Lager in Italia


“Non mi uccise la morte, ma due guardie bigotte mi cercarono l’anima a forza di botte”.
(Fabrizio De Andrè)

pestaggio in carcere“Un detenuto non si massacra in sezione, si massacra sotto” l’audio shock del comandante delle guardie del penitenziario di Teramo aggiunge altro orrore al dramma delle carceri.
(Fonte: “Il Manifesto”, martedì 9 novembre 2009).

Ecco due testimonianze tratte dalla tesi di laurea “Vivere l’ergastolo”:

Una mattina, mentre mi trovavo al passeggio, vengo chiamato dalle guardie, dopo che mi vengono messe le manette vengo fatto salire in una jeep, mettono in moto ed usciamo. Mi ordinano di tenere la testa abbassata. Ad un tratto una guardia impugna la pistola e mi dice “Stai per morire!” Mi punta la pistola nella tempia destra. Non ho battuto ciglio, certamente la paura c’era, ma non potevo fare nulla. In quel momento pensavo alla mia famiglia, quando sento il grilletto girare a vuoto … una finta esecuzione con le relative risate dei secondini. Come se non bastasse mi si dice:”Ora scappa, corri per la campagna”. Io con la testa faccio segno di no. Un aguzzino mi dà uno schiaffo e urla: “Scappa” io non mi muovo. Prendono una corda la mettono tra le mie manette e la legano alla jeep, mettono in moto e mi tirano dietro, cerco di correre il più forte possibile, ma non posso farlo più forte della jeep, finchè con un piede entro in una buca, perdo l’equilibrio, cado e sono trascinato per circa 100 metri con risate e divertimento delle guardi carcerarie.
(Matteo Greco, carcere di Pianosa 1992)

Dopo i primi giorni avvenne il primo pestaggio: quando si usciva all’aria gli sgherri erano messi in fila con i manganelli nelle mani. Un compagno anziano, lento nei movimenti, rimasto indietro, venne preso a calci, pugni e manganellate. Sentivamo urli strazianti. Al ritorno vedemmo tutto il sangue sparso nel corridoio, ma noi eravamo troppo impauriti per potergli dare la nostra solidarietà. E quella nostra debolezza fu l’inizio della fine, perché fatti del genere in seguito si ripeterono sovente.
In quel periodo imparai a conoscermi a crescermi dentro, scoprii che lo Stato è peggio di quel che credevo, mi faceva conoscere privazioni, torture e patimenti nell’assenza totale di legalità, giustizia e umanità. In quella maledetta isola persino i gabbiani erano infelici per quello che vedevano. Alla fine, nell’estate del ’93, iniziai a fare lo sciopero totale della fame …
(Carmelo Musumeci, carcere dell’Asinara 1992)

Perchè meravigliarsi tanto dell’omicidio di Stefano Cucchi e delle botte ai detenuti?
Il carcere in Italia è così e basta e non deve rendere conto a nessuno.
Perché queste lacrime di coccodrillo da parte dei politici e dei mass media?
Non è un segreto che in carcere i detenuti vengono picchiati, è sempre stato così e sempre sarà così.
Vengono picchiati soprattutto i detenuti più deboli, i più soli e i più emarginati.

Carmelo Musumeci
Carcere di Spoleto

da www.informacarcere.it

Leonardo forse fece una Gioconda nuda


gioconda nudaFIRENZE – Oltre alla Gioconda di Leonardo da Vinci esposta al Louvre, potrebbe essercene una seconda, una Gioconda nuda, che l’artista avrebbe dipinto per formare un dittico e rendere omaggio ai due volti di una stessa divinità, cioé Venere, secondo un vezzo in uso tra gli artisti del tempo.

