della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, di cui proprio in questi giorni si celebra il ventennale, stabilisce chiaramente che: “L’arresto, la detenzione o l’imprigionamento di un minore devono costituire un provvedimento di ultima risorsa e avere la durata più breve possibile” perché non è uno strumento adatto alla risocializzazione.

Nella stessa direzione va la normativa italiana sul processo penale minorile, considerata come una delle punte più avanzate del mondo occidentale in tema di tutela dei diritti dei minori. Che la detenzione non sia uno strumento formativo lo dimostra il fatto che nello stesso carcere minorile fiorentino la scuola non è mai stata organizzata in modo stabile dal Provveditorato.

La presenza degli insegnanti dipende dalla buona volontà di chi si fa assegnare una classe di scuola elementare in carcere. La scuola media quest’anno non è nemmeno partita per mancanza di fondi. Si dà per scontato che in un periodo come questo, dove la scuola è in sofferenza, l’ultimo problema sia quello della scolarizzazione dei minori detenuti.

Eppure, la scuola non è per loro solo un diritto, ma è anche una delle poche finestre che essi hanno sull’esterno, un modo per impiegare le mattinate altrimenti vuote, tutte passate entro la cinta con un solo squallido cortile. Non basta piangere la morte di un ragazzo nella stanza accanto. Bisognerà premere perché quella stanza non sia la nostra discarica sociale ma un luogo dove possa filtrare almeno un po’ del calore umano che avvolge i nostri figli.

da www.ristretti.it

‘PC…Panelle e Crocché’, arriva solo sul web la prima sit-com tutta siciliana


 Il titolo è accattivante ed evidentemente evocativo, porta con sé i sapori di Sicilia e i promotori giurano che sarà una vera sorpresa. E’ ‘PC…Panelle e Crocché’, la sit-com, ideata da Serverstudio e destinata al mercato via Internet, interamente girata nell’Isola. O, per meglio dire, in uno dei luoghi cult di Palermo, diventato da anni simbolo dell’antimafia: l’Antica Focacceria San Francesco dei fratelli Fabio e Vincenzo Conticello, i due imprenditori che hanno trovato il coraggio di denunciare e far condannare i loro estorsori.

Lo storico locale palermitano, che recentemente ha festeggiato i 175 anni di attività, farà da set cinematografico e il reality racconterà una giornata tipo all’interno della Focacceria tra piatti della cucina di strada e discorsi quotidiani in un’atmosfera popolare. “Non sarà una sit-com sulla mafia – spiega all’Adnkronos Marco Perniciaro, produttore esecutivo di ‘PC…Panelle e Crocchè’ -. Saranno trattati argomenti di cronaca regionale, ma non solo, con un occhio dissacrante. Sarà il contenitore di situazioni comiche e surreali trasmesse in presa diretta, oltre che sui monitor dell’Antica Foccacceria San Francesco, anche su Blog Sicilia, riferimento leader nella citizen comunication nell’Isola, che può contare su una rete di nove blog provinciali”.

”Il web, però, non sarà solo il canale – puntualizza Perniciaro -, ma anche uno dei protagonisti del reality, perché i visitatori di Blog Sicilia (da 8mila a 10mila al giorno, ndr) potranno fornire suggerimenti, spunti e idee per la sit-com”. L’idea, insomma, è quella di una produzione aperta, senza un canovaccio rigido, ma pronta ad accogliere i temi che animeranno l’attualità di Palermo e non solo.

Per Biagio Semilia, amministratore delegato di Serverstudio ed anima di BlogSicilia, “la grande novità dell’iniziativa è rappresentata proprio dalla scelta di girare e mettere in onda sul web la sit com in presa diretta, affidando alla rete, per scelta produttiva, la diffusione di un’immagine nuova e dissacrante della Sicilia e coniugandola con un rinnovata effervescenza imprenditoriale che fa dell’innovazione, ma anche dell’etica d’impresa, il proprio punto di forza”. Quattro le puntate in programma, che saranno trasmesse a cadenza settimanale.

“Poi se il prodotto piace – assicura Perniciaro – potremo pensare di estendere il progetto e coinvolgere magari anche la sede di Milano dell’Antica Focacceria San Francesco e quelle che saranno aperte in Italia e all’estero”.

Sceneggiatrice e regista della fiction in salsa siciliana, che andrà in onda all’inizio del 2010, è la napoletana Fabiana D’Urso, da anni impegnata nel settore cinematografico. “Sono rimasta affascinata dal progetto – spiega – per il suo grado di innovazione e per l’intraprendenza dimostrata dai produttori nello sfidare antiche logiche e consolidate tradizioni per dare un’immagine diversa della Sicilia. Interessante – aggiunge – è anche l’utilizzo del web per trasmettere un prodotto televisivo in presa diretta senza alcun montaggio successivo, sulla scorta di ciò che avviene nelle rappresentazioni teatrali”.

”In realtà – ammette – era un’idea a cui pensavo da po’. Sono un’appassionata di web e volevo scrivere una sceneggiatura breve e comica: da qui la scelta del formato, una web sit-com. Ogni puntata durerà dieci minuti e affronterà un argomento, un tema di informazione legato a quello che succede sul web. ‘The three arancine’, un coro di tre ragazze, due africane e un’italiana, invece, canteranno in diretta la sigla di apertura e chiusura di ogni puntata”. Entusiasta del progetto anche Biagio Semilia, amministratore delegato di Serverstudio.

“Sarà la prima sit-com 2.0, con contenuti prodotti dagli utenti, che Fabiana D’Urso rendere ‘televisivamente’ spendibili”. Intanto, oggi alle 18 prenderà il via nei locali dell’Antica Focacceria a Palermo la selezione dei 15 attori che saranno impegnati nella fiction. “E’ nostra intenzione – spiega Perniciaro – fare dei casting anche in altre città della Sicilia, proprio perché la sit-com non avrà una caratterizzazione esclusivamente palermitana”. Sui personaggi bocche cucite.