Lo sostiene una teoria formulata dallo studioso fiorentino Renzo Manetti – esperto di iconologia e autore di studi controversi sull’opera di Leonardo – nel saggio ‘Il velo della Gioconda. Leonardo segreto’ pubblicato da Polistampa. Il dipinto, riporta una nota, sarebbe una donna nuda, a seno scoperto, seduta su un balcone e nella stessa posa della Gioconda del Louvre. L’opera risalirebbe al cosiddetto ‘periodo romano’ quando Leonardo era immerso nello studio della filosofia e delle dottrine esoteriche. “Anche se il dipinto è andato perduto – ha spiegato Manetti – esistono almeno una decina tra riproduzioni e opere di analogo soggetto, eseguite da allievi e discepoli, che ci permettono di ricostruire l’originale”. Manetti si riferisce a dipinti come la Monna Vanna del Salaino, allievo di Leonardo. Alla Gioconda nuda di Leonardo si sarebbe ispirato anche Raffaello che ritrasse due donne simili tra loro, una coperta da un velo, La Velata, l’altra seminuda, La fornarina. Fra queste, come tra le eventuali due Gioconde di Leonardo, esisterebbe un rapporto preciso: per Manetti sarebbero la rappresentazione delle Veneri della tradizione neoplatonica, quella ‘celeste’ e quella ‘volgare’, simboli di due diversi aspetti dell’indole umana.

fonte ANSA

Miglioriamo prima noi stessi


diamo noi l'esempio per primi“Desiderate sinceramente aiutare gli altri a migliorare? Evitate
di criticarli e non fate loro la morale, ma iniziate col
migliorare voi stessi: solo il vostro esempio mostrerà loro che
si sbagliano, che si comportano male. Sì, il vostro esempio,
perché lavorando su se stessi, si lavora sugli altri. Gli altri
si accorgono che possedete delle qualità che essi non
possiedono, ed è questo che li migliora, perché comprendono i
vantaggi che trarrebbero nell’imitarvi. Coloro che si occupano
delle debolezze e dei vizi degli altri, diventano spenti,
antipatici, come se i difetti di cui parlano finissero per
fissarsi in loro stessi; ciò è deplorevole, ed essi sono da
compiangere.
Iniziate quindi col migliorarvi, e lasciate gli altri
tranquilli. Accettateli, siate pazienti, e lavorate giorno e
notte instancabilmente per mostrare loro tutto ciò che sforzi
sinceri permettono di acquisire. Dato che essi ancora non lo
sanno, non è con le parole che glielo insegnerete, bensì col
vostro esempio.”

Omraam Mikhaël Aïvanhov

CARCERI: 64 suicidi dall’inizio dell’anno


Luigi Manconi, presidente di A Buon Diritto:« All’interno delle carceri ci si toglie la vita 15-17 volte piu’ di quanto accada tra la popolazione non reclusa»

suicidi in carcere “Di carcere si continua morire. Con la morte di un detenuto di 47 anni avvenuta nel carcere di Tolmezzo sabato scorso, salgono a 64 i suicidi registrati nelle carceri italiane nel solo 2009. Il numero piu’ alto registrato a partire dal 1990, solo nel 2001, ma nel corso di dodici mesi, il numero fu simile”. Lo afferma, in una nota, Luigi Manconi presidente di “A Buon Diritto”, gia’ sottosegretario alla Giustizia. “Viene cosi’ confermato un dato atroce: all’interno delle carceri ci si toglie la vita 15-17 volte piu’ di quanto accada tra la popolazione non reclusa. Non solo -prosegue Manconi- mentre all’interno della societa’ italiana, la frequenza di suicidi e’ maggiore nella fascia di eta’ oltre i 65 anni, in carcere la percentuale piu’ alta di suicidi si trova nella classe di eta’ tra i 18 e i 24 anni”. “Ancora: oltre la meta’ di coloro che si tolgono la vita, lo fanno nei primi sei mesi di reclusione, spesso di prima reclusione, a dimostrazione del fatto che la causa principale e’ rappresentata dall’impatto brutale con un universo sconosciuto, con le sue gerarchie informali, con le sue regole ignote, con la sua logica indecifrabile. Infine, c’e’ una correlazione stretta tra frequenza dei suicidi e istituti particolarmente sovraffollati. Da tutto ci viene la conferma che il carcere costituisce un luogo che produce sofferenza e alienazione, solitudine e morte”, conclude Manconi.