“Ci sarà anche un transessuale – si sbilancia Perniciaro -, che sarà interpretato da uno dei trans che si presenteranno alla selezione, senza ricorrere a finzioni sceniche. Ma anche un nano e la figura di un boss mafioso, che dissacreremo. Il resto lo vedrete a gennaio”.

E per scegliere il trans Fabiana D’Urso confessa: “Siamo andati per le vie del centro storico di Palermo con la locandina dell’iniziativa per spiegare loro di che si trattava. Ho trovato tantissimi transessuali interessati a recitare nella sit-com, adesso mi auguro che si presentino al provino”. E Vincenzo Conticello, titolare dell’Antica Focacceria sarà uno dei protagonisti del reality?

“Vorremmo coinvolgerlo, magari come special guest” ammette il produttore esecutivo di Serverstudio. Ma lui, il diretto interessato, nicchia: “E’ un’iniziativa molto interessante, ma non penso di fare l’attore, magari farò la comparsa insieme ai miei clienti”. Tra un piatto di panelle e crocché, ovviamente. Lo storico locale palermitano, che recentemente ha festeggiato i 175 anni di attività, farà da set cinematografico e il reality racconterà una giornata tipo all’interno della Focacceria tra piatti della cucina di strada e discorsi quotidiani in un’atmosfera popolare. “Non sarà una sit-com sulla mafia – spiega all’Adnkronos Marco Perniciaro, produttore esecutivo di ‘PC…Panelle e Crocchè’ -. Saranno trattati argomenti di cronaca regionale, ma non solo, con un occhio dissacrante. Sarà il contenitore di situazioni comiche e surreali trasmesse in presa diretta, oltre che sui monitor dell’Antica Foccacceria San Francesco, anche su Blog Sicilia, riferimento leader nella citizen comunication nell’Isola, che può contare su una rete di nove blog provinciali”.

”Il web, però, non sarà solo il canale – puntualizza Perniciaro -, ma anche uno dei protagonisti del reality, perché i visitatori di Blog Sicilia (da 8mila a 10mila al giorno, ndr) potranno fornire suggerimenti, spunti e idee per la sit-com”. L’idea, insomma, è quella di una produzione aperta, senza un canovaccio rigido, ma pronta ad accogliere i temi che animeranno l’attualità di Palermo e non solo.

Per Biagio Semilia, amministratore delegato di Serverstudio ed anima di BlogSicilia, “la grande novità dell’iniziativa è rappresentata proprio dalla scelta di girare e mettere in onda sul web la sit com in presa diretta, affidando alla rete, per scelta produttiva, la diffusione di un’immagine nuova e dissacrante della Sicilia e coniugandola con un rinnovata effervescenza imprenditoriale che fa dell’innovazione, ma anche dell’etica d’impresa, il proprio punto di forza”. Quattro le puntate in programma, che saranno trasmesse a cadenza settimanale.

“Poi se il prodotto piace – assicura Perniciaro – potremo pensare di estendere il progetto e coinvolgere magari anche la sede di Milano dell’Antica Focacceria San Francesco e quelle che saranno aperte in Italia e all’estero”.

Sceneggiatrice e regista della fiction in salsa siciliana, che andrà in onda all’inizio del 2010, è la napoletana Fabiana D’Urso, da anni impegnata nel settore cinematografico. “Sono rimasta affascinata dal progetto – spiega – per il suo grado di innovazione e per l’intraprendenza dimostrata dai produttori nello sfidare antiche logiche e consolidate tradizioni per dare un’immagine diversa della Sicilia. Interessante – aggiunge – è anche l’utilizzo del web per trasmettere un prodotto televisivo in presa diretta senza alcun montaggio successivo, sulla scorta di ciò che avviene nelle rappresentazioni teatrali”.

”In realtà – ammette – era un’idea a cui pensavo da po’. Sono un’appassionata di web e volevo scrivere una sceneggiatura breve e comica: da qui la scelta del formato, una web sit-com. Ogni puntata durerà dieci minuti e affronterà un argomento, un tema di informazione legato a quello che succede sul web. ‘The three arancine’, un coro di tre ragazze, due africane e un’italiana, invece, canteranno in diretta la sigla di apertura e chiusura di ogni puntata”. Entusiasta del progetto anche Biagio Semilia, amministratore delegato di Serverstudio.

“Sarà la prima sit-com 2.0, con contenuti prodotti dagli utenti, che Fabiana D’Urso rendere ‘televisivamente’ spendibili”. Intanto, oggi alle 18 prenderà il via nei locali dell’Antica Focacceria a Palermo la selezione dei 15 attori che saranno impegnati nella fiction. “E’ nostra intenzione – spiega Perniciaro – fare dei casting anche in altre città della Sicilia, proprio perché la sit-com non avrà una caratterizzazione esclusivamente palermitana”. Sui personaggi bocche cucite.

“Ci sarà anche un transessuale – si sbilancia Perniciaro -, che sarà interpretato da uno dei trans che si presenteranno alla selezione, senza ricorrere a finzioni sceniche. Ma anche un nano e la figura di un boss mafioso, che dissacreremo. Il resto lo vedrete a gennaio”.

E per scegliere il trans Fabiana D’Urso confessa: “Siamo andati per le vie del centro storico di Palermo con la locandina dell’iniziativa per spiegare loro di che si trattava. Ho trovato tantissimi transessuali interessati a recitare nella sit-com, adesso mi auguro che si presentino al provino”. E Vincenzo Conticello, titolare dell’Antica Focacceria sarà uno dei protagonisti del reality?

“Vorremmo coinvolgerlo, magari come special guest” ammette il produttore esecutivo di Serverstudio. Ma lui, il diretto interessato, nicchia: “E’ un’iniziativa molto interessante, ma non penso di fare l’attore, magari farò la comparsa insieme ai miei clienti”. Tra un piatto di panelle e crocché, ovviamente.

fonte Adnkronos

La dieta MLN è un carburante per il cervello


di Matteo Clerici

La dieta MLN, basata su polifenoli ed acidi grassi polisaturi è in grado di aiutare il cervello a rimanere in salute e respingere l’Alzheimer.

A dirlo, uno studio dell’Università Autonoma di Barcellona (Dipartimento di Biochimica e Biologia Molecolare) guidata dalla dottoressa Mercedes Unzeta e pubblicata da “Journal of Alzheimer’s Disease”.

La squadra della dottoressa Unzeta ha lavorato con due gruppi di topi. Il gruppo di controllo ha seguito una dieta normale, il secondo gruppo ha visto tale dieta arricchita con la dieta LMN; l’osservazione è durata 40 giorni (per i topi equivalenti a 5 anni di vita umana).

Alla fine dei test, gli scienziati hanno notato come i topi del “gruppo LMN” presentavano un elevato numero di cellule staminali e nuove cellule differenziate sia nel bulbo olfattivo che nell’ippocampo.

Così, i ricercatori hanno sperimentato gli effetti della crema LMN su colture cellulari per verificare la sua capacità di prevenire i danni causati dall’ossidazione o la morte neuronale. I risultati hanno evidenziato come un pre-trattamento con la crema LMN potrebbe ridurre o addirittura impedire eventuali danni ossidativi alle cellule.

La dottoressa Unzeta ed i collaboratori suggeriscono così come la dieta LMN possa indurre la produzione di nuove cellule nel cervello adulto e rafforzare le reti neurali, logorate da età malattie come l’Alzheimer.

da www.newsfood.com

Migranti: la Puglia cura gli irregolari


di Francesco Dente

Via libera alla nuova legge sull’immigrazione voluta dal centrosinistra

Via libera del Consiglio regionale della Puglia alla nuova legge sull’immigrazione. Con il voto contrario del centrodestra e l’astensione dell’Udc, la maggioranza di centrosinistra dell’assemblea ha approvato il disegno di legge sulle “Norme per l’accoglienza, la convivenza civile e l’integrazione degli immigrati in Puglia”.

Assistenza sanitaria
La novità più importante riguarda gli interventi per garantire le cure sanitarie indifferibili e urgenti agli stranieri, irregolari e non. In materia di diritto alla salute si stabilisce, infatti, che «le aziende sanitarie sono tenute a rendere concretamente fruibili per i cittadini stranieri non iscritti al servizio sanitario regionale, anche con opportuni progetti di informazione, di educazione alla salute e utilizzando i mediatori culturali, tutte le prestazioni previste». Il provvedimento ha come destinatari i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea e gli apolidi in regola con le disposizioni sull’ingresso ed il soggiorno nel territorio nazionale. Sono previsti, interventi specifici anche in favore di cittadini stranieri comunque dimoranti sul territorio regionale, dei cittadini stranieri titolari di permesso di soggiorno per richiesta di asilo, ‘status’ di rifugiato, protezione sussidiaria o ragioni umanitarie e dei cittadini neocomunitari, quando non destinatari di forme di tutela più favorevoli.

Punti di forza
I punti di forza della legge, secondo l’assessore alle Politiche sociali Elena Gentile, sono dati dalla istituzione della consulta regionale per l’integrazione degli immigrati, dall’avvio dell’osservatorio regionale per l’immigrazione, incardinato nel sistema dell’osservatorio regionale politiche sociali; dalla disciplina dei servizi di mediazione culturale e interculturale; dalle norme in materia di assistenza sanitaria, di istruzione e formazione professionale, di inserimento lavorativo, di inserimento lavorativo, interventi abitativi, di assistenza per le vittime di tratta, violenza e schiavitù e contro la discriminazione; dall’impegno per la Regione e gli enti locali competenti di disporre misure integrate plurisezionali. «Con questa legge – ha osservato il Presidente della Regione, Nichi Vendola – cambia lo sguardo sull’immigrazione, nel senso che diventa una risorsa che dobbiamo accogliere, eliminando la tendenza a criminalizzare i poveri che è un tema che purtroppo ritorna nella società. Questa è una bella pagina per la storia di questa Regione».

Il dibattito
Secondo la minoranza di centro destra, la nuova legge è un contenitore vuoto in quanto, afferma il capogruppo del Pdl, Rocco Palese, è una legge che fissa «principi già contemplati dalla costituzione e dalla leggi dello stato, quindi a rischio incostituzionalità, soprattutto relativamente all’articolo 18, in cui si parla di accoglienza e asilo ai rifugiati». L’opposizione, tuttavia, non ha si è dichiarata contraria sulle questioni di principio: ha votato infatti in favore dell’articolo sui principi generali e le finalità, sulle norme relative alle misure per le vittime di tratta, violenza e schiavitù, sulle misure contro la discriminazione, sull’istituzione della conferenza regionale sull’immigrazione e del registro delle associazioni degli immigrati e si è astenuta sugli articoli contenenti norme sull’integrazione culturale.

 da www.vita.it

Il testo integrale della mozione presentata dall’on. Rita Bernardini


Per gentile concesssione dell’on. Bernardini pubblico il testo integrale della mozione da lei presentata e per la cui calendarizzazione è arrivata all’ottavo giorno di sciopero della fame.

ATTO CAMERA

MOZIONE 1/00288

Dati di presentazione dell’atto

Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 250 del 19/11/2009

Firmatari

Primo firmatario: BERNARDINI RITA
Gruppo: PARTITO DEMOCRATICO
Data firma: 19/11/2009

Elenco dei co-firmatari dell’atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
TURCO MAURIZIO PARTITO DEMOCRATICO 19/11/2009
BELTRANDI MARCO PARTITO DEMOCRATICO 19/11/2009
FARINA COSCIONI MARIA ANTONIETTA PARTITO DEMOCRATICO 19/11/2009
MECACCI MATTEO PARTITO DEMOCRATICO 19/11/2009
ZAMPARUTTI ELISABETTA PARTITO DEMOCRATICO 19/11/2009
DELLA VEDOVA BENEDETTO POPOLO DELLA LIBERTA’ 19/11/2009
PEPE MARIO (PD) PARTITO DEMOCRATICO 19/11/2009
MELIS GUIDO PARTITO DEMOCRATICO 19/11/2009
DUILIO LINO PARTITO DEMOCRATICO 19/11/2009
GIACHETTI ROBERTO PARTITO DEMOCRATICO 19/11/2009
CALVISI GIULIO PARTITO DEMOCRATICO 19/11/2009
TOUADI JEAN LEONARD PARTITO DEMOCRATICO 19/11/2009
Stato iter:

IN CORSO

Atto Camera

Mozione 1-00288

presentata da

RITA BERNARDINI

testo di

giovedì 19 novembre 2009, seduta n.250
La Camera,

premesso che:

il numero elevato ed in costante crescita della popolazione detenuta, che ad oggi si avvicina alle 66.000 presenze – a fronte di una capienza regolamentare di 43.074 posti e «tollerabile» di 64.111 -, produce un sovraffollamento insostenibile delle nostre strutture penitenziarie. Si tratta di una cifra record che non è stata mai registrata dai tempi dell’amnistia di Togliatti del 1946; basti pensare al fatto che il tasso di crescita dei detenuti è di poco inferiore alle 800 unità al mese, sicché si prevede che a fine anno la popolazione carceraria potrebbe sfiorare le 67.000 presenze (100,000 nel giugno del 2012). In alcune regioni il numero delle persone recluse è addirittura il doppio di quello consentito: in Emilia Romagna il tasso di affollamento è del 193 per cento in Lombardia, Sicilia, Veneto e Friuli è intorno al 160 per cento;

come riscontrato anche nel corso dell’iniziativa «Ferragosto in carcere 2009» promossa dai Radicali Italiani, alla quale hanno partecipato parlamentari nazionali ed europei, consiglieri regionali ed alcuni garanti dei diritti dei detenuti, i nostri istituti di pena stanno affrontando una fase di profonda regressione che li rende non più aderenti al dettato costituzionale e all’ordinamento penitenziario;

ciò che accade nelle nostre carceri è soltanto l’epifenomeno della ben più ampia e grave situazione in cui versa il nostro apparato giudiziario posto che, attualmente, lo stato della giustizia ha raggiunto livelli di inefficienza assolutamente intollerabili, sconosciuti in altri Paesi democratici, per i quali l’Italia, da anni ed in modo permanente, sconta quella che ai firmatari del presente atto di indirizzo appare come una situazione di illegalità tale da aver generato numerosissime condanne da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo. Per questa situazione il nostro Paese è stato richiamato all’ordine a più riprese dal Consiglio d’Europa, che proprio di recente ha riconfermato nei contenuti e nei richiami un rapporto presentato dal Commissario Gil-Robies già nel 2005, il quale sottolineava proprio la necessità di un ripristino della legalità nel sistema giudiziario italiano. Nella relazione presentata alla Camera dei deputati il 27 gennaio 2009, il Ministro della giustizia ha, tra l’altro, detto: «Quello che di impressionante vi è da sottolineare immediatamente all’attenzione di tutti voi è la mole dei procedimenti pendenti, cioè, detto in termini più diretti, dell’arretrato o meglio ancora del debito giudiziario che lo Stato ha nei confronti dei cittadini: 5 milioni 425mila i procedimenti civili, 3 milioni 262mila quelli penali» (che arrivano a 5 milioni e mezzo con i procedimenti pendenti nei confronti di ignoti). «Ma il vero dramma è che il sistema non solo non riesce a smaltire questo spaventoso arretrato, ma arranca faticosamente, senza riuscire neppure ad eliminare un numero pari ai sopravvenuti, così alimentando ulteriormente il deficit di efficienza del sistema». Dunque secondo i dati ufficiali, in Italia l’arretrato pendente sfiora la cifra iperbolica di 5 milioni e mezzo di procedimenti penali, che sarebbero molti si più se solo negli ultimi dieci anni non si fossero contate ben 2 milioni di prescrizioni (nel nostro Paese secondo i dati ufficiali forniti dal Ministero della giustizia si contano circa 200 mila procedimenti penali prescritti ogni anno). Occorre essere consapevoli che in un contesto del genere i concetti di «pena certa» e di esecuzione «reale» della stessa rischiano di risultare fortemente limitativi se non del tutto fuorvianti. In questo quadro e per queste ragioni, contro quella che, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, è un’amnistia anonima, banale, di classe ed illegale chiamata prescrizione, solo un ampio e definitivo provvedimento di amnistia e di indulto potrebbe consentire, da un lato, una sensibile riduzione della popolazione carceraria entro i limiti della capienza effettiva e regolamentare e, dall’altro, l’eliminazione di più della metà degli attuali procedimenti penali pendenti, ciò che darebbe il via a quelle riforme strutturali del sistema giudiziario e penitenziario senza le quali appaiono seriamente a rischio gli stessi diritti civili e della persona previsti dalla nostra Costituzione;

da un recente studio del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria risulta che, degli oltre 65.000 detenuti presenti nelle carceri italiane, circa la metà (il 50 per cento è costituito da persone in attesa di giudizio, e tra questi circa un 30 per cento verrà assolto all’esito del processo; un dato abnorme, un’anomalia tipicamente italiana che non trova riscontro negli altri Pesi europei; in pratica il ricorso sempre più frequente alla misura cautelare in carcere e la lunga durata dei processi costringe centinaia di migliaia di presunti innocenti a scontare lunghe pene in condizioni spesso poco disgnitose;

sulla base delle statistiche e di alcuni studi dell’amministrazione penitenziaria, la metà degli imputati che lascia il carcere vi è rimasto non più di dieci giorni, mentre circa il 35 per cento esce dopo appena 48 ore; questo pesante turnover non fa altro che alimentare l’intasamento, il sovraffollamento ed il blocco dell’intero sistema penitenziario, dissipando energie nonché risorse umane ed economiche;