 da www.vita.it

Quelle morti sospette in carcere: trenta vittime in sette anni


di Roberto Bianchin

morti sospette in carcere

Mauro aveva solo 33 anni quando morì in carcere. «Arresto cardiocircolatorio», fu la motivazione ufficiale. Ma quando suo padre, Giuseppe, vide la salma, impallidì. Il corpo di Mauro Fedele era pieno di lividi. Aveva la testa fasciata, e segni blu di percosse, come se fosse stato colpito con un ferro di cavallo, sul collo, sul petto, sui fianchi e all´interno delle cosce. «Lo hanno riempito di botte», protestò il padre, presentando una denuncia per omicidio.
Comincia a farsi strada il sospetto che il caso Cucchi non sia l´unico nelle carceri italiane, dove sono morti 1.531 detenuti dal 2000 ad oggi, 150 solo quest´anno, di cui 63 suicidi. Tra questi, secondo l´associazione “Ristretti Orizzonti”, che sul problema ha realizzato un dossier, “Morire di carcere”, ci sono 30 casi “sospetti” negli ultimi sette anni, che richiederebbero «un approfondimento nelle sedi opportune».
In 11 casi di questa Spoon River carceraria, i detenuti «per cause naturali» presentavano segni di percosse e di lesioni. Morti per infarto con la testa spaccata, morti per suicidio con ematomi e contusioni in varie parti del corpo, costole spezzate, milze e fegati spappolati, lesioni ed emorragie interne. «Le cause di troppi decessi non sono mai state accertate con precisione», dice Luigi Manconi, presidente dell´associazione “A buon diritto”, che punta il dito contro «l´opacità del carcere che impedisce di guardarci dentro» e «troppi comportamenti non rispondenti a correttezza e al rispetto delle regole». «In carcere ci si ammazza 15 volte di più di quanto non accada fuori», accusa.
Come Mauro Fedele, morto il 30 giugno 2002 nel carcere di Cuneo, un altro giovane, Manuel Eliantonio, 22 anni, perse la vita il 25 luglio 2008 in quello di Genova. Suicidio, dissero, col gas butano respirato da una bomboletta da campeggio. Sua madre, Maria, mostra le lettere che il figlio le aveva scritto dalla prigione: «Qui mi ammazzano di botte almeno una volta alla settimana». «Lo hanno pestato a sangue, ucciso, e stanno cercando di coprire tutto», accusa la donna.
L´anno prima, il 15 ottobre 2007, Aldo Bianzino, 44 anni, venne trovato morto nella sua cella nel carcere di Perugia. Era stato arrestato un giorno e mezzo prima, dopo che gli avevano trovato cento piante di marijuana in giardino. Aneurisma, la causa del decesso. Ma i medici legali riscontrarono «evidenti lesioni viscerali di indubbia origine traumatica». Due costole rotte, lesioni alla milza, distacco del fegato, emorragia cerebrale. Per la famiglia, la prova di un «pestaggio mortale». Sul caso c´è un´inchiesta in corso.
Habteab Eyasu, 36 anni, eritreo, riuscì invece a impiccarsi ferendosi da solo, nella sua cella del carcere di Civitavecchia, il 14 maggio 2006. Nelle foto scattate all´ospedale si vede che Habteab ha una ferita in fronte e una grande macchia rossa di sangue dietro la nuca. «Chi si suicida non ha queste ferite in faccia», accusa la zia, Sara Tseghe Paulous. Ma l´inchiesta della Procura ha chiuso il discorso, stabilendo che Habteab si è impiccato. Come avvenne per Stefano Guidotti, 32 anni, impiccatosi alle sbarre del bagno nel carcere romano di Rebibbia il 1° marzo 2002, che presentava delle ferite al volto «inconciliabili con l´ipotesi del suicidio».
Andrea Fabris, 34 anni, è stato invece trovato esanime sul pavimento della cella che condivideva con altri due detenuti nel carcere di Venezia, il 31 maggio 2005. Sembrava una morte naturale, Andrea era tossicodipendente, senonché sul suo corpo sono state riscontrate numerose ecchimosi. La Procura ha aperto un´inchiesta. Un altro tossicodipendente, Antonio Schiano, 36 anni, morì per cause non precisate nel carcere romano di Regina Coeli, il 24 ottobre 2005. Secondo il garante per i diritti dei detenuti, l´uomo era arrivato in carcere con un referto dell´ospedale Sant´Eugenio che certificava «politraumi a suo carico».
All´ospedale di Barletta, il 1 luglio 2004, morì Vincenzo Milano, 30 anni, per le ferite riportate durante la sua cattura, come Maurizio Scandura, 28 anni, deceduto il 27 novembre 2002 in una camera di sicurezza della questura di Roma. Mentre un romeno di 40 anni fu trovato riverso a terra nella sua cella del carcere di Civitavecchia, il 25 novembre 2003, con profonde ferite al capo. Dissero che si era scagliato più volte contro la parete. Anche Marcello Lonzi, 29 anni, sarebbe morto per «collasso cardiaco», il 1° ottobre 2003 nel carcere di Livorno, dopo essere caduto battendo la testa. Ma la madre parlò di omicidio: «Il corpo di mio figlio era coperto di lividi».

da repubblica.it

“Donne in Jazz 2009”: Elisabetta Antonini


dalla nostra inviata nel pianeta jazz Amira McLee

elisabetta antoniniSerata di grande alchimia musicale all’Auditorium Scuderie Aldobrandini di Frascati nell’ambito della rassegna “Donne in jazz 2009”: si è esibita Elisabetta Antonini accompagnata da due musicisti,  Alessandro Gwin al pianoforte  e Gabriele Coen sassofonista e clarinettista.
Elisabetta Antonini è una cantante e un’interprete molto particolare di jazz contemporaneo ed è anche leader di diverse formazioni musicali con cui partecipa a rassegne e festival in tutta  Italia presentando un repertorio che va dalla song americana d’autore a brani originali e di jazz contemporaneo. Svolge attività didattica come  insegnante di canto jazz, di improvvisazione ed è direttrice del coro  jazz alla Saint Luis Music School e nei seminari di Nuoro Jazz diretti  da Paolo Fresu. La Antonini ha una tecnica vocale distinta con  un respiro cameristico. Nelle songs cantate si nota la ricercatezza delle assonanze sonore ed effetti ritmici sincopati nello scambio di vocalizzi con lo strumento a fiato di Gabriele Coen. Tra le particolari interpretazioni  ascoltate durante il concerto riteniamo siano da mettere in particolare evidenza :
 – Both Sides now  di Joni Mitchell   con particolare senso del respiro tra le note .
 – Yatra-ta’  di  Tania Maria, una difficilissima interpretazione con un gioco ironico saltellante delle note ritmiche.
 – Love is stronger than pride  di Sade, un brano pop molto conosciuto  riproposto in una chiave intimista con rallentamento della partitura originale ed effetto quasi meditativo.
Un notevolissimo ”bravo” ad  Alessandro Gwis al piano con degli arrangiamenti e un’interpretazione  che denotano un background pianistico di impronta classica. Il suo pianismo contemporaneo si esprime con l’alternanza di note classiche ma rivestite di un abito elettronico che rende un effetto più penetrante.
Gabriele Coen è stato un interprete assoluto delle espressioni vocali di strumenti a fiato quali  sax e clarinetto con fusione di espressioni etniche – jazzistiche.

Preghiera per un momento importante e doloroso


di Daniela Domenici

Signore, ti prego

angelo custodemanda un Tuo angelo

dalla mia sorellina indaco

ha bisogno del Tuo aiuto e della Tua protezione

lei si affida a Te, confida in Te

ma Tu sai quanto sia fragile

non l’abbandonare

falle sentire la Tua presenza protettiva

il Tuo infinito Amore

e ce la farà ancora una volta…

io le starò vicino con la preghiera e l’affetto.

“Macàri lu to silenziu…”


di Angela Ragusa

assenza d'amore

Si ti putissi ancora diri 
chiddu chi provu 
quannu li me’ pinzeri 
avvolunu versu di tia, 
tu sintissi 
‘n-tronu scruscianti 
ca facissi trimuliari 
lu to cori… 
Ma nenti chiù paroli 
nenti chiù talìati, 
nenti… 
Tuttu murìu.. daccussì 
annigghiatu nni la notti, 
comu nu malu ventu 
c’annorba li sensi 
e lassa sulu feli 
ntra la vucca… 
Unni semu ora… 
unni mi cunnùci ancora 
nte sogni a fantasticari… 

…di tia, tutto

m’haju stipatu 
macari lu to silenziu!

Scherma, nuoto, tennis, pallavolo: il momento d’oro dello sport italiano… in rosa


di Daniela Domenici

sportDue domeniche di vittorie travolgenti per le nostre azzurre: l’8 novembre scorso, sui campi di terra rossa del circolo “Rocco Polimeni” di Reggio Calabria, le nostre formidabili tenniste Pennetta, Schiavone, Errani e Vinci, capitanate dal coach Corrado Barazzutti, hanno battuto con uno schiacciante 5 a 0 le avversarie statunitensi aggiudicandosi la Fed Cup per la seconda volta dopo quella del 2006.