quasi il 40 per cento dei 65.000 carcerati si trova recluso in cella per aver violato le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (testo unico sulle droghe); mentre il 27 per cento della popolazione detenuta è tossicodipendente. Secondo il sesto rapporto sulle carceri redatto dalla associazione Antigone, il numero di tossicodipendenti che annualmente transitano dalle carceri italiane (26.646 nel 2006, 24.371 nel 2007, solo per fare un esempio) è decisamente superiore a quello di coloro che transitano dalle comunità terapeutiche (17.042 nel 2006; 16.433 nel 2007), il che dimostra come l’approccio terapeutico per questo tipo di detenuti sia Stato concretamente dismesso. Quanto poi al sistema delle misure alternative per la presa in carico dei tossicodipendenti previsto dal citato testo unico sulle droghe (così come modificato dal decreto-legge n. 272 del 2005, va purtroppo segnalato come l’accesso alle stesse sia fermo a un quinto di quel che era prima dell’indulto. Al sistema penitenziario viene dunque affidata la maggiore responsabilità nel contrasto al fenomeno delle tossicodipendenze, quando è ormai noto che i tassi di recidiva per chi esce dal carcere sono estremamente elevati, assai più di quelli di chi sconta la propria pena in misura alternativa, e che il gruppo con il maggior tasso di recidiva è proprio quello dei tossicodipendenti;

al 10 novembre 2009, i detenuti stranieri reclusi negli istituti di pena risultavano essere 24.190 (pari a circa il 37 per cento del totale); gli stranieri ristretti nei nostri istituti di pena sono, nella maggioranza dei casi, esclusi dall’accesso ai benefici penitenziari per la carenza di supporti esterni (famiglia, lavoro e altro) ed il loro reinserimento sociale appare sempre più problematico a causa della condizioni di irregolarità che li riguarda;

tra quanti in Italia stanno scontando una condanna definitiva, il 32,4 per cento ha un residuo di pena inferiore ad un anno, addirittura il 64,9 per cento inferiore a tre anni, soglia che rappresenta il limite di pena per l’accesso alle misure alternative della semilibertà e dell’affidamento in prova, il che dimostra come in Italia il sistema delle misure alternative si sia sostanzialmente inceppato; ciò accade nonostante le statistiche abbiano dimostrato, oltre ogni ragionevole dubbio, che il detenuto che sconta la pena con una misura alternativa ha un tasso di recidiva molto basso (circa il 28 per cento), mentre chi sconta la pena in carcere torna a delinquere con una percentuale del 68 per cento; le misure alternative quindi abbattono i costi della detenzione, riducono la possibilità che la persona reclusa commetta nuovi reati, aumentando la sicurezza sociale, e sconfiggono il deleterio «ozio del detenuto», avviandolo a lavori socialmente utili con diretto vantaggio per l’intera comunità;

nella realtà del nostro ordinamento giuridico, la misura di sicurezza detentiva è divenuta una variante solo nominalistica della pena, riducendosi a strumento per aggirare i principi di garanzia propri delle sanzioni. La questione è diventata ancora più grave laddove si consideri che la misura di sicurezza – che, è d’uopo ricordare, non è correlata alla colpevolezza ma alla pericolosità sociale non solo si è trasformata nella sua pratica attuazione in una pena mascherata, ma è addirittura una pena a tempo indeterminato. Il rilievo va riferito, in particolar modo, alla misura di sicurezza detentiva della casa di lavoro, in quanto misura riservata agli imputabili, a differenza della casa di cura e di custodia, dell’ospedale psichiatrico giudiziario e del riformatorio giudiziario, applicabili ai non imputabili. A tal proposito, si segnalano i principali progetti di riforma del codice penale (progetto Commissione Pagliaro; progetto Commissione Grosso; progetto Commissione Nordio e in ultimo il progetto della Commissione Pisapia), tutti ugualmente concordi nel proporre l’abolizione del sistema del doppio binario, limitando l’applicazione delle misure di sicurezza ai soli soggetti non imputabili;

solo un detenuto su quattro ha la possibilità di svolgere un lavoro, spesso peraltro a stipendio dimezzato perché condiviso con un altro detenuto che altrimenti non avrebbe questa opportunità; mentre la percentuale delle persone recluse impegnate in corsi professionali è davvero irrisoria e non arriva al 10 per cento. Circa l’85 per cento dei lavoranti è alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria e svolge lavori di pulizia o di preparazione e distribuzione del vitto; il restante 15 per cento è costituito per la maggior parte da semiliberi che svolgono attività lavorativa in proprio o alle dipendenze di datori di lavoro esterni. Nella stragrande maggioranza dei casi, l’impossibilità di avviare a programmi di lavoro i detenuti è dovuta all’insufficienza degli educatori presenti in carcere, cioè di coloro che sono chiamati a stilare le relazioni a sostegno della concessione del lavoro esterno;

attualmente nelle carceri poco meno di 650 persone sono sottoposte al cosiddetto «carcere duro», ossia a quel regime detentivo speciale di cui all’articolo 41-bis della legge n. 354 del 1975 sull’ordinamento penitenziario che è stato sensibilmente inasprito con l’approvazione della recente legge n. 94 del 2009, la quale ha definitivamente reso la detenzione speciale una modalità ordinaria e stabile di esecuzione della pena, ciò, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, in evidente e aperto contrasto non solo con i nostri principi costituzionali che vietano qualsiasi trattamento contrario al senso di umanità e prevedono la funzione rieducativa della pena, ma anche con l’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali che vieta ogni forma di pena inumana e degradante;

a causa del sovraffollamento, un numero sempre maggiore di detenuti è costretto a scontare la condanna all’interno di istituti di pena situati a notevole distanza dalla propria regione di residenza, il che – oltre a contrastare con il principio della territorialità della pena previsto dall’ordinamento penitenziario – non consente di esercitare al meglio tutte quelle attività di sostegno e trattamento del detenuto che richiedono relazioni stabili e assidue della persona reclusa con i propri familiari e con i servizi territoriali della regione di residenza; senza considerare gli ingenti ed elevati costi, sia in termini economici che umani, che le continue e lunghe traduzioni dei detenuti, dal luogo di esecuzione della detenzione al luogo di celebrazione del processo, comportano per i bilanci dell’amministrazione penitenziaria;

in una recente occasione pubblica, il Ministro della giustizia ha dichiarato che la detenzione carceraria consiste nella privazione della libertà, ma non deve comportare anche la privazione della dignità delle persone. Dall’affermazione di questo elementare, ma fondamentale principio, che deve ispirare lo Stato di diritto in rapporto alle persone detenute, consegue la necessità di affrontare il problema del diritto all’affettività in carcere (affettività intesa in senso ampio, dalla sessualità, all’amicizia, al rapporto sessuale); un diritto all’affettività che sia, in primo luogo, diritto ad avere incontri, in condizioni di intimità, con le persone con le quali si intrattiene un rapporto di affetto;

da un recente rapporto sullo stato della sanità all’interno degli istituti di pena predisposto dalla Commissione giustizia del Senato risulta che appena il 20 per cento dei detenuti risulta sano, mentre il 38 per cento di essi si trova in condizione di salute mediocri, il 37 per cento in condizioni scadenti ed il 4 per cento in condizioni gravi e con alto indice di co-morbosità, vale a dire più criticità ed handicap in uno stesso paziente. Solo per limitarsi alle cinque patologie maggiormente diffuse, ben il 27 per cento dei detenuti è tossicodipendente (2.159 di loro sono in terapia metadonica), il 15 per cento ha problemi di masticazione, altrettanti soffrono di depressione e di altri disturbi psichiatrici, il 13 per cento soffre di malattie osteo-articolari ed il 10 per cento di malattie al fegato; oltre al fatto che la stessa tossicodipendenza è spesso associata ad AIDS (circa il 2 per cento dei detenuti è sieropositivo), epatite C e disturbi mentali;

a fronte di una morbosità così elevata, la medicina penitenziaria continua a scontare una evidente insufficienza di risorse, di strumenti e di mezzi, il che svilisce i servizi e la professionalità degli operatori sanitari, oltre ovviamente a pregiudicare le attività di trattamento, cura e assistenza degli stessi detenuti. L’attuale situazione di sofferenza in cui versa la medicina penitenziaria è anche dovuta al fatto che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 aprile 2008, recante «modalità e criteri per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria», non risulta essere stato ancora attuato nella parte in cui stabilisce il trasferimento alle regioni delle risorse finanziarie relative all’ultimo trimestre dell’anno 2008 (per una somma pari ad 84 milioni di euro) e a tutto il 2009, il che non consente di attuare una seria e radicale riorganizzazione del servizio sanitario all’interno degli istituti di pena;

nonostante il passaggio delle competenze al Servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria, non risultano ancora essere stati definiti modelli operativi adeguati all’assistenza in carcere, ciò a causa del fatto che le stesse regioni sono ben lungi dall’essere attrezzate in modo da poter fornire i servizi medici nei penitenziari, così come peraltro ancora ambigua risulta la gestione dei relativi contratti di lavoro e ruoli professionali;

negli istituti di pena italiani sono rinchiusi 71 bambini sotto i tre anni che vivono in carcere con le madri detenute, il che continua ad accadere nonostante risulti ampiamente dimostrato quanto lo stato di reclusione prolungato possa esporre questi soggetti a seri rischi per la loro salute. A questo proposito, nella XVI legislatura è stato depositato un progetto di legge alla cui elaborazione ha contribuito l’Associazione Il Detenuto Ignoto, che attende ancora di essere calendarizzato e discusso;

le piante organiche della polizia penitenziaria, stabilite con decreto ministeriale dell’8 febbraio 2001, prevedono l’impiego di 41.268 unità negli istituti di pena per adulti; al 20 settembre 2009 nelle carceri italiane risultavano in forza 35.343 persone, con uno scoperto di 5.925 unità (circa il 14 per cento); per il personale amministrativo è previsto un organico di 9.486 unità, mentre i posti coperti risultano essere 6.300, con uno scarto di 3.186 persone. Complessivamente, quindi, nell’amministrazione penitenziaria il personale mancante è pari a 8.882 unità;

anche il numero degli educatori è insufficiente, posto che in pianta organica ne sono previsti 1.088, mentre sono appena 686 quelli effettivamente in servizio; così come risulta deficitaria l’assistenza psicologica, a cominciare da quella legata alle attività di osservazione e trattamento dei detenuti, visto e considerato che a fronte di quasi 66.000 detenuti gli psicologi che prestano effettivamente servizio sono appena 352, il che comporta, come naturale conseguenza, che gli istituti di pena siano diventati una istituzione a carattere prevalentemente, se non esclusivamente, afflittivo. A questo proposito il Ministero della giustizia, proprio al fine di coprire almeno parzialmente la totale carenza di organico di tali figure professionali, aveva avviato, fin dal 2004, un concorso per l’assunzione di 39 psicologi, arrivando anche ad approvare la relativa graduatoria nel 2006; nonostante ciò, da quel momento, l’Amministrazione penitenziaria, pur in presenza di tutte le risorse economiche, non ha proceduto ad alcuna assunzione dei vincitori del concorso, di fatto preferendo affidarsi, a quanto consta ai firmatari del presente atto di indirizzo, ad un sistema di frammentare collaborazioni precarie e insufficienti;

il sovraffollamento, la mancanza di spazi, l’inadeguatezza delle strutture carcerarie, la carenza degli organici e del personale civile, lo stato di sofferenza in cui versa la sanità all’interno delle carceri, tutto ciò provoca una situazione contraria ai principi costituzionali ed alle norme del regolamento penitenziario impedendo il trattamento rieducativo e minando l’equilibrio psico-fisico dei detenuti, con incremento, nel 2009, dei suicidi e di gravi malattie; ed invero il sovraffollamento ha effetti dirompenti, tra l’altro, proprio sulle condizioni di salute dei reclusi, ai quali non vengono garantite le più elementari norme igieniche e sanitarie, atteso che gli stessi sono costretti a vivere in uno spazio che non corrisponde a quello minimo vitale, con una riduzione della mobilità che è causa di patologie specifiche;