Le nostre splendide pallavoliste, allenate dal trainer Barbolini, dopo aver trionfato agli Eurovolley, ieri, hanno battuto in finale, dopo aver sconfitto,  negli incontri precedenti, le atlete della Repubblica Dominicana e quelle del Brasile, le padrone di casa giapponesi e hanno così vinto la Grand Champions Cup di volley.

Nei mesi scorsi abbiamo assistito a un altro trionfo dello sport azzurro al femminile, quello delle nostre ragazze della scherma in Polonia, senza dimenticare i successi delle formidabili nuotatrici azzurre: è un momento davvero d’oro per lo sport italiano “in rosa”; si conclude così un 2009 pieno di successi per le azzurre di queste discipline sportive di cui, forse, non si parla quanto si meriterebbero.

E noi siamo qui per questo, per dare spazio a questi sport, per essere la loro cassa di risonanza e provocare un’eco che si scavi la sua nicchia tra calcio e formula uno i quali, purtroppo, sembrano essere gli unici argomenti di sport di cui parlare sia in Tv che sui giornali.

Una nuova compagnia teatrale ad Augusta: Tiatru d’o Suli


di Daniela Domenici

sole“C’era bisogno di un’altra formazione teatrale ad Augusta dove già ne agiscono altre? Forse no. Ma non abbiamo saputo resistere alla tentazione di metterla su nella consapevolezza di farlo per pura passione e nella speranza di instillare a qualcuno il germe di questa antica arte che, sappiamo benissimo, fa parte della natura umana…”: con queste parole il presidente nonché regista e attore protagonista, Sergio Sillato, presenta questa sua “creatura” appena “battezzata” con il debutto al Teatro Comunale della Cittadella degli Studi di Augusta, di “Non è vero ma ci credo”, celebre commedia in tre atti di Peppino De Filippo.

Fu  rappresentata per la prima volta nel lontano 1942 ma è ancora attualissima perché come dice, e prendo ancora in prestito le parole di Sillato, “…la superstizione è uno dei tanti drammi in cui si dibatte l’uomo…dove si sviluppano intrighi, intrallazzi…dove si esercita il potere in tutte le sue forme, anche le più stupide, umiliando, il più delle volte, la dignità umana…”.

La trama di questa commedia è ben nota: tutto ruota attorno all’irrazionale superstizione del protagonista, il commendatore Gervasio Savastano, che alla fine capirà che “le cose che accadono sono frutto della quotidianità che scorre , del nostro impegno o della nostra stupidità ma mai della superstizione…”

Sergio Sillato ha voluto rendere questa celebre commedia più vicina al pubblico locale inserendo battute in lingua siciliana e l’esperimento è perfettamente riuscito perché le risate e gli applausi sono arrivati ripetutamente e molto convinti durante tutta la serata.

Il regista ha saputo caratterizzare il personaggio del superstizioso Gervasio in modo assolutamente delizioso senza mai cadere nell’esagerazione, in modo lieve com’è nel suo stile, e di questa sua leggerezza ha saputo colorare tutta la rappresentazione circondandosi di attori non professionisti, naturalmente, ma che si sono impegnati con tanta energia e divertimento a dar vita ai vari personaggi della celebre commedia.

Vogliamo tributare loro un applauso collettivo che li abbracci tutti e siamo davvero felici che Sergio sia riuscito a coronare il suo sogno di creare una sua compagnia; lo desiderava da tempo e, dopo un certo periodo di “esilio teatrale” in una compagnia di Catania che ieri era, al completo, tra il pubblico per applaudirlo è tornato nella sua città per iniziare un nuovo percorso che gli auguriamo luminoso come il sole che ha scelto come immagine della sua compagnia.

Concludiamo con le parole del grande autore e critico teatrale Max Reinhardt che Sillato fa sue “Il teatro è il rifugio di coloro che hanno nascosto in qualche tasca la loro infanzia così che possano continuare a giocare di tanto in tanto fino alla fine della vita”: speriamo di giocare il più a lungo possibile anche grazie a Sergio e al suo amore per il teatro.