l’alto numero dei suicidi in carcere registrato nel 2009 dipende anche dalle condizioni di sovraffollamento degli istituti di pena e dalle aspettative frustrate di migliori condizioni di vita al loro interno, soprattutto per quanto riguarda le persone sottoposte a regimi carcerari più restrittivi rispetto a quello ordinario – ad esempio quello di cui all’articolo 41-bis della legge n. 354 del 1975, sull’ordinamento penitenziario – i quali, non a caso, registrano una percentuale di suicidi più elevata rispetto a chi sconta la pena senza essere sottoposto a particolari restrizioni;

senza l’indulto approvato tre anni fa, le nostre carceri oggi sarebbero al collasso ed il sovraffollamento assumerebbe dimensioni tali da creare addirittura problemi di ordine pubblico; in questa situazione di emergenza la funzione rieducativa e riabilitativa della pena è venuta meno; il rapporto numerico tra detenuti ed educatori e assistenti sociali ha frustrato ogni possibile serio tentativo di intraprendere e seguire, per la maggior parte dei reclusi, percorsi individualizzati così come previsto dall’ordinamento penitenziario;

nel 2006 il dottor Sebastiano Ardita – responsabile della Direzione generale dei detenuti e trattamento del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria – ha dichiarato: «siamo consapevoli di versare in una situazione di grave, perdurante, quanto involontaria ed inevitabile divergenza dalle regole, per il fatto di non essere nella materiale possibilità di garantire, a causa del sovraffollamento, quanto previsto dalle normative vigenti e dal recente regolamento penitenziario; la salute dei detenuti, ad esempio, non è solo un problema politico e neanche solo una questione tecnica o medico legale. È molto altro ancora. È il luogo privilegiato per valutare le politiche sociali di uno Stato. È una questione di politica criminale. È il banco di prova della pena costituzionalmente intesa» (fonte ANSA 1° marzo 2006); lo stesso Ministro della giustizia, onorevole Angelino Alfano, ha definito la situazione attuale del nostro sistema penitenziario sostanzialmente al di fuori della legalità costituzionale;

l’enorme tasso di sovraffollamento comporta automaticamente porsi fuori dalle regole minime, costituzionalmente previste, della funzione rieducativa della pena per scadere in quei trattamenti contrari al senso di umanità sanzionati non solo dal nostro ordinamento giuridico, ma anche dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, se è vero, come è vero, che recentemente lo Stato italiano è stato condannato a mille euro di risarcimento per aver costretto un detenuto a vivere due mesi e mezzo all’interno di una cella in uno spazio di appena 2,7 metri quadrati (Sulejmanovic c. Italia – ricorso n. 22635/03); nella circostanza la Corte europea dei diritti dell’uomo ha affermato che la mancanza di spazio personale per i detenuti (meno di 3 metri quadrati) giustifica, di per sé, la constatazione della violazione dell’articolo 3 della Convenzione (divieto di pene o trattamenti inumani o degradanti);

i fondi della Cassa delle ammende, con i quali lo Stato dovrebbe investire in progetti educativi e/o di reinserimento sociale dei detenuti, non vengono utilizzati o vengono destinati ad altre finalità, il che continua ad accadere nonostante il sostegno economico-finanziario delle iniziative volte al reinserimento sociale e alla riabilitazione dei detenuti, insieme all’applicazione delle misure alternative alla detenzione, costituisca lo strumento più significativo di contrasto alla recidiva e quindi di tutela e sicurezza dei cittadini. Ed invero la bassa percentuale di detenuti che lavorano, unita alla cronica esiguità delle risorse finanziarie destinate al loro reinserimento sociale, comporta un alto tasso di recidiva, come dimostrato dalle più recenti evidenze statistiche sopra richiamate;

alcuni dei più rilevanti interventi legislativi adottati in questi ultimi anni – a partire dalla legge n. 251 del 2005, (cosiddetta legge «ex Cirielli») – hanno introdotto forti limitazioni all’applicazione dei vari benefici «extramurari» ai recidivi, i quali costituiscono la maggior parte degli attuali detenuti: si pensi all’aumento della popolazione carceraria a seguito delle introdotte limitazioni per i recidivi specifici o infraquinqennali reiterati per quanto riguarda i permessi premio, la detenzione domiciliare o l’affidamento in prova al servizio sociale, posto che gli stessi non possono più usufruire della sospensione dell’esecuzione della pena ex articolo n. 656, comma 5, del codice di procedura penale, ciò a seguito dell’inserimento di una nuova lettera e) al comma 9 del predetto articolo;

occorre dunque riavviare il sistema delle misure alternative, ripensando quel meccanismo di preclusioni automatiche che – soprattutto con riferimento ai condannati a pene brevi – ha finito per imprimere il colpo «mortale» alla capacità di assorbimento del sistema penitenziario; su tale versante è anche necessario generalizzare l’applicazione della detenzione domiciliare quale strumento centrale nell’esecuzione penale relativa a condanne di minore gravità anche attraverso l’attivazione di serie ed efficaci misure di controllo a distanza dei detenuti;

è pertanto necessaria ed urgente un’azione riformatrice che – partendo da una comune riflessione sulle cause che hanno generato quella che per i firmatari del presente atto di indirizzo è l’attuale situazione di illegalità in cui versa il nostro sistema penitenziario – favorisca la reale attuazione del principio costituzionale di cui all’articolo 27, comma 3, della Costituzione; dette riforme devono procedere nel senso di garantire al detenuto il rispetto delle norme sul «trattamento» all’interno delle carceri e sull’accesso alle misure alternative, risolvendo in maniera radicale non solo il problema del sovraffollamento delle carceri ma anche tutti i problemi del mondo giudiziario che ruotano intorno ad esso,

impegna il Governo:

ad assumere iniziative, anche di carattere normativo, volte ad attuare, con il più ampio confronto con le forze politiche presenti in Parlamento, una riforma davvero radicale in materia di custodia cautelare preventiva, di tutela dei diritti dei detenuti, di esecuzione pena e, più in generale, di trattamenti sanzionatori e rieducativi, che preveda:

a) la riduzione dei tempi di custodia cautelare, perlomeno per i reati meno gravi, nonché del potere della magistratura nell’applicazione delle misure cautelari personali a casi tassativamente previsti dal legislatore, previa modifica dell’articolo 280 del codice di procedura penale;

b) l’introduzione di meccanismi in grado di garantire una reale ed efficace protezione, del principio di umanizzazione della pena e del suo fine rieducativo, assicurando al detenuto un’adeguata tutela giurisdizionale nei confronti degli atti dell’amministrazione penitenziaria lesivi dei suoi diritti;

c) l’istituzione a livello nazionale del Garante dei diritti dei detenuti, ossia di un soggetto che possa lavorare in coordinamento e su un piano di reciproca parità con la magistratura di sorveglianza, in modo da integrare quegli spazi che non possono essere tutti occupati in via giudiziaria;

d) il rafforzamento sia degli strumenti alternativi al carcere previsti dalla cosiddetta legge «Gozzini», da applicare direttamente anche nella fase di cognizione, sia delle sanzioni penali alternative alla detenzione intramuraria, a partire dalla estensione dell’istituto della messa alla prova, previsto dall’ordinamento minorile, anche nel procedimento penale ordinario;

e) l’applicazione della detenzione domiciliare, quale strumento centrale nell’esecuzione penale relativa a condanne di minore gravità, anche attraverso l’attivazione di serie ed efficaci misure di controllo a distanza dei detenuti;

f) l’istituzione di centri di accoglienza per le pene alternative degli extra-comunitari, quale strumento per favorirne l’integrazione ed il reinserimento sociale e quindi ridurre il rischio di recidiva;

g) la creazione di istituti «a custodia attenuata» per tossicodipendenti, realizzabili in tempi relativamente brevi anche ricorrendo a forme di convenzioni e intese con il settore privato e del volontariato che già si occupa dei soggetti in trattamento;

h) la piena attuazione del principio della territorialità della pena previsto dall’ordinamento penitenziario, in modo da poter esercitare al meglio tutte quelle attività di sostegno e trattamento del detenuto che richiedono relazioni stabili e assidue tra quest’ultimo, i propri familiari e i servizi territoriali della regione di residenza;

i) la revisione del sistema di sospensione della pena al momento della definitività della sentenza di condanna, abolendo i meccanismi di preclusione per i recidivi specifici e infraquinquennali reiterati nonché per coloro che rientrano nell’articolo 4-bis della legge n. 354 del 1975, sull’ordinamento penitenziario; introducendo, nel contempo, termini perentori entro i quali i tribunali di sorveglianza devono decidere sulla misura alternativa richiesta;

l) l’abolizione del meccanismo delle preclusioni di cui all’articolo 4-bis della citata legge n. 394 del 1975 sull’ordinamento penitenziario con recupero da parte della magistratura di sorveglianza e degli organi istituzionalmente competenti del potere di valutare i singoli percorsi rieducativi in base alla personalità del condannato, alla sua pericolosità sociale e a tutti gli altri parametri normativamente previsti;

m) la radicale modifica dell’articolo 41-bis della citata legge n. 394 del 1975, sull’ordinamento penitenziario in modo da rendere il cosiddetto «carcere duro» conforme alle ripetute affermazioni della Corte costituzionale sulla necessità che sia rispettato, in costanza di applicazione del regime in questione, il diritto alla rieducazione e ad un trattamento penitenziario conseguente;

n) l’adeguamento degli organici del personale penitenziario ed amministrativo, nonché dei medici, degli infermieri, degli assistenti sociali, degli educatori e degli psicologi, non solo per ciò che concerne la loro consistenza numerica, ma anche per ciò che riguarda la promozione di qualificazioni professionali atte a facilitare il reinserimento sociale dei detenuti;

o) il miglioramento del servizio sanitario penitenziario, dando seguito alla riforma della medicina penitenziaria già avviata con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° aprile 2008, in modo che la stessa possa trovare, finalmente, effettiva e concreta applicazione;

p) l’applicazione concreta della legge 22 giugno 2000 n. 193 (cosiddetta legge «Smuraglia»), anche incentivando la trasformazione degli istituti penitenziari, da meri contenitori di persone senza alcun
impegno ed in condizioni di permanente inerzia, in soggetti economici capaci di stare sul mercato, e, come tali, anche capaci di ritrovare sul mercato stesso le risorse necessarie per operare, riducendo gli oneri a carico dello Stato e, quindi, della collettività;

q) l’esclusione dal circuito carcerario delle donne con i loro bambini;

r) la limitazione dell’applicazione delle misure di sicurezza ai soli soggetti non imputabili (abolendo il sistema del doppio binario) o comunque l’adozione degli opportuni provvedimenti legislativi volti ad introdurre una maggiore restrizione dei presupposti applicativi delle misure di sicurezza a carattere detentivo, magari sostituendo al criterio della «pericolosità» (ritenuto di dubbio fondamento empirico) quello del «bisogno di trattamento»;

s) la possibilità per i detenuti e gli internati di coltivare i propri rapporti affettivi anche all’interno del carcere, consentendo loro di incontrare le persone autorizzate ai colloqui in locali adibiti o realizzati a tale scopo, senza controlli visivi e auditivi;

t) l’istituzione di un’anagrafe digitale pubblica delle carceri in modo da rendere la gestione degli istituti di pena trasparente al pubblico;

u) una forte spinta all’attività di valutazione e finanziamento dei progetti di reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti, nonché di aiuti alle loro famiglie, prevista dalla legge istitutiva della Cassa delle ammende;

v) la modifica del Testo Unico sulle sostanze stupefacenti di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, in particolare prevedendo che anche l’attività di coltivazione di sostanza stupefacente il cui ricavato sia destinato ad un uso esclusivamente personale venga depenalizzata ed assuma quindi una rilevanza meramente amministrativa in conformità a quanto previsto dal referendum del 1993.

(1-00288)
«Bernardini, Maurizio Turco, Beltrandi, Farina Coscioni, Mecacci, Zamparutti, Della Vedova, Mario Pepe (PD), Melis, Duilio, Giachetti, Calvisi, Touadi».